Terzo incontro di Identità di Pasta, «uno spin off dell’appuntamento ormai tradizionale a Identità Milano» come spiega Eleonora Cozzella introducendo l’ospite di giornata, Andrea Aprea, da quattro anni al Vun del Park Hyatt di Milano, dopo tante esperienze in giro per il mondo, su tutte quella al Fat Duck da Heston Blumenthal, a preparare mille e mille volte il Salmone alla liquirizia («Quanti ne ho impiattati!»).
Aprea è napoletano, ha la pasta nel sangue e Gragnano, la patria dell’alimento italiano più famoso del mondo, nel cuore. E da Gragnano – a proposito, da un mese la produzione locale si fregia del marchio Igp - viene un formato assai conosciuto in Campania, molto meno nel resto del Paese, la calamarata.

Andrea Aprea con Eleonora Cozzella a Identità di Pasta
Lo chef propone questa pasta particolare, di personalità, che ricorda appunto gli anelli di calamaro, in una ricetta appositamente studiata per Identità di Pasta, dunque assaggio inedito che presto andrà ad arricchire anche la carta del
Vun:
Calamarata con genovese di vitello e mousse di pecorino allo zafferano.
«Un piatto più di pancia che di testa, andiamo a scovare forti radici col nostro passato. E’ la bontà della domenica», spiega lo chef, che dunque innanzi tutto riattualizza la genovese che, come la calamarata, è squisitezza che non ha varcato più di tanto i confini campani, nonostante il nome, sul quale esistono due versioni. La prima vuole che a prepararla fossero marinai liguri di stanza nel porto di Napoli, all’epoca degli Aragonesi; la seconda vuole far derivare il nome a un monsù, un cuoco di corte assai apprezzato, originario di Ginevra: da qui la storpiatura.
Comunque sia, Aprea alleggerisce la preparazione, utilizzando vitello invece che maiale o manzo come da tradizione (e le parti più ricche di collagene, per dare consistenza al sugo); le proporzioni rimangono invece quelle tradizionali, metà carne e metà cipolla – la Ramata di Montoro -, con la verdura a donare il tipico colore rossastro per via della caramellizzazione degli zuccheri durante la lunga cottura. Non c’è pomodoro!
Poi il cuoco prepara una mousse di pecorino romano, scelto perché è più sapido, «in questa ricetta non c’è altro sale», cui aggiunge gli stimmi dello zafferano. Infine qualche foglia di crescione acquatico, «che conferisce note piccanti e amare, mentre la genovese è dolce, il pecorino sapido, la pasta dona masticabilità. E’ un piatto molto goloso, con picchi aromatici intensi e che spinge a una bella salivazione». Detto in altre parole, ne mangeremmo ancora e ancora.
Come abbinarlo? Eleonora Cozzella chiama in causa l’esperta sommelier Cinzia Benzi, che come sempre non delude: «Questo è un piatto complesso che rende difficile la scelta. Penso però a un vino bianco di media struttura. Dato che lo chef è campano d’origine, potrebbe essere un Greco di tufo, un Fiano invecchiato... Oppure si può optare per una bollicina a base di chardonnay, la cui acidità regalerebbe tanta freschezza».
Aprea annuisce. Classe 1977, figlio d’arte, è uno che ascolta e lavora, studia e cresce. E’ considerato un partenopeo atipico (a Napoli lo chiamano 'O marziano): fantasia ma disciplina. Oltre al citato Blumenthal, ha fatto altre esperienze importanti (in Inghilterra anche al The Waterside Inn del francese Michel Roux e al Ledbury dell'australiano Brett Graham; al KL Plaza di Kuala Lumpur; al Rossellinis di Ravello con Pino Lavarra, da Elio Sironi al Bulgari di Milano, a Napoli a Il Comandante); ma in fondo ben formativa per lui è stata anche l’esperienza da parà…