Classe 1989, Alessandro Narducci, è un romano doc. E, soprattutto, uno chef atipico perché, al principio, il suo interesse era così rivolto al mondo del vino tanto da spingerlo a diventare sommelier. Solo dopo Narducci è approdato alla cucina passando per i fornelli di Heinz Beck, di alcuni ristoranti degli Emirati Arabi fino all'incontro con la famiglia Troiani e il suo arrivo al ristorante fine dining Acquolina Hostaria e il bistrot Acqua Roof a Roma. È qui che Narducci, «un cuoco come tutti quelli della mia generazione arrivato in una mondo della cucina destabilizzato», ha dato sfogo al suo amore per la pasta tanto da metterla come "main course" nel suo menu. Fra i tanti piatti che avrebbe potuto portare, tutti trasversali come lui, il romano ha scelto di ammiccare a Napoli e alla sua tradizione nella sua lezione a "Identità di pasta" nel segno del Fattore umano.
E per raccontare il fattore umano Narducci ha scelto un piatto che, per lui, ne rappresenta l'emblema: gli Spaghetti con le vongole fujute. «La leggenda vuole che questa ricetta fu inventata da Eduardo De Filippo che, tornando dal teatro e non avendo vongole a casa, riuscì a ricreare con olio, aglio e prezzemolo i sapori della tradizione», ha raccontato il cuoco affascinato dall'idea «dell'ingrediente fondamentale del piatto quel fattore umano che va a sostituire le vongole inesistenti in un gioco in cui il cuoco attore e il commensale spettatore si confondono». I suoi spaghetti emblema rigorosamente "al dente", Narducci li fa mantecare, senza risottarli, con un intingolo di aglio soffritto nell'olio evo e prezzemolo fino ad avere un'emulsione stabile texturizzata con burro di cacao al 2%. La finitura è fatta con pomodorini semiconfit, lattuga di mare e polvere di peperoncino. Inutile, però, cercare il piatto nella carta dell'Acquolina perché la troverete con le vongole.

Sorprendente il secondo piatto, una pasta fredda (questa in carta senza aggiunte) che
Narducci considera come "simbolo" dello stare a tavola tipicamente italiano. «Da noi la tavola è come un focolare, riusciamo a starci per ore chiacchierando – osserva -. Qualcosa di impensabile all'estero dove alla tavola preferiscono il bancone del bar». Per questo all'
Acquolina lo chef mette un fornello falò (con sabbia che si riscalda grazie al bioetanolo) al centro della tavola sul quale cuoce in un cartoccio di lattuga di mare, i suoi paccheri aromatizzati con timo, aglio, pomodoro e la testa di un gambero. L'impiattamento è da manuale con il pacchero farcito di burrata, gambero rosso crudo, rucola, salicornia, cipollotto rosso e una neve di 'nduja. «Un piatto che all'
Acquolina preparo personalmente al tavolo, un modo per ritrovare il rapporto col cliente facendoci due chiacchiere mentre il cibo, al centro della tavola – conclude Narducci - cuoce sul fuoco».