Da qualche tempo Oscar Farinetti pare ossessionato dalla biodiversità italiana. Ne parla di continuo, diffusamente, in ogni occasione, in tutte le interviste; investe tempo, denaro ed energie nel propagandarne l’idea, fornisce dati su dati, che i giornali di destra si divertono a mettere in discussione giusto per dar contro a un imprenditore “di sinistra”, addirittura renziano, Insomma per spirito partigiano, laddove tale aggettivo appare davvero mal posto.
Ecco,
Farinetti fa bene, benissimo. Ha straordinariamente ragione. Da grande comunicatore, oltre che
businessman, sa che è il giusto modo per risvegliare un’autocoscienza che langue. Ricordo un’espressione di
Philippe Daverio, tanti anni fa, quando era assessore meneghino alla cultura: «L’anima di Milano va massaggiata», per ridestrarla (per inciso, ci si sta riuscendo ora, con la città tirata a lucido e con Expo). Ecco, il patron di
Eataly massaggia l’anima italiana, vuole diffondere un orgoglio per il Paese, un senso di appartenenza che c’è poco, o non c’è, anzi non c’è mai stato, almeno nel dopoguerra. Vuol essere il Mecenate del buono.
Per questo riunisce attorno a sé persone quali lo scenografo
Dante Ferretti (dieci nominations all’Oscar, tre vinti, tanto per intenderci) o
Vittorio Sgarbi (che vedrebbe in
Farinetti anche un Mecenate del bello) e li vuole ospiti a incontri come quello di ieri sera. E invita noi di Identità Golose a una partnership «perché siete voi l’eccellenza italiana nell’alta cucina», una coppia di fatto insomma. Motivazione: «Abbiamo il primato della biodiversità, il 70% del patrimonio artistico mondiale, siamo il primo Paese al mondo come meta desiderata dai turisti, ma scivoliamo al quinto posto come Paese effettivamente visitato. La Germania esporta il doppio di noi nel comparto agroalimentare! Gap da colmare».
Ne sono nati quattro eventi in cui l’Italia del gusto incontra gli altri continenti e il loro rappresentanti, a Expo, ne abbiamo già parlato
qui; ieri appunto il primo, “Nord America e Italia”, con
Paolo Marchi che ha messo in campo tutta la sua esperienza e conoscenza per innervarlo di qualità chiamando ai fornelli tre pezzi da novanta che sappiano interpretare la congiunzione possibile tra le grandi materie prime tricolori e sapori, tecniche, spirito nordamericani.

Il nuovo segno distintivo dei prodotti davvero italiani all'estero, presentato ieri
Quindi
Cristina Bowerman, laurea in Arti culinarie alla Culinary Academy di Austin, Texas, una che avrebbe potuto tranquillamente fare la scrittrice, e il titolo di un suo libro parla da sé:
From Cerignola to San Francisco and back (e sarà a
Identità Expo dal 5 al 9 agosto);
Marco Stabile, di così sicura toscanità che pare strano sapere come abbia gestito a lungo un ristorante a Miami; e
Lidia Bastianich, a 12 anni emigrata negli Usa, dove ha fondato nel 1971 un impero della ristorazione italiana in salsa
yankee. Ai tavoli, oltre ai già citati, il meglio dell’America del Nord a Milano, i responsabili dei padiglioni, i consoli statunitense e messicano e così via (a proposito, sapete che il capoluogo lombardo è la città che ospita più consolati al mondo? Ha superato New York).
E c’era anche
Riccardo Monti, uno che parrebbe riuscire a far finalmente funzionare addirittura l’
Ice, l'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane: a lungo uno scandalo nazionale per inoperosità, ora quasi un vanto, nelle nuove vesti di
Ita, Italia Trade Agency, della quale
Monti è divenuto presidente dell’aprile del 2012, realizzando tra le altre cose
operazioni di video-marketing come questa che dovete vedere qui, un messaggio straordinario. E promuovendo – l’anteprima proprio ieri – un uovo di Colombo mai deposto prima d’ora come il marchio che caratterizzerà all’estero il vero prodotto italiano, “The Extraordinary Italian Taste”, lo vedete
qui e sopra, partirà una campagna di comunicazione da 35 milioni di euro, per ora in Illinois, California, Texas e Stato di New York.
Ma di cucina noi dobbiamo parlare: è stata di qualità sorprendente per una cena così frequentata. Dopo un aperitivo con Franciacorta Monterossa e
Grana Padano, la
Bowerman ha proposto un
Ceviche all’italiana con cornbread e ‘nduja: sorta di triangolazione tra Italia, Messico e Texas, dove i frutti di mare di Cafagna, San Felice Circeo (ma c’erano anche dei gamberi di Mazara del Vallo), nuotano in un gazpacho molto liquido, con mandorle croccanti, cerfoglio, coriandolo, mais, mele, sedano e succo di lime, il tutto accompagnato da
cornbread, il pane di mais degli States aromatizzato per l’occasione con la ‘nduia calabrese.
Crossover ad altissimo tasso di aromaticità, freschezza, golosità.

Il piatto di Marco Stabile, Risotto americano barbecue style
Poi
Marco Stabile, che ha pensato a un
Risotto americano barbecue style: dunque un Acquerello in un brodo al whisky Talisker – che gli dona eccellenti note affumicate – e mantecato con
pimentòn piccante de la Vera, mela cotta con spezie cajun, cipolla di Certaldo caramellata nella salsa di soia e un riso selvaggio canadese cotto con le spezie, poi spappolato e fritto per ricavarne una sorta di riso soffiato croccante che fa da guarnizione finale al piatto. Muscoloso e squi-si-to.
Per il piatto di carne «
Lidia Bastianich (regista in cucina degli sforzi dei suoi chef
Eduardo Valle Lobo e
Kelly Jeun, ossia dall’America all’
Orsone di Cividale del Friuli,
ndr) era scatenata, voleva portare la carne direttamente da New York», ha raccontato
Farinetti, che le ha suggerito invece un’eccellenza italiana, ossia
La Granda di
Sergio Capaldo, «l’ho pregato di non farmi fare brutta figura!». Esito clamorosamente succoso, lo testimonia
questo tweet di
Marchi, per una
New York style aged rib eye steak accompagnata da spinaci alla crema e
baked potatoes.
Finale dolce con
Luca Montersino, che sarà il pasticcere di tutti e quattro gli eventi: ha fuso insieme tiramisù e cheese cake, con guarnizione di salsa caramellata alla nocciola e caffè. I brindisi erano di Fontanafredda, Le vigne di Zamò e Bastianich, il fascinoso
Joe in sala a fare anche da traduttore.
I piatti erano di porcellana
Rosenthal, «un marchio tedesco che abbiamo scelto solo perché nel 2009 è stato acquisito dall’italiana
Sambonet Paderno», ha concluso il patron Eataly. Prossimo appuntamento il 10 giugno con l'Asia "all'italiana" interpretata da
Enrico Panero del ristorante
Da Vinci di Eataly Firenze (alle prese con contaminazioni tra Italia e Cina),
Haruo Ichikawa di
Iyo a Milano (Giappone) e
Barbara Scabin, sorella di
Davide, del
Blupum di Ivrea, Torino, con un piatto di matrice indiana.