Non ci sono cronometri e nemmeno metri, non c’è un ring e nemmeno un arbitro o dei bilancieri da sollevare. C’è invece una giuria forte di 1080 esperti da ogni angolo del globo, suddivisi in 27 gruppi, che votano quelli che ritengono i migliori ristoranti al mondo, dieci voti a testa. Vent’anni fa, i World’s 50 Best Restaurants al debutto premiarono The French Laundry di Thomas Keller in California, e nel 2004 pure. Quindi El Bulli cinque volte primo come il Noma di Copenhagen, ma quattro nella precedente sede, e una quinta nell’attuale. Doppiette anche per El Celler de Can Roca dei fratelli Roca a Girona e per l’Osteria Francescana di Massimo Bottura a Modena; singole affermazioni infine per The Fat Duck di Heston Blumenthal a Londra, Eleven Madison Park di Daniel Humm a New York, Mirazur di Mauro Colagreco a Mentone, Geranium di

Pia Leon e Virgilio Martinez sul palco dei 50Best 2023 da loro vinti il 20 giugno a Valencia. Foto David Holbrook
Rasmus Kofoed a Copenhagen e, affermazione freschissima a Valencia, di
Virgilio Martinez e
Pia Leon del
Central a Lima.
Si è trattato di una affermazione meritatissima ma in fondo prevedibile perché, costituito un lustro fa il club dei Best of the Best riservato ai vincitori del passato, in attività o meno che fossero, da quattro edizioni vi entra automaticamente l’ultimo a vincere. Così una festa ben organizzata e brillante nei vari passaggi, perde una certa dose di suspance quando devono essere annunciate le ultime due posizioni. Per rinfrescare la cronaca, seconda, terza e quarta la Spagna con Disfrutar, Diverxo e Asador Etxebarri, che rappresentano rispettivamente Barcellona, Madrid e il Paesi Baschi. Parlano spagnolo, nelle prime dieci posizioni, anche Maido di Lima, sesto, e Quintonil di Città del Messico, nono. In totale sei, di tre Paesi diversi.

E’ una enormità, che dovrebbe far riflettere chi in Italia scopre competizioni e classifiche un po’ a caso, sostanzialmente quando si evidenzia un tornaconto che possa spingerci a sventolare il tricolore. L’anno passato fu così, grazie a sei insegne in salita, con
Lido 84 ottavo,
Le Calandre decimo,
Uliassi 12°,
Reale 15°,
Piazza Duomo 19° e
St. Hubertus 29°. Chiuso quest’ultimo per rifacimento dello stabile che lo accoglieva in Alta Badia, gli altri hanno tutti perso una o più posizioni, eccetto
Riccardo Camanini, ora settino (e virtualmente sesto visto che il
Central non è più eleggibile). Ecco invece
Niko Romito 16°,
Mauro Uliassi 34°,
Massimiliano Alajmo 41° ed
Enrico Crippa 42°.
Non si brinda, la nostra indole è eternamente condizionata dai risultati, però a Valencia tanti si sono congratulati con noi italiani, quasi increduli, per il successo di squadra. Per numero di ristoranti nei primi 50, siamo secondi solo alla Spagna (sei) e davanti al Perù e alla Francia (quattro). E’ un quadro estremamente frazionato, 24 nazioni in tutto, con l’Australia assente (è finito l’effetto Melbourne 2017) e la Danimarca che si aggrappa all’
Alchemist, quinto, per non sparire a sua volta dopo aver vinto sei volte.
I World’s 50 Best non hanno mai avuto la pretesa di essere oro colato proprio per quanto scritto in apertura. Gli organizzatori raccolgono giudizi. Hanno la stessa forza comunicativa degli Oscar del cinema o del Pallone

Sorrisi italiani a Valencia 2023. Da sinistra Mauro Uliassi, Enrico Crippa e Massimiliano Alajkmo
d’oro nel calcio. Quando ci si chiede chi è il migliore al mondo in un determinato settore, si finisce con l’azzuffarsi. Per capirci,
Maradona o
Pelè? Però è pure vero che
Gianni Brera rispondeva
Alfredo Di Stefano, proprio come lo stesso
Pelè. Non si finisce mai, non si arriva mai a un punto buono per tutti. Ed è questo il bello.
Per chi si chiede perché la Spagna, già sette volte prima con Ferran Adrià e i fratelli Roca, è destinata ad affermarsi per l’ottava l’anno prossimo a Las Vegas negli Stati Uniti, la risposta è semplice: perché mettono da parte campanili e gelosie per camminare affiancati, uniti e così ribadire, di stagione in stagione, che come

Enrico Bartolini, 85°, è la novità italiana dell'edizione 2023
si mangia da loro da nessun’altra parte. Innovazione o tradizione che sia. Da loro, prima viene la nazione e poi le comunità. In Italia l’esatto contrario.
Nota finale. Quando a febbraio in Alta Badia Norbert Niederkofler annunciò che il 24 marzo avrebbe chiuso il St.Hubertus, si sprecarono gli annunci sulla morte del fine dining stellato. Che non goda di ottimissima salute è vero, però tra poco, il 12 luglio, il tre stelle alto atesino inaugurerà il suo nuovo posto a Brunico, che non sarà più un esercizio stagionale. Mi aspetto titoli e commenti sulla rinascita dorata dell’alta cucina.