Andrea Aprea è come certi tifosi sfegatati, un ultras che s’incupisce quando in una tavola italiana incoccia il foie gras o altri forestierismi di maniera che «apparterranno ad altre tradizioni, non la nostra». È la conclusione alla quale è arrivato dopo avere girato il mondo quanto basta per capire che la cucina italiana non è la nazionale di Ventura: non si batte.
Un patriottismo praticante che esercita nel vivificare i grandi classici della cucina domestica. Una caprese. Una diavola. E l’ultimo nato, una amatriciana presentata in anteprima nella quattordicesima edizione di
Identità Milano. Tre piatti che hanno in comune un punto di partenza e una traiettoria di pensiero: «Quello che faccio è portare in tavola qualcosa di consueto al palato ma desueto alla vista.

Uno dei due piatti presentati da Aprea a Identità di Formaggio: Caffè, tarassaco, farro, Grana Padano oltre 20 mesi
Un rischio micidiale perché ti avventuri in un terreno noto all’ospite che dunque ha un termine di paragone fortissimo nella sua memoria gustativa. Una sfida di fronte alla quale un cuoco è molto più vulnerabile, in cui rischia di rimanere schiacciato». Ma per
Aprea, ex parà, senza adrenalina e rischi non è vita.
Caprese... dolce salato (2012) - «La gestazione di questo piatto è durata tre anni. Era il 2009 quando a
Il Comandante del Romeo ho cominciato a pensare che volevo realizzare una caprese a modo mio. Nacque così il
Cannolo di foglia di latte con pomodorini e basilico, la pelle del latte per forgiare il cannolo con dentro una spuma di mozzarella di bufala con latte di governo, lo presentai a
Le Strade della Mozzarella proprio quell’anno. Ma il risultato non mi soddisfaceva ancora. Arrivato a Milano nel 2011 volevo che il piatto assumesse le sembianze della mozzarella, l’estetica curvilineare e seducente. Abbiamo fatto prove su prove, con la foglia di latte, la meringa, la risposta è arrivata con l’isomalto soffiato. Non abbiamo inventato niente, attenzione, le statue di zucchero soffiato sono memoria di certi buffet degli anni ’80, tecnica applicata alla cucina negli anni ’90 da
Adrià. Noi l’abbiamo applicata a questa sfera di siero di mozzarella che custodisce un coulis di tre pomodori, San Marzano, Pizzuto e Datterino o Corbarino a seconda della stagione (due varietà intercambiabili perché hanno lo stesso grado di acidità), poi un’emulsione di pesto e acciughe. È entrato ufficialmente in carta al
Vun nel 2012 e ci rimane tutto l’anno perché gli ospiti ce lo richiedono sempre. Una signora mi ha detto: mi sono commossa, eppure mangio mozzarella e pomodoro da 50 anni». (È lo stesso piatto che ha stregato
Laura Price dei
50Best Restaurants,
ndr).
Seppia alla diavola (2015) - «Nasce nel 2015 durante l’Expo. Come spesso accade, chiamai in cucina i miei ragazzi. Gli dissi: tirate fuori le vostre idee. Provate a pensare a qualcosa fra i grandi classici, i piatti popolari, e a cambiargli i connotati. Siamo entrati in una fase di laboratorio, quel prova e riprova e vediamo dove ci porta. Abbiamo cominciato a pensare al pollo, abbiamo cercato di capire l’approccio di una Diavola su un cefalotto, su un polpo. Nelle varie analisi la seppia è risultata quella che si prestava di più, anche per la callosità che ricorda quella del pollo, con diavola liofilizzata, purea di patate con rafano fresco e una pennellata di olio al peperoncino, germogli di rafano, crescione e cavolo acidulo».

Aprea insieme a Niccolò Vecchia, che ha presentato la lezione

Patata in stagnola all'amatriciana
Patata in stagnola all'amatriciana (2018) - «Quest’ultimo piatto segue sempre lo stesso principio, rinverdire i grandi classici e dargli una dimensione contemporanea anche sul piano estetico. Ha avuto una gestazione tutto sommato breve, due mesi e mezzo, tre. Ma in realtà ha una specie di progenitrice nella
Patata in stagnola che facevo nel 2013 con fermentazione in latte di bufala, radicchio e nocciola. L’ultima nata mi convince di più, vedremo che vita avrà in carta. Come al solito è stato tutto un prova, scarta, tieni, elimina. Abbiamo provato la patata cotta sotto sale, in acqua
sic et simpliciter. Alla fine ha vinto la patata in acqua di pecorino, precisamente in un brodo di bucce di pecorino di cui si sente il profumo ma non si percepisce al palato, rimane molto neutra. Il piatto finito è una amatriciana ridotta a una consistenza setosa, che affonda su una emulsione di pecorino romano semistagionato che a sua volta copre una cipolla stufata e cubetti di guanciale. Da un canto la patata in finta stagnola, in realtà una preziosa foglia argento, ed erba pepe». Voilà, l’amatriciana del futuro è servita.