Dici cuz e pensi a Corteno Golgi, paesino della Val Camonica. E’ qui che, da tempo quasi immemorabile, la carne di pecora viene cotta nel proprio grasso per essere conservata per l’inverno. «Una cottura confit ante litteram che non è cambiata nel tempo», racconta Michele Valotti, chef 43enne della trattoria La Madia di Brione, in provincia di Brescia.
Il suo cuz è il ripieno per i Cappelletti di cuz in brodo di bosco, che è il piatto di dicembre per East Lombardy, Regione Europea della Gastronomia 2017 in partnership con S.Pellegrino, e sarà servito con una degustazione di formaggi, una bottiglia di S.Pellegrino e un calice di Franciacorta al WineGate 11 della food court “Italy loves food” dell’aeroporto di Orio al Serio per tutto il mese.
«Mangiare la pecora fa parte della cultura della Valle – spiega
Valotti - Per me rappresenta il massimo del territorio. Noi facciamo il
cuz con la gigante bergamasca, una pecora autoctona che vive in allevamenti estensivi e ha un’alimentazione “grass fed”. Questo fa sì che la sua carne rimanga delicata. Alla trattoria
La Madia abbiamo sempre almeno quattro piatti a base di carne di pecora e prepariamo il
cuz facendo cuocere la carne di pecora gigante bergamasca a bassa temperatura nel suo grasso aggiungendo soltanto odori e sale». Se in passato il
cuz era principalmente un condimento per la polenta o come rinforzo per brodi e zuppe,
Valotti ne fa appunto anche squisiti cappelletti.
«Per condire il piatto che sarà servito all’aeroporto di Orio al Serio ho voluto richiamare il profumo delle foglie del bosco in fermentazione preparando un brodo con miso d’orzo e funghi secchi», continua lo chef che preparerà personalmente sia i cappelletti, sia il brodo lasciando al personale del WineGate 11, coordinato da Vittorio Fusari, il compito di assemblare il piatto.
«Sono soddisfatto dell’iniziativa East Lombardy che ha permesso di parlare e di far conoscere il territorio e di valorizzare le sue materie prime», osserva Valotti che ha dato a La Madia un’identità molto precisa. «Io utilizzo i prodotti dei piccoli produttori locali contaminandoli con alcune tecniche di fermentazione che, però, non sono tipiche delle nostre preparazioni. La mia ottica in cucina è quella dello scambio, della mescolanza che non sia replica asettica di qualcosa, non amo gli arroccamenti», dice lo chef che, prima di mettersi ai fornelli, studiava filosofia e ogni tanto la rispolvera. «Nella vita – conclude – nessuna esperienza deve essere gettata via».