Premessa: il cibo è di assoluto livello. E il cibo, con le sue 22 portate in programma accompagnate di relativa bevanda (si va dal vino alla birra, dal sidro all’acqua aromatizzata e al te), è il protagonista del parkour sensoriale di oltre 4 ore che ci si prepara a fare. Il percorso pero è come un romanzo di formazione a tappe, che implica diversi stati d’animo. La prima impressione è quella di essere in un delizioso ma anche un po’ intimorente Truman Show.

La sigaretta di foie gras
Nel suo
Ultraviolet infatti, grazie a due ingegneri e 4 tecnici audio e video, lo chef francese
Paul Pairet controlla tempi, modi, reazioni emotive, environment, financo le papille gustative dei commensali… e tutto con le armi della cucina e i joystick della sua
hi-tech control room. Superata la prima mezzora, man mano, la tensione si fa curiosità, l’attesa si fa presa di coscienza, la bocca aperta si fa deliquio.
One dining table da 10 posti,- tavolo e sedie stile
Matrix - inserito in un imax-spazio con immagini a 360 gradi,
dolby surround, emulsori di essenze digitali: ti siedi e ti rendi conto di aver consegnato il tuo libero arbitrio alla mercè della
psychotaste experience del demiurgo
Pairet.
Si parte con il countdown sonoro e la sala diventa il set di "Viaggio al centro della terra": le pareti sembrano muoversi e il tavolo sembra precipitare nell’abisso. Si materializza una campana, rintoccano le note di "Hells bells" degli AC/DC e 10 inservienti vestiti stile box
Mclaren e capeggiati dal bravo general manager
Fabien Verdier, servono la prima delle 22 esperienze: l’
Ostie, un’ostia di granita di mela e wasabi. La cucina di
Pairet infatti è una sapiente commistione di tradizione europea con forti suggestioni asiatiche.
Poi arrivano in sequenza altri shot come la
Sigaretta di foie gras (un classico gia del
Mr & Miss Bund), la pop rock
Oyster con te verde, il
Crispy fish con capperi e acciughe, il
Cuttlefish con spezie del Sichuan, l’
Aragosta cotta in acqua di mare, la
Bruschettina al tartufo (l’unico piatto che
Pairet ha mantenuto dal
Jade on 36 fino a oggi), fino alla
Bouillabaisse e il
Frozen cucumber lollipop, il tutto in un alternarsi di ambientazioni dove a ogni piatto si accompagna una serie di suggestioni sensoriali che sprofonda il commensale alla radice degli ingredienti (dunque per l’aragosta si è immersi tra immagini e suoni di flutti che si abbattono sugli scogli, con essenze di salsedine immesse nella sala).
Terminata la prima parte, si comincia coi
main course. C’e il
Seabass ispirato al
Louis XV di
Ducasse, la
Costa d’agnello al tartufo, il
Filetto di Wagyu grigliato senza griglia, l’alchemico
Gazpacho di fragola, fino allo show nello show del formaggio messo nel forno a micro-onde e dell'
Insalata croccante servita tra fumi di ghiaccio secco. Va detto che i piatti, ancorché notevoli, sono serviti sempre in un mood di grande simpatia e di non pretenzionsità.
Ultraviolet è tutto tranne
nosy.
Verdier è bravissimo a giocare su una finta goffaggine, quando accenna una veronica nel porgere un piatto, quando intona l’olè nel servire il gazpacho o azzarda il
sirtaki prima della ellenica
carrot cake. L'affabilità del servizio fa da perfetto contrappunto alla glacialità dell’hi-tech.

Paul Pairet e Claudio Grillenzoni
Si termina con la visita alla tech-cucina e con il carosello intorno allo chef mentre prepara uno dei 5 dessert, tra domande, foto, celie in totale
easygoingness. Il romanzo di formazione volge all’
happy ending. Difficile dire se
Ultraviolet è il più buono, il più techno, il più piccolo, o il più bizzarro ristorante d’Asia. I primati lasciamoli agli esperti. Di sicuro è uno dei piu sperimentali, uno dei piu
challenging, uno dei piu simpatici e uno dei meglio riusciti degli ultimi tempi.