«Food is human. Il fattore umano è tutto: il cibo stesso, noi cuochi, chi mangia e chi lavora con noi in cucina». Così Gaggan Anand, dal palco dell'Auditorium, ha interpretato, in un discorso coinvolgente tra musica e video e con il suo consueto carisma, il tema 2018 del congresso. Senza cucinare, ha divertito e intrattenuto la platea con il racconto del suo concetto di cucina, fatta di emozioni e nostalgia, che esprime con allegria e un pizzico di follia nel suo ristorante Gaggan di Bangkok, due stelle Michelin nella prima edizione della Rossa in Thailandia, e ben 3 volte primo agli Asia's 50 Best Restaurants (l’edizione 2018 è prevista per il 27 marzo a Macao).
Curry ed emoji ovvero memoria ed emozione - Sul palco di
Identità lo chef è salito indossando la t-shirt “
Hug me, I smell like curry” che esprime bene la sua filosofia in cucina, ironica e molto rock. Sul palco ha rivendicato la profonda identità indiana dei suoi piatti e il grande patrimonio gastronomico, ancora tutto da far conoscere, a cui si ispira. Il curry, per esempio: «E’ una parola non nostra, mia mamma neppure la conosce, ci è stata data dagli inglesi. In India il cibo è sopravvivenza, è vita, non c'è spazio per altro, la vera cucina indiana è rustica, di strada, io ho portato al
fine dining questi piatti».

Paolo Marchi attento in platea
Da qui l’attuale menu fatto di 25
bites, assaggi, da gustare perlopiù con le mani. Se l’estetica della presentazione è giapponese, l’India c’entra sempre, nelle ricette, si è detto, ma anche nell’ispirazione di colori e forme. Come in uno dei suoi piatti icona, il
Rangoli: una costoletta d’agnello cotta al tandoori e incorniciata da un ricamo di crema di patate dolci e barbabietole, che rimanda all’arte decorativa indiana. «La memoria gioca un ruolo importante nel mio lavoro, ma altrettanto le emozioni che muovono le mie idee e coinvolgono chi viene nel mio locale», ha spiegato al pubblico. Da qui due anni fa l’idea del menu illustrato con gli emoji: «Ormai sono simboli universali, è un gioco per incuriosire, solo alla fine i clienti sanno i nomi dei piatti», ha detto.
Lick it up ovvero come ti stravolgo il fine dining - Chi conosce il lavoro di
Gaggan sa quanto sia proprio la sua carica umana a piacere e conquistare il pubblico. E’ uno chef vulcanico, pieno di calore e amante della musica progressive. Una intervista con lui è un
roller coaster di idee e opinioni. Come stare in cucina con lui. Dal titolo di una canzone dei
Kiss, «una delle poche interamente dedicate al cibo», ha detto, è venuta così l’ispirazione per il
Lick it up, il piatto più divertente in menu, che “costringe” i clienti a uscire dalla
comfort zone e vivere il
fine dining in modo assolutamente unico: una composizione a base di crema di tartufo, piselli verdi, fieno greco e pomodori, da leccare direttamente dal piatto.
Una provocazione e un gioco sul cibo (evidenziata bene dal video mostrato alla platea) che non è proprio per tutti ma che
Gaggan non smette di portare avanti: «Il
food cost è il 95%, ho bassi margini ma per me la qualità degli ingredienti, la tecnica e la proposta sono prioritari». Per questo, lo ha detto più volte, chiude nel 2020 e dal 2021 pensa di aprire un piccolo ristorante di 10 posti a Fukuoka, il
GohGan, con l’amico e chef stellato
Takeshi Fukuyama de
La Maison de La Nature Goh.

Gaggan con Gabriele Zanatta, che ha presentato la sua lezione
«Non siamo robot», ovvero la brigata - Da lui lavorano 48 persone da 23 Paesi, ma i turni non vanno oltre le 9 ore. «I miei ragazzi non sono robot, se un cuoco è frustrato anche il cibo ne soffre», ci dice dopo la presentazione. E ai giovani cuochi ci tiene a dire: «
Don't lose your dream», non rinunciate ai vostri sogni. Un tema che gli sta a cuore, perché riguarda anche il suo
background, con tanti momenti difficili prima del successo. E il messaggio arriva al cuore. Non è un caso che tanti giovani aspiranti cuochi lo abbiano fermato in continuazione tra i corridoi e gli stand del congresso, per una foto e una battuta, con la stessa confidenza dell’amico di sempre.