Diplomarsi in una Scuola e guadagnarsi subito le chiavi di una sala. Per merito delle proprie caratteristiche personali, è ovvio, da quelle non si può mai prescindere: soprattutto se tra di esse, di fianco alla vocazione, ci stanno il desiderio di imparare e l’abnegazione di mettersi a studiare. Ma per merito anche della ‘cassetta degli attrezzi’ - completa degli strumenti più evoluti, dei più rari e sofisticati - che quella Scuola infila nello zaino di chi sceglie di farsene carico, portando poi da solo, sulle proprie spalle, il ‘compito’ con cui inevitabilmente coincide il semplice fatto di saperli usare.
Se la Scuola si chiama Alma, di questi aneddoti fatti di talento che incontra l’occasione se ne potrebbero raccontare tanti. E anche per questo coloro che ne animano tanto l’impostazione culturale quanto la pratica didattica, a Identità Milano 2020 avevano scelto di portare poca teoria e molta pratica: nel loro turno - previsto per la giornata dell’8 marzo, slittato a inizio luglio per i noti motivi – avrebbero parlato di “La formazione e l’inserimento dei giovani allievi”. Cominciando dalle case histories da raccontare: «Quelle di chi ci aiuta a dimostrare - per usare le parole del direttore generale Andrea Sinigaglia - che formiamo persone, prima ancora che professionisti».


Seduto, Andrea Grignaffini, storico membro del comitato scientifico di Alma
È grazie a questo che sul palco del congresso ci saranno - oltre, tra gli altri, ad
Andrea Grignaffini, storico membro del comitato scientifico, e a
Ciro Fontanesi, coordinatore di
Alma Wine Academy - la giovanissima
Elisa Agarinis, «forse la nostra migliore allieva di sempre - la presenta con ancor maggior orgoglio
Sinigaglia -, che dopo essersi diplomata diciannovenne a pieni voti, primo caso di 100 su 100 nella storia del Corso di Sala, è stata subito assunta alla
Perla di Corvara, dove aveva fatto il suo stage e dove ora, a soli 23 anni, ha già condotto una brillante carriera».
La convivenza quotidiana con i cuochi che insieme a loro frequentano i corsi di
Alma, la rara opportunità di contestualizzare e rendere trasversale ogni aspetto dell’apparato storico e tecnico di questo lavoro, le joint venture eccellenti per affinare nasi e palati e irrobustire la colonna vertebrale di ogni allievo (con
Ais,
Università del Caffè di Illy e
Campari Academy, per citarne alcune, senza dimenticare le attività di coaching, di team building e di teatro per affinare l’uso del corpo e del gesto): tutto questo nerboruto intreccio gioca sì un ruolo cruciale nel garantir loro una lunga prospettiva, ma mai quanto - e par questo il vero segreto - il senso primario dell’umanità incomprimibile del ruolo della sala.
«Lo spirito con cui abbiamo cominciato la
Scuola Internazionale di Cucina Italiana, oggi lo abbiamo trasferito pienamente anche al
Corso Superiore di Sala», ricorda
Grignaffini: «All’inizio l’obiettivo era fare in modo che i nostri cuochi andassero all’estero con un savoir-faire perfetto sulle materie prime italiane. Poi la cucina è cresciuta e con essa la consapevolezza che il suo ruolo non è esclusivo: è emersa, ce ne accorgiamo, l’istanza generale che la dimensione del Ristorante non possa che completarsi in sala. E la specificità di quello stesso savoir-faire è quello che, facendoli lavorare al fianco dei nostri cuochi e con la possibilità di frequentare sempre una sala vera, cerchiamo di trasferire ai nostri allievi».
«Non a caso quando parliamo di rinascimento della Sala - conferma Sinigaglia - lo facciamo in chiave tutta italiana. È per questo aspetto dell’ospitalità, prima ancora che per l’alta cucina, storicamente appannaggio dei francesi, che siamo sempre stati famosi: saper combinare il calore dell’accoglienza con una grande professionalità. È un patrimonio da far rinascere e condividere a partire dalla resurrezione di questo mestiere che sembrava morto e sepolto e che oggi ci consente invece di raccontare bellissime storie di persone che, scegliendo questa strada, hanno rigenerato anche la loro vita. Sappiamo ormai tutti che al Ristorante un piatto non basta, se non è mediato dalla gestualità di chi lo serve: sarà suo il compito di tessere, un filo dopo l’altro, il tessuto dell’esperienza di ogni ospite».