La crisi del mercato dei vini, in particolare dei rossi, sembra che non tocchi l’Etna. In un certo senso, è come la fillossera, che in tanti casi non è riuscita a colpire – per fortuna – le viti sulla Muntagna, grazie al suo incredibile terroir.
L’analisi arriva dai dati presentati durante gli Etna Days, le giornate di approfondimento organizzate dal Consorzio Tutela dei Vini dell’Etna Doc, da Carlo Flamini, responsabile Osservatorio del vino di Unione Italiana Vini, che in particolare si è concentrato sul mercato degli Stati Uniti.
«Sull’Etna avvengono cose sorprendenti anche per noi che trattiamo di numeri – ha esordito
Flamini – Per analizzare l’andamento del mercato statunitense del vino, è necessario fare una premessa. Tra 2020 e 2021, nel periodo del Covid, c’è stato un aumento dei consumi, ma anche una maggiore richiesta di prodotto da parte dei distributori, anche per timore che, in caso di nuova emergenza, ci sarebbe stato un rischio di approvvigionamento. Per questo motivo il rallentamento dei consumi, o meglio delle vendite, è dovuto ancora ai grandi accumuli di vino da parte dei distributori».
In pratica, le vendite di vino si sono contratte, perché al momento ci sono giacenze da smaltire. «Le vendite di vino in America sono infatti scese dell’8,8% nella prima metà di quest’anno. I vini italiani hanno avuto un calo del 6,4%». E l’Etna? Il calo è davvero impercettibile, cioè dello 0,2%. In pratica, non perde.

I dati sulle vendite dei vini negli Stati Uniti
«I vini rossi patiscono molto il cambio generazionale – spiega
Flamini – C’è una certa disaffezione. Reggono gli spumanti e i frizzanti. Bisogna considerare che il 29% dei vini venduti negli Stati Uniti arriva dall’estero. L’Italia è la prima importatrice con il 37%, seguita dal Cile. Una bottiglia su tre delle bottiglie italiane mandate negli Usa è della tipologia sparkling wine».
Ma in questo quadro dove si posiziona l’Etna? Ricordiamo che la produzione totale della Denominazione è pari a circa 6 milioni di bottiglie annue, e il 60% è destinata all’esterno. Il presidente del Consorzio Francesco Cambria ha stimato una vendita di circa 2,5 milioni di bottiglie nel solo mercato americano.

Le fasce di prezzo: l'Etna punta in alto
«Quanto pesa l’Etna? È una goccia nel mare – conferma Flamini - Ma sul mercato americano, l’Etna rappresenta addirittura il 28% dei vini siciliani, con uno sbilanciamento sui bianchi. L’Etna non perde quote di mercato (-0,2%), e addirittura cresce nell’ambito dell’
on-premise, cioè nei ristoranti, bar, alberghi. Il tutto con un posizionamento di prezzo molto alto».
Il quadro è completo. Ma, come detto anche nel precedente articolo dedicato agli Etna Days (leggi qui l’articolo), non bisogna fermarsi. Questo significa, come sottolineato con forza dal presidente Cambria, il mantenimento se non addirittura un miglioramento del livello qualitativo dei vini. Per conservare anche il posizionamento di prezzo alto, questo deve essere accompagnato da una qualità intrinseca e imprescindibile. Da un punto di vista marketing, invece, il nome “Etna” ha già un ruolo di primaria importanza: nel mondo è un “marchio” immediatamente riconoscibile e che riconduce subito all’Italia, alla Sicilia e alla Muntagna.
La conclusione è affidata al professor
Luigi Moio, presidente
Organizzazione Internazionale del vino: «Dobbiamo custodire i territori – ha affermato - Custodire i territori. E per questo noi dobbiamo comunicare il terroir. L’Etna deve essere immediatamente riconoscibile. È l’assessore al turismo della Sicilia. A una fortissima identità e anche i vini devono essere così. Ma bisogna portare in cantina le uve sane. Il mercato ora vuole vini più lievi, ma il clima va nell’altra direzione. C’è un grosso lavoro di ricerca scientifica per mantenere queste identità, anche studiando cloni che portino maggiore acidità». Tutte sfide per il futuro.