Lo stand monstre del Brasile (oltre 4mila mq) è tutto giocato sul concetto di rete. D’istinto pensi a quella con cui Neymar ha steso ieri sera il Bayern Monaco, ma per una volta il calcio non c’entra. E nemmeno la samba, il fio dental o la caipirinha, perché se c’è una cosa che sta insegnando l’Expo è che col 2015 è bene far calare le tenebre su ogni stereotipo, sfumare paradigmi che non riflettono più lo spirito del tempo.
Al padiglione verdeoro la rete è prima di tutto reale: esiste. Lo sanno bene le centinaia di ragazzini che ogni giorno si mettono in fila per arrampicarsi e saltare su quel reticolato elastico che finora, con l’albero della vita e la madunina, ha la palma dell’oggetto più paparazzato all’Esposizione universale. Ogni piccolo movimento di chi saltella sulla trama è tradotto in impulsi che modificano in modo lievemente percettibile il suono e la luce circostante.
Il divertente excursus è la patina che avvolge un padiglione piuttosto serioso, sviluppato su 3 piani che scalano tre concetti: tecnologia, cultura e condivisione. E la rete, questa volta metaforica, è quella che vorrebbero tessere tra il loro paese, leader mondiale della produzione alimentare, e le aziende del mondo, che in tanti casi offrono un saper-fare più evoluto. Un orientamento business to business sul quale al momento sorvoliamo.

La churrascaria del piano superiore è illuminata da lampade disegnate dagli indigeni Yawanawà
E così, dopo uno sguardo veloce a ortaggi, piante, fiori e frutti che stanno sotto alla rete vera e propria, appena dietro, al piano terra, assistiamo alla parte più interessante. È una mostra e titola
Alimentário|arte e construção do patrimônio alimentar brasileiro (arte e costruzione del patrimonio alimentare brasiliano) e cerca di definire le possibilità di dialogo tra l’arte e la gastronomia, due discipline - lo abbiamo scritto tante volte - che dopo anni (millenni) di incompatibilità, finalmente si annusano con insistenza canina.
Comprende installazioni, testi, documenti storici, utensili da cucina, foto e video che esprimono la grandezza di una cucina armonizzata nei secoli tra influenze africane, indigene e portoghesi. Che arrivano dritte subito al naso, per esempio attraverso l’installazione profumata di Ernesto Neto: chiodi di garofano, curcuma, pepe nero e cumino che sprigionano prepotenti da una bizzarra scultura. Attenzione: la mostra - ben più ricca dello spazio che ci è concesso qui per scriverne - termina a fine maggio, quindi occorre affrettarsi.

E nel piatto? Churrasco, la carne alla brace che dilaga nel sud del paese (FT Foto)
E il cibo? È confinato in due spazi: al piano terra c’è il
Bar do Brazil, un posto easy per spararsi un
Pão de queijo (panino al formaggio) o una
Linguiça (salsiccia) con diverse guarnizioni, sorseggiando a scelta un
suco fresco o una
cerveja. Al primo piano c’è una
churrascaria un poco più elegante, da 40 sedute. Ogni sedia è diversa dall’altra e la carta include anche un menu degustazione (45 euro) di 3 piatti:
Salpicão de frango e maionese (Insalata di pollo con salsa di yogurt e patate);
Guarnições (riso, vinaigrette, feijoada e banane fritte) e un imperiale
Rodizio de carne (barbecue di pollo, salsiccia, maiale, tacchino e bacon, ananas e cannella).
Peccato solo che il programma non contempli alcuna parentesi sui supercuochi di nuova generazione, quelli che stanno lentamente rivoluzionando la grammatica gastronomica del paese. Una piccola incoerenza per un paese proiettato in avanti come pochi.