Non si accettano difetti, non si accettano vini qualitativamente non buoni. Anche se bio. E’ una filosofia comunque, da parte dei produttori che stanno animando la sezione “Vi Vi T” (Vigne, Vignaioli, Terroir) all’interno del Vinitaly, la fiera internazionale dei vini e dei distillati in corso a Verona fino a domani. L’evoluzione del bio è questa: il vino non deve essere solo “pulito”, con la chimica lasciata fuori sia dalla vigna sia dalla cantina, ma deve essere anche e soprattutto buono.
E deve essere trattato come tutti gli altri vini in commercio, senza chiudere un occhio (o meglio, il naso) su puzzette o difetti di produzione. “Non ci sono giustificazioni – spiega Alessandro Barosi di Cascina Corte – Se un vino puzza, non è perché è biologico, è perché qualcuno ha sbagliato qualcosa. E noi produttori non dobbiamo nasconderci dietro a scuse di questo genere. I difetti non si accettano, nei vini “tradizionali” come nei vini biologici”. L’azienda di Dogliani produce dei Dogliani (Dolcetto) davvero ottimi. “Il nostro segreto? Il terreno, la vigna. Non c’è null’altro da fare. Se uno ha una buona materia prima, poi deve fare una spremuta d’uva, senza poi metterci porcherie dentro. Così non si sbaglia”. Barosi fa vini che non fanno male soprattutto alla sua salute: “Nel 2005 ho acquistato questa azienda. Ma poi ho scoperto che stavo male a causa dei prodotti che si utilizzavano in vigna. Poi il mio medico mi ha detto che potevo usare altri prodotti, naturali. E così ho fatto”.

Cecilia Trucchi, Villabellini, San Pietro in Cariano in Valpolicella
Chi crede nel biologico dal 1989 è l’azienda
Bio Vio di Bastia d’Albenga, un’azienda a conduzione familiare che era nata per la coltivazione delle erbe aromatiche. “Poi siamo passati al vino – spiega
Caterina Vio – La cantina è nata per passione”. Una passione che ha portato a realizzare vini estremamente freschi ed eleganti, come – giusto per fare un esempio – il
Pigato Marenè 2012, che ha solo bisogno di qualche settimana in più di riposo in bottiglia. “Noi di solito facciamo assaggiare il vino, e solo dopo diciamo che è bio. Prima di tutto deve esserci la qualità del prodotto”.
Come spiega
Alessio Miliotti di
Tenuta di Sticciano, “dal bio non si torna più indietro. All’inizio facevamo viticoltura tradizionale, ma ho voluto fare delle prove. Come? Bisogna uscire da una formazione canonica scolastica, andare oltre le nozioni. La differenza è solo una: è necessario avere una maggiore attenzione in quello che si fa. Ora non riesco più a concepire il vecchio modo di fare agricoltura”. E nel Chianti 2011 si trovano ottime sensazioni di freschezza e di frutta, con una buona possibilità anche di affinare qualche anno in bottiglia.

Alessandra e Carlo Venturini, Monte Dall’Ora, San Pietro in Cariano
Non solo passione: ci vuole anche studio e ricerca. Così nasce l’azienda
Villabellini, che alla fine si è concentrata su un solo vino: il Valpolicella Superiore. Niente Amarone e neppure Recioto. “All’inizio - spiega
Cecilia Trucchi - ho provato a fare tutte le tipologie di vino. Poi, però mi sono dedicata soltanto a un solo vino, che per me è rappresentativo. E non faccio il Valpolicella con gli scarti di produzione dell’Amarone”. Il vino in questione si chiama
Taso, e l’annata 2009 è da provare. Una semplice cartolina, infine, spiega la filosofia di
Alessandra e
Carlo Venturini (azienda
Monte Dall’Ora, San Pietro in Cariano in Valpolicella): “Oltre al cuore, solo queste” con le impronte delle mani dei protagonisti dell’azienda vitivinicola. Questo la dice lunga. Se poi si assaggiano i loro amaroni, il gioco è fatto.