«Il fattore umano è vitale. La ristorazione non può esistere e un progetto rischia di essere rovinato se non c’è una sala all’altezza. “Accoglienza” è una parola grossa, è psicologia. È fondamentale che l’ospite si senta coccolato e abbia voglia di ritornare. Bisogna darsi, nel senso bello della parola, dare amore».
Con questi termini traccianti Livia Iaccarino ha chiuso il proficuo confronto “Sala e Cucina, un successo di famiglia” celebrato sul palco di Identità di Sala, talk session extra-cucina del recente congresso di Milano.
Alla ribalta i rappresentanti di tre iconiche famiglie, tre leggende della grande ospitalità, tre colossi della ristorazione italiana: con Livia erano presenti Alfonso e Mario Iaccarino del Don Alfonso 1890 a Sant’Agata sui Due Golfi, c’era Antonio Santini di Dal Pescatore a Canneto sull’Oglio e c’erano Roberto e Francesco Cerea di Da Vittorio a Brusaporto.

Livia, Alfonso e Mario Iaccarino, intervistati da Federico De Cesare Viola
Sei persone brillanti di otto stelle Michelin per quarantacinque minuti fitti e intensi di ricordi, citazioni e prese di coscienza, di auspici per il futuro, ma anche di puntualizzazioni sui vantaggi che l’affiatamento di una famiglia possa portare in un exploit imprenditoriale.
«Di fatto – ha precisato Santini – un’azienda composta da padre, madre e figli non può e non deve limitare il suo aspetto funzionale: ognuno deve ricoprire il proprio ruolo e la propria posizione guadagnata sul campo, frutto di impegno, di studio e soprattutto al passo con i tempi».
Sul rispetto dei ruoli è stato concorde Roberto Cerea, decantando la centralità dello spirito di collaborazione e di disponibilità che deve obbligatoriamente prevalere su eventuali divergenze di vedute che insorgano tra consanguinei.
Gettando il cuore oltre l’ostacolo, alla base di ogni successo c’è il coraggio, come ha testimoniato
Livia, che, commossa e con la voce rotta dall’emozione, ha raccontato la scelta ardita, nel 1973, di trasformare un’avviata pensione in un ristorante che facesse eccellenza e qualità, lasciando il certo per l’incerto, per restituire dignità a un territorio, ai prodotti campani, a un patrimonio culturale azzerato dall’industria.
Ma il cuore non basta. Solidità, pianificazione, sacrificio, lavorare diciotto ore al giorno e, in quello che rimane, continuare a pensare a come migliorare quel lavoro: l’hanno detto Mario e Alfonso Iaccarino spiegando come un sogno nato inconsciamente possa diventare un concetto imprenditoriale organizzato con degli alti standard di qualità.
Maestri di ricevimento, focus sull’“emergenza sala”. Francesco Cerea ha indicato la strada: «Occorre valorizzare la consapevolezza dell’importanza di chi opera all’esterno alla cucina perché l’accoglienza non deve rappresentare un semplice contorno: l’impiego in sala non è un lavoro né facile né scontato e può dare tante soddisfazioni. Il lavoro nella ristorazione è faticoso, con orari interminabili, per questo la passione deve essere alimentata dai risultati, dalla visibilità e dalle possibilità di crescita».

Antonio Santini, tra Francesco e Roberto Cerea
Sulla la necessità di avere scuole appositamente create si è espresso
Antonio Santini ricordando il ruolo di rilievo di
Paul Bocuse nell’attività della formazione dei cuochi e augurandosi l’intervento di un personaggio altrettanto forte a trainare il comparto sala.
Volontà, eleganza, senso della misura, parole ben ponderate e lungimiranza. Sembra davvero questa la ricetta che le tre famiglie sul palco hanno voluto consegnare agli addetti ai lavori per trasformare un ristorante di famiglia in un’impresa redditizia improntata all’esaltazione dell’eccellenza. Promotori di perfezione e alta qualità. È semplice la storia dell’alta ristorazione: grandi ispirazioni per grandi lavori.