Riaprire in questo momento penso sia già cosa difficile per molteplici motivi: i costi di sanificazione sono sostanziosi, le spese da sostenere per l’acquisto di materiali a norma e per la ricostruzione degli spazi pure. Aprire poi significherà porre fine a tutte le agevolazioni statali messe a disposizione di noi tutti dipendenti e delle aziende. Infine, cosa forse più importante, al momento studiare strategie per ottimizzare al massimo la ripresa è cosa del tutto improba, vista la situazione mutevole e i cambi di direzione nelle scelte del Governo.
In molti sono convinti che la soluzione per restare a galla e ripartire sia tornare a proporre piatti della tradizione; altri sono convinti di puntare il tutto per tutto sui rapporti umani, dunque molto più calore, coccole ai clienti e magari maggiore presenza al tavolo.

Lo staff di Acquolina a Roma
In tutti questi anni in ogni scelta fatta ho sempre cercato di immedesimarmi nei panni degli ospiti che avevo di fronte; di immaginare quali fossero le loro preferenze gastronomiche, il tipo di servizio e interazione che potessero preferire... Ma forse prima d’oggi cio che si immaginava fosse giusto rispecchiava solamente ciò che noi uomini della ristorazione pensavamo, avendo noi stili di vita diversi, ritmi e pretese che non rispecchiano la vita è i desideri gli altri.
Credo che questi due mesi di quarantena ci abbiano aiutato a capire ciò che è veramente per il resto del mondo la normalità; partendo già dal semplice andare a letto a un orario decente, prepararsi un pranzo con le proprie mani, avere modo di guardare un telegiornale e tempo libero a sufficienza durante la giornata. Persino stufarsi perché non si ha nulla da fare.

Cascone con lo chef di Acquolina, Daniele Lippi
Tutti a casa ci siamo catapultati dietro i fornelli, ognuno di noi preparando piatti della tradizione, o qualcosa del genere, in base a quanto sapevamo fare.
Quindi mi chiedo: chi è colui che da inizio giugno vorrà uscire a cena col desiderio di andar a mangiare un piatto di lasagne? O una carbonara? Io, personalmente, no: in due mesi l’avrò mangiata almeno una volta a settimana.
Inoltre mi chiedo: chi di voi, andando a cena fuori, avrebbe piacere di trovarsi un cameriere sempre al fianco, che col massimo impegno cerca di coccolarvi, cercando un interazione verbale. Chi sarebbe tranquillo se questi si avvicinasse spesso per chiedervi come va?
Penso che ciò che farà la differenza in un ristorante, almeno in questa fase iniziale di diffidenza totale, sarà solo ed esclusivamente ciò che la faceva anche prima: ovvero ciò che si proporrà nel piatto, il prezzo dell’offerta e la qualità degli spazi offerti.
Sono solo mie supposizioni, intendiamoci. Perché l’unica vera certezza, al momento, è l'assenza di certezze.