Si è scritto tanto di Sirio Maccioni, ristoratore italiano divenuto una leggenda a New York, in occasione della sua morte lunedì scorso, 20 aprile. Sirio ha chiuso gli occhi per sempre dove li aveva aperti per la prima volta il 5 aprile di 88 anni fa, a Montecatini Terme. Tra i due estremi, una vita di successo concreto e per nulla episodico.
Nel saluto della newsletter di Identità di martedì, che può essere letta cliccando qui, avevo scritto che «adesso che si presta tanta attenzione al servizio di sala, lui sarebbe stato un formidabile cicerone da ascoltare per giorni e giorni, una enciclopedia da mandare a memoria».

Gli otto otimi chef francesi passati per la cucina de Le Cirque. Dall'alto a sinistra in senso orario: Alain Sailhac, Daniel Boulud, Sylvain Portay, Jacques Torres, Alain Allegretti, Christophe Bellanca, Olivier Reginensi e Raphael Francois
La Cirque a New York, pensando al suo locale simbolo, era un perfetto equilibrio tra vip, quelli veri; una cucina rassicurante, ricca e golosa, mai cervellotica, a prova di gastro-deficiente, e la sensazione di vivere una serata unica, tu che non eri il papa, Giovanni Paolo II per la precisione, e nemmeno un ex presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon ad esempio poteva mangiare in cucina.
Tra le mille cose lette, spicca la leggenda dei tavoli volanti o che volavano, fondamentale. La fama del Le Cirque, aperto nel 1974 e chiuso il 31 dicembre 2017, arrivò passo dopo passo, con tanto impegno e alcune attenzioni importanti. Guai se i tavoli non erano tutti occupati, il posto doveva trasmettere la sensazione di costante tutto esaurito ma i primi anni non era affatto così. Però la percezione era quella e ogni cliente era convinto di avere ricevuto, a fatica, l’ultimo tavolino libero.

Con il maestro pasticciere Francisco Gutierrez, il maestro della leggendaria creme brulée de Le Cirque
Semplicemente accadeva che camerieri bravi a muoversi come acrobati o giocolieri, facessero sparire con discrezione i tavoli vuoti, allargando gli spazi di pochi, decisivi centimetri. Volavano via e poi magari tornavano verso tarda ora, i tavoli. Così
Le Cirque appariva sempre pieno e nessuno si accorgeva del trucco.
Che la sala lì fosse tutto, è evidente da una constatazione di questi giorni: nessuno ha celebrato Maccioni e la sua bandiera per quello che si gustava, ma per come i clienti venivano serviti. E dire che per quelle cucine sono passati otto bravissimi chef, tutti e otto francesi tanto che, dettaglio spesso lasciato in ombra, Le Cirque in America era considerato a tutti gli effetti un’insegna di cucina francese, verità scomoda per un Paese come l’Italia che ama l’improvvisazione, spesso l’arte degli improvvisati.
Per il grande patron toscano i cuochi nostri cugini erano molto più professionali, tutto qui. Cosa che non frenava il loro turn over, dettato spesso dalla loro voglia di far carriera in prima persona ma pure dal carattere del toscano. In tal senso c’è una famosa foto di
Daniel Boulud con addosso una maglietta con sopra scritto «I survived Sirio!», sono sopravvissuto a
Maccioni. Uno per il quale i successi nascevano in sala.
E questo è stato spiegato splendidamente nella pagina di Instagram dello scomparso, un breve ma efficace testo accanto a un collage dei più importanti collaboratori del gruppo: «Questi sono solo alcuni dei grandi generali che hanno aiutato Sirio a realizzare la magia che si creava nella sala da pranzo. Siamo orgogliosi di avere avuto ottime brigate di cucina, ma, come italiani, il nostro credo riflette il sistema calcistico del catenaccio (in italiano nel testo, ndr). Sirio credeva nella forza del servizio e la magia del Le Cirque è stata resa possibile proprio da una difesa dura come il granito».

Helenio Herrera e Nereo Rocco all'ingresso in campo prima di un derby di Milano. Soprannominati rispettivamente il Mago e il Paron, il primo allenava l'Inter e il secondo il Milan. Entrembi credevano fortemente nel catenaccio a difesa delle loro porte
Lui come
Herrera,
Rocco e
Trapattoni, allenatori eccezionali per i quali il miglior attacco era la difesa. Primo non subire gol, poi si hanno a disposizione 90 minuti per trovare in qualche maniera un gol da tre punti. Al massimo si pareggia 0 a 0 e metti in saccoccia un punticino. Ovvio che con una simile filosofia, i cuochi francesi prima o poi cambiassero aria. Non avevano un palcoscenico sul quale scatenarsi. Il loro titolare nel 2011 spiegò in un’intervista ad
Andrea Gori in
Dissapore come concepiva la sua cucina: «I piatti da me sono rassicuranti, pensati per il cliente che si affida a te chiedendo
il solito. Pertanto ai miei cuochi insegno come si prepara un grande bollito misto». Che la sala trasformava in oro e a volte difendeva un piatto mediocre come una squadra catenacciara un golletto fortunoso.