L’espressione Jordnær in danese equivale a dire "Down to Earth": non tanto rimanere "coi piedi per terra", quanto "torniamo a tenere entrambe le gambe solidamente piantate", lì, nel terreno che è la nostra casa, il nostro nutrimento, la fonte del nostro equilibrio, il memento della nostra umiltà.
Un’ispirazione, questa, che nella ristorazione e nel servizio incontra uno spettro potenzialmente infinito di declinazioni, dal coltivare le proprie barbabietole per farne un piatto iconico e minimalista, con formaggio di capra e rabarbaro, all’accogliere i propri avventori in una sala familiare, in perfetto stile scandinavo con tanto di travi di legno bianco a vista, con l’unico desiderio di farli stare bene: non solamente "come a casa", anche qui (trattandosi peraltro di un’espressione quantomai abusata e sempre distante dall’effettiva realtà di un due stelle Michelin), ma più precisamente unici e speciali, conosciuti e riconosciuti, come quando si accoglie per cena - in questo caso sì, a casa propria - un ospite atteso da tempo che non vedevamo l’ora di avvolgere con tutte le attenzioni di cui siamo capaci.

Un momento della premiazione: Camilla Lunelli, a sinistra, tra Thomas Giertsen, Tina Kragh Vildgaard e Gwendal Poullennec
Sarà merito di questo approccio - umile ma concreto - che quest’anno l’esuberante coppia formata da
Eric e
Tina Kragh Vildgaard ha conquistato con il suo ristorante
Jordnær, in Danimarca, non solo la seconda stella in base il giudizio della Rossa, ma con essa anche il riconoscimento
Welcome and Service per la migliore accoglienza nei Paesi Nordici, assegnato grazie alla partnership con
Cantine Ferrari proprio col desiderio di segnalare quel locale che più si è distinto per la capacità di offrire davvero all’ospite un’esperienza fuori dall’ordinario.
Un doppio blasone che è servito ad accendere all’improvviso un gigangesco riflettore sull'indirizzo che i Vildgaard hanno testardamente voluto aprire a Gentofte, alla periferia nord di Copenaghen, correndo il rischio di restare un po’ all’ombra rispetto ai fuoriclasse della capitale (Eric ha al suo attivo, tra l’altro, un passaggio al Noma, dove’è rimasto il suo - già parecchio famoso - fratello Torsten) e invece dimostrando l’audacia e il talento di chi, con le idee chiare, è pronto a bruciare le tappe.
«Il nostro pensiero fondamentale era quello di creare un ristorante dove avremmo voluto cenare noi stessi e, soprattutto, sentendoci molto a nostro agio nel farlo», racconta Tina, che di quel premio è sicuramente la titolare: in sala è lei la padrona di casa, il primo volto che gli ospiti incontrano all’ingresso e l’ultimo che salutano.
Ma cosa c’è in mezzo? «Vogliamo che gli ospiti lascino il nostro ristorante senza pensare che qualcosa sarebbe potuta andare diversamente», lei ne è certa: «La chiave è questa: il miglior servizio è quello che non noti». Ma proprio affinché possa non notarsi, richiede una preparazione quasi maniacale, poi completamente assimilata, assorbita dall’essenziale combinazione di «presenza e autenticità».
«Cerchiamo di personalizzare l'esperienza il più possibile - racconta Tina - e per questo cerchiamo di entrare in contatto con gli ospiti personalmente ancor prima che vengano a trovarci. Facciamo una ricerca approfondita su chi potrebbero essere e orientiamo gli spunti della conversazione, anche le più piccole osservazioni, nella direzione in cui loro potrebbero sentirsi "visti" e, di conseguenza, speciali ai nostri occhi, come effettivamente sono».
Un gioco sottinteso, ma denso di naturalezza, a cui
Eric e
Tina - che innanzitutto sono una famiglia e qui si sentono, insieme al loro team, una forte squadra alla «tutti per uno, uno per tutti» - giocano sempre insieme. Tanto più che per scelta hanno deciso che siano gli stessi cuochi, insieme allo staff della sala, a portare i piatti in tavola «non solo come segno di servizio diretto e personale, ma di modo che si possa in modo più coinvolgente e appassionato raccontare il lavoro che c’è dietro ogni preparazione, esprimendo, laddove loro se ne dimostrino curiosi, la conoscenza più approfondita di ogni singolo aspetto».
Ci penserà poi la stessa Tina a riservare agli ospiti un tocco di gran classe e preparazione, attraverso meticolosi ma disinvolti abbinamenti ai vini, che attingono a una wine list «in cui - assicura - abbiamo messo solo le bottiglie che ci piacciono. Non ci sono quelle che non saremmo felici di servire a noi stessi. A questo criterio, uniamo nella selezione un’attenta predilezione per le etichette che immaginiamo perfettamente complementari alla cucina di Eric. E facciamo sì che non manchino mai i vini preferiti dai nostri ospiti, dato che molti di loro sono ormai clienti abituali».

Due piatti del Jordnær. Qui Gamberi crudi, wasabi, aneto...

...e qui Germano reale, prugne, sottaceti estivi
Pur da questo luogo defilato e riservato,
Tina Kragh Vildgaard dimostra uno sguardo lucido su quale sia oggi il valore del servizio nell’alta ristorazione europea e su quali siano le sfide che il futuro riserva: «Resto certa che il futuro sia personalizzare sempre di più l'esperienza degli ospiti prima, durante e dopo che l’hanno compiuta. È importante che sentano che hai riflettuto su tutti gli aspetti della loro visita e che hai fatto uno sforzo di attenzione per loro prima ancora di accoglierli nella tua casa, dove trascorreranno il loro tempo con te. Ed è importante che lo trovino perfettamente in armonia con i prodotti e i vini che presenterai loro, con la sedia in cui saranno seduti, con le sensazioni che darà anche una semplice forchetta nella loro mani, con il modo in cui i piatti si adatteranno alle porzioni e il tessuto dei tovaglioli al tocco della loro pelle e a molte, molte altre cose».
Una cosa, nel frattempo, non vi abbiamo detto: mentre mettevano in piedi un ristorante dal tale potenziale, Eric e Tina hanno anche avuto il tempo di mettere al mondo - e trovano quotidianamente il tempo di occuparsi di loro - sei bellissimi figli, che ogni hanno tra i 2 e gli 11 anni. «Ed è proprio il più piccolo - svela la mamma - che secondo noi diverrà senza dubbio un nuovo chef Kragh Vildgaard!». Una nuova storia familiare, una futura visione da raccontare.