01-06-2023

Pomo d’Oro, l'irresistibile evoluzione storica del frutto, raccontata nel piatto di Salvatore Bianco

Nel suo nuovo menu, lo chef del Comandante del Romeo Hotel, è autore di una narrazione colta e popolare sui percorsi globali del simbolo commestibile di Napoli

Il concetto di evoluzione del cibo sta sempre più nel riuscire a valorizzare, con l’ausilio della tecnologia e degli studi scientifici, cibi di antica memoria, strettamente legati al territorio di provenienza. Sono preziosi custodi dei ricordi legati al piacere della convivialità della tavola, alla condivisione, alla partecipazione della comunità ai processi di produzione e ai tanti riti celebrativi dei quali spesso sono simbolo iconico. Su questa enciclopedia di principi e saperi nasce Pomo d’Oro, il nuovo piatto di Salvatore Bianco, che segna significativamente il menu inaugurante la ripartenza del Comandante, il fine dining del Grand Hotel Romeo di Napoli, dopo più di un anno di sosta.  

Come nasce Pomo d’Oro? Per valorizzare, secondo chef Bianco, uno degli ingredienti principe di Napoli, anzi, definito spesso il re nelle grandi campagne promozionali, passate e recenti. Nel nuovo menu, Salvatore intende fare una narrazione, colta e popolare allo stesso tempo, della città, partendo dalle origini greche di Parthenope, passando per la Neapolis romana, poi per la Napoli illuminata di Federico II di Svevia, fino all’innovativo Regno di Napoli fondato dai Borbone (spagnoli di origine francese). Proprio questi ultimi misero in campo una maestosa e importantissima rivoluzione agricola, fortemente voluta da Ferdinando IV: siamo nella seconda metà del Settecento, e l’agricoltura diviene altamente specializzata, materia importante di studi accademici, oltre che settore imprenditoriale di sviluppo economico.

La nuova cucina del Comandante

La nuova cucina del Comandante

Quella lingua di terra compresa tra il vulcano e il mare Mediterraneo, con il suo clima soleggiato, naturalmente protetto dal golfo, e i suoli fertili, è particolarmente generosa e adatta all’agricoltura, favorendo una vasta biodiversità e regalando prodotti di altissimo pregio. Proprio in questo periodo, entra letteralmente in campo il pomodoro, anzi tomate, così lo chiamavano gli spagnoli, da tomatl in azteco, poiché il Messico è la terra di origine del frutto sugoso e saporitissimo che gli aztechi consumavano già in salsa. Era il 1540 quando lo spagnolo Hernán Cortés, conquistatore del Messico nel 1519, rientrando in patria portò con se i tomatl.

Mentre fu il vicerè del Perù a donarne i semi a Ferdinando II, Borbone di Spagna, re di Napoli. Quanta storia, quanta contaminazione di culture e di intenti, molto diversi tra loro, segnano la grande rivoluzione della cucina italiana e europea, con l’entrata in scena del pomodoro! Dobbiamo attendere la metà dell’Ottocento perchè la grande rivoluzione abbia inizio: l’incontro della pasta secca, anche questa grande intuizione di napoletani, con il pomodoro segna il passaggio di questo popolo numerosissimo e ingegnoso da mangiafoglia a mangiamaccheroni. Il piatto simbolo dei mangiafoglia, la minestra maritata, cede lentamente il passo ai mangiamaccheroni e a tanti altri piatti dove il condimento principale è oramai il pomodoro. Questo passaggio a sua volta è protagonista del nuovo percorso di Salvatore Bianco, con un menu dedicato tutto vegetale, Mangiafoglia, e il piatto Mangiamaccheroni nel menù Evoluzione.

Ma come si diffuse così velocemente il pomodoro nelle cucine degli italiani ed europei?

Certamente non era sufficiente che il San Marzano con Ferdinando II si radicasse nell’agro nocerino sarnese, dove tutt’oggi esiste la dop. Fu il geniale intuito di Francesco Cirio, di origini piemontesi, dopo l’Unità d’Italia, a portarlo alla ribalta, investendo significativamente, e con enorme successo, nell’industria conserviera a Napoli. Quel San Marzano pelato e messo nelle scatole di latta viene osannato con campagne di comunicazione e marketing ben pensate e efficienti, su territorio italiano e europeo. Il suo sapore straordinario convinse e dominò il mercato, cambiando del tutto gli usi gastronomici, le cucine regionali, l’economia napoletana finalmente in costante crescita.

La brigata di cucina. Da sinistra a destra, Giuseppe Voto, Roberto Boemio, Salvatore Bianco, Raffaele Langella, Angelo Artucci, Giuseppe Scala. Assente nella foto, il primo pasticciere Antonino Maresca (foto Zanatta)

La brigata di cucina. Da sinistra a destra, Giuseppe VotoRoberto BoemioSalvatore BiancoRaffaele LangellaAngelo ArtucciGiuseppe Scala. Assente nella foto, il primo pasticciere Antonino Maresca (foto Zanatta)

Pomo d’Oro intende giocare sul tema, per quanto complesso per la storia importante che racchiude in ogni piccolo seme. Una portata sviluppata in tre assaggi, dove sono protagoniste più varietà campane: pomodoro San Marzano, pomodorino del piennolo del Vesuvio, corbarino dai monti della prima parte della penisola sorrentina, datterino, pomodoro caramella e il cuore di bue sorrentino. Domina e dà il via alla degustazione il San Marzano, ricoperto dalla foglia d’oro per enfatizzarne la regalità. Non utilizza condimenti lo chef, ma la tecnica per valorizzare l’umami di cui il pomodoro è ricchissimo, è un concentrato di glutammato libero naturale, che spinge verso l’alto conferendo sapore verticale, ricavato attraverso un’osmosi inversa, ovvero non si estrae ma si concentra. Si accompagna con il brodo da bere, ottenuto da estrazione di pomodoro caramella, la parte dolce, San Marzano condito con maionese di pomodoro del piennolo, acidità e umami. Tartare di pomodoro corbarino asciugato, condito con pepe rosa selvatico del Vesuvio e finocchetto, è il passaggio  in posizione centrale, di una eleganza straordinaria.

Si finisce con un altro pomodoro campano molto saporito, in questo caso uno dei migliori da gustare crudo in insalata: viene osmotizzato con succo di pomodoro datterino e condito con germogli di basilico, gel della propria acqua vegetativa, un filo d’olio extravergine di oliva, e concentrazione di pomodoro caramella per dare un po’ di dolcezza. Stupisce l’apparente semplicità del piatto, in realtà complesso per le tecniche impiegate e per la diversità di sapori che spingono al palato, in una giostra di sali scendi che incuriosisce lungamente.


Ricette d'autore

Marina Alaimo

di

Marina Alaimo

nata a Napoli, è giornalista, sommelier e degustatrice Onaf, oltre che di vini ovviamente. Wine & food writer

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