Simone Salvini è uno dei più importanti e illuminati interpreti dell’alta cucina vegetale nel nostro paese. Per questo, è uno degli ospiti fissi del programma di Identità Naturali, la giornata del Congresso milanese di Identità Golose dedicata alla cucina “naturale”. Non farà eccezione questa quattordicesima edizione, che prevede l’appuntamento per sabato 3 marzo.
Simone Salvini non ha dubbi quando gli proponiamo una riflessione sul tema scelto da Paolo Marchi per quest’anno di Identità Milano, il Fattore Umano, su cui molti dei relatori del Congresso 2018 stanno condividendo con noi i propri pensieri.
«Se penso al mio lavoro, al mio modo di interpretarlo - ci dice senza esitazioni - il Fattore Umano è semplicemente il primo ingrediente, la materia prima più importante. Penso al fattore umano nella sua accezione più ampia, penso a tutte le grandi qualità che risiedono dentro di noi, a quell’umanità che io cerco di rispettare ed esaltare nella mia cucina. Non solo per creare un piatto bello, goloso, salutare, ma soprattutto per stare bene insieme, anche tra chi condivide la cucina come luogo di lavoro».
In che senso?
Può capitare che tra chi lavora in una cucina si creino tensioni, difficoltà, per tanti motivi. E dunque è importante fare affidamento sul fattore umano per riuscire a proporre una cucina buona, sana, golosa, divertente. Ma soprattutto per crescere insieme. Potrebbe sembrare una frase astratta, forse ingenua: sono convinto invece che la vera sfida sia mettere in pratica queste idee con molta serietà. Il lavoro deve servire non solo a pagare l’affitto o il mutuo: ma deve anche farci stare bene, giorno dopo giorno.

E’ sempre stato così per te, fin dai primi passi?
Credo che molte persone, incontrate nel mio percorso, mi abbiano aiutato a crescere. Ho avuto la fortuna di entrare in contatto con uomini e donne davvero speciali e ascoltarle mi ha permesso di sviluppare la sensibilità che oggi cerco di mettere nel mio lavoro. Attenzione: non dico di riuscire a mettere in pratica come vorrei queste idee. Ma è quello su cui mi impegno ogni giorno: trovare e mettere più umanità, anche nel lavoro. E’ un bene da coltivare più che possiamo.
Nella tua ricerca sulla cucina, e in particolare sul rapporto tra salute e cucina, quanto c’è di questa idea del cosiddetto fattore umano?
Moltissimo, certo. Io spero di trovare questo approccio in tutta la filiera: da chi ara e coltiva la terra, a chi produce e trasforma i suoi frutti, fino a chi cucina e a chi porta il piatto in tavola, ai commensali. E’ importante che sia così e chi è coinvolto in questa filiera deve impegnarsi perché lo sia sempre di più, con il proprio impegno e il proprio esempio.
So che stai per partire per un viaggio...
Sono in procinto di partire per l’India, sì. Andrò prima nel sud del subcontinente, e poi mi dirigerò a Calcutta: un viaggio in cui studierò e cucinerò, accompagnato da persone decisamente più famose di me come
Folco Terzani ed
Elio Germano.
Come è nata l’idea di questo viaggio?
Io e
Folco siamo amici da molti anni. Mentre
Elio si è aggregato anche per via di quel bellissimo film uscito qualche anno fa, “La fine è il mio inizio”, in cui si raccontano gli ultimi mesi della vita di
Tiziano Terzani.
Germano in quel film interpretò il ruolo di
Folco: così sono diventati amici, anche perché lui è un grande professionista e ha voluto vivere un po’ con
Folco prima di girare, per fare delle esperienze assieme. Ora faremo insieme questo viaggio; loro sono già là e tra poco li raggiungerò anche io.
E cosa avete in programma?
Faremo delle esperienze ascetiche insieme, di studio e di preghiera. Poi io e
Folco andremo a Calcutta, perché voglio provare a cucinare presso il
Nirmal Hriday, la cosiddetta “Casa del moribondo” aperta da
Madre Teresa di Calcutta.
Il viaggio per te è quindi un’occasione di crescita umana?
Sì e questo viaggio è sicuramente un esempio adatto: incontrerò due tipi di umanità. La prima sarà rappresentata da asceti, eremiti, che vivono in solitudine. Persone che cercano il fattore umano attraverso una profonda introspezione, distaccandosi da quasi tutto quello che ci circonda. A Calcutta invece spero di aver modo di cucinare per chi ha bisogno, per chi vive in uno stato di profonda povertà. Incontrando così chi cerca negli altri il fattore umano, donando parte del proprio tempo a chi soffre, a chi si trova in una condizione di indigenza. Due ricerche diverse e allo stesso tempo molto simili, in cui il fattore umano resta l’ingrediente principale.
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