Si è cominciato dallo stratosferico universo a prevalenza vegetale di Enrico Crippa (leggi i dettagli) e si è concluso con Franco Pepe e Sara Minnick, premiati poco prima con il piatto dell’anno (due pizze, per la prima volta). In mezzo, una girandola scintillante di interpreti che hanno inteso il viaggio ognuno a modo loro. Perché nulla più del viaggio sfugge alle definizioni univoche.
Dopo Crippa ha preso possesso del palco Cristina Bowerman. Chi meglio di questa piccola grande donna della cucina italiana, ciuffo rock e rigore da secchiona, può intrepretare il concetto di viaggio? Lei che è nata in Puglia, ha studiato in California, è diventata cuoca in Texas e ha trovato la consacrazione a Roma? Sul palco dell’auditorium lo scricciolo d’acciaio, che sta per aprire un nuovo locale a Testaccio, Giulietta e Romeo, ennesimo spin-off della navicella spaziale di Trastevere, il Glass Hostaria, ha presentato una doppia declinazione della sua idea di food travel, in cui non sono gli ingredienti a pagarsi il biglietto ma le idee e le tecniche.
Dallo Yunnan, regione sudoccidentale della Cina, arriva la suggestione di una cottura a vapore con un’apposita pentola che Cristina si è fatta rifare da un ceramista e nella quale cucina un pollo e produce un brodo che a sua volta accompagna a dei noodles italiani e delle punte di asparagi. Più hardcore il secondo piatto-progetto: una romanissima Coda alla vaccinara che guarda le diapositive di un viaggio in Messico e finisce interpretata come un Mole, la tipica salsa centroamericana. Solo che stavolta il Mole alla vaccinara viene “maturato” con una sorta di metodo “solera” e viene presentato come una verticale di quattro invecchiamenti nei quali “pucciare” un pane di mais italiano.

Cristina Bowerman con il moderatore della lezione Andrea Cuomo
Dopo la
Bowerman,
Paul Pairet, francese di stanza in Cina. "La cucina ha i suoi tempi e ad
Ultraviolet ne abbiamo il controllo: serviamo i piatti al momento giusto, né prima né dopo, questo fa la differenza". Detta le sue regole dal palco dell'auditorium di
Identità Milano. Al suo esordio al Congresso e alla sua prima volta a Milano, ha portato con carisma tre piatti del suo ristorante a Shanghai, dal menu
UVB. Musica e immagini sugli schermi hanno richiamato per un'ora l'atmosfera immersive che vivono i dieci commensali del ristorante superesclusivo: un unico tavolo, 22 portate e una unica regia dall'inizio alla fine, la sua. Ha incantato e sorpreso il pubblico con il suo picnic di pesce: il "Black Code Tupperware", servito proprio come in un pranzo a portar via in famiglia, con tanto di cestino in vimini. Quando ha proposto le ostriche lo chef ha fatto alzare il volume della musica in sala "per sentire meglio le onde del mare e vivere il piatto", ha spiegato. A conclusione il curioso doppio piatto
Tomato mozza and Again, diventato un condensato della sua cucina sorprendente: stessi ingredienti di base come pomodoro e mozzarella, serviti insieme e proposti in due versioni, salata e dolce.
L’ultimo intervento prima della pausa pranzo è di
Massimiliano Alajmo. Lo ha riassunto con grande efficacia
Andrea Cuomo.
Il pomeriggio è stato aperto da Christian Puglisi e Jonathan Tam, il primo messinese a Copenhagen dall’età di 7 anni; il secondo canadese di Alberta e head chef del ristorante Relae della capitale danese. Puglisi, alla quarta partecipazione a Identità (la prima fu nel 2008, sous chef al fianco di un certo Renè Redzepi) ha esordito con un’arringa appassionata sulla libertà: «La caccia non deve finire mai. Io lavoro ogni giorno per liberarmi dall'idea di fare lo chef come si fa lo chef». Un atteggiamento che lo ha condotto a deviare in tempi non sospetti dall’insegnamento del maestro e ad aprire 5 locali, uno dietro l’altro (ultimo il bar da aperitivo Rudo, dentro a Eataly). Oggi l’impresa Puglisi dà lavoro a un numero tra 130 e 150 persone. «Molti canadesi, americani e australiani, qualche italiano e quasi nessun danese». Curioso.
“Ogni giorno è un viaggio”, ha esordito appena dopo Norbert Niederkofler, lo chef di alta quota del St. Hubertus di San Cassiano, in Alta Badia. Nel senso che ogni giorno ti porta lontano, se vuoi. A caccia di sensazioni, di emozioni. Un viaggio è anche quello appena incominciato di Care’s, la kermesse enogsatronomica che ogni gennaio si svolge in Alta Badia e che serve a raccogliere fondi per erogare borse di studio. Ogni giorno è un viaggio e ogni piatto è un viaggio. Come quelli proposti sul palco dell’auditorium di Identità Golose: un coregone utilizzato in ogni sua parte, la carne per la tartare, le squame fritte a dare la parte croccante, teste e lische abbrustolite e sfumate nel vino bianco e poi montate con il burro e l’olio di aneto. Poi una trippa al latte con sanguinaccio e una pelle di latte croccante («quella che tutti odiavamo quando eravamo bambini»). E infine un petto d’oca cotto alla brace con orzo fermentato ed essenza ancora d’oca.

