20-11-2024
Il Monte Rosa e in basso i vigneti della cantina Torraccia del Piantavigna, a Ghemme (Novara) nell'Alto Piemonte
Il Sesia, che divide e unisce: un po’ come il dialetto che si declina in differenti inflessioni e persino termini, ma risuona anche come una matrice comune in questo territorio. Come quelle parole, così miracolosamente diverse a esigua distanza, si esprimono anche i terreni e i vini. Il loro racconto viaggia dai vigneti alla cantina di Torraccia del Piantavigna a Ghemme, giungendo poi a Sizzano, al ristorante Impero.
Ci sono più piani di storia che si intrecciano qui. Quella umana, che affiora nei primi anni ’50 del secolo scorso, con Pierino Piantavigna e il suo piccolo vigneto sulle colline di Ghemme, vicino al seicentesco castello di Cavenago. Nasce successivamente il nome dell’azienda che si ispira, però all’esistenza di Pierino e alla collina a lui cara, ribattezzata proprio Torraccia per la sua forma quasi circolare, caratterizzata da un’esposizione spettacolare. Non lontana, una vecchia - vera - torre del castello. Nel 1997 sarà suo nipote, Alessandro Francoli, a creare la cantina che si è guadagnata una reputazione nel nostro Paese e oltre confine, e alla quale si unirà poi la famiglia Ponti con Giacomo. Le cifre attuali: 190mila bottiglie, 40 ettari vitati.
A sinistra Alessandro Francoli e a destra Giacomo Ponti nella meravigliosa cantina Torraccia del Piantavigna
Ma ecco un altro piano, mentre si corre indietro nel tempo, con un passo che l’uomo non può realmente misurare: è quello della devastante esplosione preistorica, 280 milioni di anni fa, che fa sorgere l’Alto Piemonte. Una terra appunto tagliata in due dal Sesia, che nasce dal Monte Rosa e corre poi in valle: il fiume è un alleato dei vini di qualità, con la sua freschezza, e diventa ancora più prezioso in tempi di riscaldamento climatico. Il grande monte che offre acqua pura e il Super Vulcano - con il proficuo accumulo di detriti - che rende speciali queste terre, tra argilla, tufo e sali minerali.
Nel vigneto Torraccia Donna-Francoli
Se si sale a Torre delle Castelle, Gattinara, il panorama consente di abbracciare questa visione in pochi istanti. In una tale cornice, Ghemme accoglie alla sinistra del fiume tutta la fertilità della sua terra e la fierezza della sua Docg. Una combinazione ideale, che prende per mano i vini e li conduce avanti nel tempo, senza paura, anzi con la consapevolezza che ogni tappa di questo cammino è un arricchimento. Ed è così naturale questo cammino, a cominciare dalla vigna con l’enologo Mattia Donna e con lo stesso Francoli.
L'enologo Mattia Donna
Prima di tutto, una dichiarazione d’amore per l’ambiente che ha reso possibile questa solida identità. Da qui la massima attenzione a preservarlo, badando persino alle gomme dei trattori e puntando sulle grandi sentinelle di nome api.
«Eleganza, complessità, freschezza, longevità: sono i tratti che desideriamo esprimano i vini, soprattutto nelle versioni che, prima di essere presentate ai nostri affezionati clienti, affiniamo per molti anni nelle grandi botti di allier della storica cantina e successivamente ancora per lungo tempo anche in bottiglia. L’obiettivo è che risultino coinvolgenti anche per i palati più raffinati, esprimendo il terroir del Ghemme, la nostra versione del Nebbiolo più identitaria, che siamo soliti definire figlio del Monte Rosa e ovviamente del Super Vulcano» rimarcano Alessandro Francoli e Giacomo Ponti.
Prima di entrare nello scrigno di sapori curati meticolosamente con calore familiare, che è l’Impero a Sizzano (con le sorelle Paola ed Emanuela Naggi), Alessandro ci indica la chiesa di San Vittore, che ha svelato radici incredibili: anche qui piani di storia via via palesati.
La nostra degustazione dei vini Torraccia del Piantavigna
Ora parlano loro, i vini, accanto ai piatti che dipingono l’autunno. Li unisce anche una frase in latino, “Dulce est desipere in loco”: un pizzico di sana follia, al momento opportuno, un lasciarsi andare mentre si parte con un brindisi, grazie all’Erbavoglio metodo classico, Erbaluce 100% spumantizzato, anche se la denominazione non può essere utilizzata in Alto Piemonte. Ancora Erbavoglio, questa volta Colline Novaresi Doc, con una freschezza e ricchezza di profumi che invitano a proseguire l’esplorazione (concluderemo con il Passito). Merita una tappa particolare però Barlàn (che delizia passare dal latino a questo nome che riconduciamo a una figura allegorica del carnevale di Ghemme), ovvero il Nebbiolo che si offre in un rosato accattivante. Già lo sguardo parla di eleganza, con un rosa antico e venature ramate; le note di frutta e fiori rappresentano il preludio di un equilibrio sorprendente.
Una grande icona piemontese, il bonet, degustato presso il ristorante Impero; in abbinamento, il passito Torraccia
Si fa avanti però l’amichevole tra il Gattinara e il Ghemme. Proviamo la prima Docg, annata 2018. Eccolo il paesaggio, dentro; l’autorevolezza di vigneti storici e del monte che veglia sullo sfondo, la complessità del suolo (uno dei più acidi italiani, tra porfirico, sieniti e quarzi). L’impegno è importante, difatti bisogna procedere con la lavorazione a mano quasi totale. La vinificazione avviene in vasche di acciaio inox con controllo, quindi la fermentazione malolattica. Questo vino riposa almeno tre anni in botti di rovere francese di medie dimensioni e si presta poi a un affinamento in bottiglia pari ad almeno sei mesi. Prevalgono le note floreali e le guida la viola. È un vino austero, ma non ingombrante: ha una sua armonia che si percepisce fino in fondo. Il Gattinara Docg invita ad aspettare qualche anno per farsi conoscere al massimo delle sue potenzialità.
Scende in campo però il Ghemme Docg 2016. Qui si introduce un 10% dell’altro vitigno di questi luoghi, la Vespolina. Affascinante sin dal primo impatto, anch’esso però suggerisce un’attesa di qualche anno per sfoggiare la sua completezza.
Chi gioca con il tempo senza remore è il Ghemme Docg Riserva Pelizzane, annata 2016, 100% Nebbiolo.
La cantina non nasconde l’orgoglio e definisce il vigneto dove nasce questa etichetta, quell’ettaro di eccellenza che è il Ronco dell’Ulivo. L’esposizione ideale, a Ovest (oltre al terreno argilloso) ha spinto a investire qui per il primo cru. Queste uve sono letteralmente coccolate, non solo curate. Al netto dell’intensità dei profumi, tra viola e liquirizia, la riserva colpisce per la morbidezza e la corposità. Pronta dopo cinque anni come le altre etichette. Eppure - spiegano alla Torraccia - può anche sfidare incursioni nel tempo pari a vent’anni.
Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo
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responsabile de l'Informazioneonline e giornalista di Frontiera - inserto de La Provincia, scrittrice e blogger, si occupa di economia, natura e umanità: ama i sapori che fanno gustare la terra e le sue storie, nonché – da grande appassionata della Scozia – il mondo del whisky
Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo, dando voce a grandi blasoni, insomma delle vere e proprie istituzioni, ma anche a piccole aziende: tutto questo è In cantina.