«Dove c’è Pinot Nero, c’è anche Chardonnay». Ne era convinto, Enrico Braggiotti, l’imprenditore che ha dato vita a Mazzolino in Oltrepò, andando anche contro a quegli stereotipi legati al vino delle colline pavesi, con bottiglie da bere fresche e giovani.
Ma lui aveva ben altre idee e la storia, ora, gliene dà atto: la sua visione era giusta, e il suo vino, il Blanc, lo ha dimostrato con i fatti.

Francesca Seralvo con lo staff di Tenuta Mazzolino
L’eredità di
Enrico Braggiotti, scomparso nel 2019, è ora portata avanti dalla nipote
Francesca Seralvo che, da avvocato, si è ritrovata “vigneron” nel giro di poco tempo. Quando la terra chiama… «Ho iniziato 8 anni fa qui in azienda – racconta – Siamo 12 nipoti, ma mio nonno un giorno mi ha chiamato e mi ha detto: “Vuoi andare tu a
Mazzolino?” Non ci ho pensato due volte».
Braggiotti dal 1999 si è affidato a Kyriakos Kynigopoulos, uno dei maestri della Borgogna, che in quegli anni era stato definito da Le Figaro come uno degli enologi emergenti più bravi. Ma già prima, anche grazie ai consigli di Giacomo Bologna e Luigi Veronelli, aveva puntato a far diventare la tenuta Mazzolino in una sorta di angolo di Borgogna.
«Si parla sempre di
Noir, del nostro
Pinot Nero – spiega
Francesca Seralvo – Ma mio nonno, che aveva origini anche francesi, ha sempre detto che dove c’è
Pinot Nero c’è anche
Chardonnay». Un’equazione che anche a
Mazzolino si è rivelata azzeccata. Così nel 1993 arriva la prima bottiglia di
Blanc: «Veniva realizzato in tre vigne, da allora non le abbiamo cambiate».
Il cambiamento è arrivato nel 1999, come detto, quando l’arrivo di Kyriakos Kynigopoulos ha dato una svolta netta, portando un bagaglio di conoscenze per migliorare quando di buono era già stato fatto. Al suo arrivo in azienda, Francesca Seralvo ha aggiunto allo staff l’enologo Stefano Malchiodi per cercare di migliorare ancora.

La degustazione: Armando Castagno, al centro, tra Stefano Malchiodi e Francesca Seralvo
Il viaggio nel mondo del
Blanc è stato guidato dal grande esperto
Armando Castagno. «Il
Blanc è un vino dallo sviluppo molto interessante e molto personale. Ciò che ho capito è che questo vino ha una coerenza incredibile, nel corso degli anni ha avuto poche modifiche. È nato in un periodo storico dove i bianchi erano intesi come più materici e stratificati, nel tempo anche il
Blanc è stato alleggerito, e questo è un grande merito».
E uno sguardo al territorio: «Qui siamo in un posto Benedetto da Dio; cosa manca a questo territorio? Forse una direzione comune da prendere da parte delle persone e della comunicazione. Ma ci sono visioni ancora troppo diverse».

Un bel panorama dell'Oltrepò Pavese dalla terrazza della Tenuta Mazzolino
Ma torniamo al vino e alla sua storia: «Il
Blanc non aveva alternative, non aveva competitor in zona.
Kiriakos Kynigopoulos, una leggenda vivente della Borgogna, sovraintende da allora alla produzione. I terreni, con l’affioramento di una vena dei gessi, danno come caratteristica una spiccata sapidità finale. E anche nei profumi non si hanno mai sentori spudoratamente tropicali, come può accadere per lo
Chardonnay».
Insomma, un vino italiano ma con lo stile francese. «Stile di Borgogna – sottolinea ancora Castagno – ma con terreni più simili a quello della Champagne. In entrambi questi posti lo Chardonnay risulta molto elegante. Ma è un vino anche molto italiano, che rispecchia questi luoghi». Fin dall’inizio sono state tre vigne, Rivetta, Franzini e Fontana, a creare il Blanc, per 1,7 ettari, ma poi si è aggiunta la vigna Pozza, piantata nel 2004, che porta il vigneto per questo vino a 2,2 ettari complessivi.

Francesca Seralvo e Stefano Malchiodi durante una vendemmia
La scoperta del
Blanc nel bicchiere parte dall’assaggio dell’annata più giovane, la 2021, dove si nota la freschezza e la finezza di questo vino, che diventeranno il filo conduttore di tutta la degustazione insieme alla sapidità al sorso. Nel caso della 2021 si riscontra anche una certa intensità e un frutto ben maturo, figlio di un’annata piuttosto calda.
La 2020 è più austera, con pietra focaia, floreale e poi frutta. Annata da attendere. La 2019 è vivace e viva, un vino intenso e ampio, speziato, con note di zenzero. In bocca è ancora alla ricerca del suo equilibrio, che si otterrà con il tempo.
Il Blanc 2018 punta su note aromatiche di erbe, the bianco, timo, poi una nota leggermente agrumata. Al sorso ha una lunghezza enorme, profondo e affascinante. In contrasto, per certi versi, con il calore dell’annata 2017, che ha donato un vino più potente, ma che nonostante tutto è riuscito a mantenere una buona bevibilità.

Stefano Malchiodi e Francesca Seralvo con i vini della verticale. Sullo sfondo il ritratto di Enrico Braggiotti
Quella bevibilità che non manca affatto al
Blanc 2016, che al naso svaria tra camomilla, pesca ed erbe aromatiche, per poi avere al sorso una bella ampiezza e lunghezza. La 2015 è stata definita “l’annata del sole”, e il
Blanc di quell’anno è proprio un vino solare, che mantiene ancora una buona tensione.
Dal sole al buio: la 2014 è stata una stagione piovosissima, umida e, appunto, buia: da qui la necessità di arrivare a una selezione drastica. Questo Blanc si discosta un po’ dagli altri, mantenendo sempre la finezza, e in bocca si distingue per una piacevolissima acidità e una grande bevibilità.
Andando avanti con gli anni, la 2009 è stata calda e di struttura. In questo assaggio si sentono di più le note di terziario, escono leggermente miele e nocciola. Vino dalla grande integrità, pieno ed equilibrato. Il Blanc 2003 è figlio anch’esso di un’annata calda, dove l’aromaticità è già più evoluta, con miele e frutta secca.

Il Blanc 1998 ha concluso la degustazione
Infine una sorpresa: «Durante la ristrutturazione della casa patronale, dopo la morte di mio nonno – racconta
Francesca Seralvo – abbiamo ritrovato alcune bottiglie di
Blanc del 1998. Per noi è stata una grande sorpresa: si tratta del vino realizzato prima dell’arrivo a
Mazzolino di
Kyriakos Kynigopoulos, quindi non c’era ancora il rigore da lui introdotto in azienda».
L’assaggio della 1998 è da vivere come un vero salto nel tempo, ma soprattutto fa immergere nel pensiero di Enrico Braggiotti, che già allora pensava di poter fare un grande bianco da invecchiamento in una zona che, tuttora, è spesso vittima di pregiudizi negativi. Ma il Blanc è una dimostrazione di come Braggiotti, alla fine, avesse capito il vero potenziale di questa “piccola Borgogna”.