Il canadese Jon Tam e l'italo-danese Christian Puglisi di Relae, Copnehagen. Un magnifico intervento sulla libertà
Il viaggio conduce appena dopo in Corea dal Sud da
Jun Lee, il ragazzo di Seul stregato dalla pasta fresca della tradizione italiana. Tajarin e ravioli tirati come fosse originario del Piemonte. Una stranezza se si considera che il ragazzo non è mai passato dall’Italia e tutto quello che ha appreso lo ha appreso da Johnathan Benno negli Stati Uniti. «Da quando ho aperto
Soignè – una stella Michelin da poche settimane – e
Doughroom ho messo in carta una sessantina di specialità italiane. E i sudcoreani vanno matti».
Appena dopo,
Identità Golose si trasforma in un teatro. Mattatore sulla scena è
Heinz Beck, uno che qualche anno fa era timido come uno scoiattolo e che ora calca il palcoscenico con verve irresistibile. Lo chef del
La Pergola del Rome Cavalieri inscena una pièce a volte visionaria, a volte poetica in un cui va all’origine dell’uomo, interpretato nel suo rapporto primordiale con il cibo.
Le sue spalle sono due suoi collaboratori: entrambi si mettono nei panni di chi si trovi in un ambiente ostile e devono sopravvivere. Roberta trova l’acqua, la distilla dalle verdure, trova dei semi, fa del pane azzimo. Giovanni prende della carne, la affumica sul fuoco. C’è tutto per una scena da “2001 Odissea nello Spazio”. C’è però anche l’idea di chiedere all’uomo di oggi qual è la cosa più importante della Terra, traendola da un sondaggio online dell’Onu a cui hanno risposto quasi dieci milioni di persone: è l’educazione, l’istruzione. Finisce con delle lettere che arrivano da tutto il mondo e dentro i panini realizzati dall’homo sapiens. Messaggi dal passato.

Jun Lee, coreano, ambasciatore della pasta fresca in Corea del Sud
Dopo
Beck, tutta la verve di
Kobus van der Merwe, ben introdotto dalla giornalista
Giorgia Cannarella. E' stato paragonato a René Redzepi, non tanto per le tecniche utilizzate nella sua piccola cucina di Paternoster, un paese sulla costa occidentale del Sud Africa, ma per l'utilizzo della natura che lo circonda: erbe, piante e arbusti che crescono spontaneamente attorno al sua angolo di paradiso, un ristorante per sole 20 persone. E pensare che solo 7 anni fa era un giornalista enogastronomico che guardava la cucina dall'esterno. Durante il suo intervento in auditorium, ha preparato un'insalata che nasce da quel piccolo viaggio di 6 chilometri che tutte le mattine compie in bici per andare al lavoro. E sulla strada trova e raccoglie erbe spontanee, come la salicornia o il sedano delle dune.
Chiusura nel segno della pizza con
Pepe e
Minnick, che lanciano la volata all'attesissima giornata della pizza di oggi.
(Hanno collaborato
Andrea Cuomo,
Raffaele Foglia,
Alessandra Gesuelli e
Gabriele Zanatta)