Non c’è un solo Nebbiolo di montagna, ma tante sfaccettature di questo splendido diamante della viticoltura italiana.
La Nino Negri, in tal senso, sta cercando di cambiare passo. E lo ha fatto da quando, nel 2018, è diventato direttore ed enologo dell’azienda Danilo Drocco, piemontese grande esperto del Nebbiolo, che ha voluto confrontarsi con la viticoltura eroica della Valtellina.
«Il nostro obiettivo è quello di essere sempre più identitari – ha spiegato Drocco – Questo lo vogliamo fare valorizzando non solo le sottozone, ma proprio i Cru, i singoli vigneti. Da piemontese, posso assicurare che in Valtellina c’è una grande biodiversità naturale, che ormai manca nelle Langhe».

«Valorizzare i singoli vigneti»: questo l'obiettivo di Drocco
Una biodiversità anche di paesaggio: «Da 300 a 600 metri ci sono
Nebbioli diversi, e ci sono diversità anche all’interno del vigneto stesso per via dei tanti cloni che si sono selezionati naturalmente nel corso degli anni. Nel vigneto di Langa invece si sono persi i vecchi cloni, perché tutti si sono concentrati solo su quelli più adatti. Qui invece abbiamo tantissimo vigneto antico, e la sostituzione non è banale perché rifare il vigneto costa troppo. Si sono creati dei cloni anche nelle singole microzone».
Da qui è cresciuta la voglia di recuperare questo incredibile tesoro ampelografico: «Abbiamo ricominciato a lavorare seriamente con la Fondazione Fojanini – ha sottolineato Drocco - che si concentra su progetti per il mantenimento dei cloni storici, per non perderli».

Un momento della vendemmia
Tutto il resto lo fa la Valtellina stessa, con le differenze di terroir: «Qui c’è una grande variabilità legata all’ambiente – ha confermato con entusiasmo e caparbietà
Danilo Drocco - Per me la Valtellina è una piccola Borgogna. Anche per l’origine geologica del terreno, derivato dallo scontro tra la placca africana e quella europea, che ha originato un mix di rocce. Ogni terrazzamento ha la sua storia, una diversità altimetrica, un’esposizione che cambia sud-est contro sud-ovest, e c’è da considerare anche l’influenza delle pendenze».
Un discorso che viene tradotto nel lavoro svolto alla Nino Negri: «Questo vale per tutti i vini dell’azienda. Abbiamo una variabilità da tradurre in qualità: se le terrazze omogenee le teniamo insieme. Concentrandoci molto su questo aspetto, abbiamo agronomi che girano nei vari vigneti: ci sono 35 ettari tra proprietà e affitti, e ne gestiamo 130 con circa 200 famiglie che ci portano le uve attraverso la cooperativa. Abbiamo avviato un percorso di crescita sulla gestione del vigneto».
Da qui nasce il progetto
Vigne di Montagna, presentato nella scorsa primavera. Tre vini differenti, da tre singole vigne, che si caratterizzano per la differenza di terreno e microclima. Tre espressioni differenti del
Nebbiolo di Montagna. «Abbiamo anche lavorato sulla grafica delle bottiglie, in modo tale che il colore delle pietre dei terreni fosse riportato anche nelle etichette».
E tre immagini: la luce, la roccia madre e il freddo.
Questa prima uscita del “trittico” delle Vigne di Montagna è legata all’annata 2019. La prima espressione è il Valtellina Superiore Ca’ Guicciardi: produzione di circa 15mila bottiglie, solo botte grande, espressione della luce, del sole, del “caldo” (ovviamente relativo, parlando di Valtellina e Nebbiolo di Montagna), legato a sentori di frutta nera matura. Ma sempre con un sorso molto fresco.

Fracia, Sassorosso e Ca' Gucciardi: le tre espressioni diverse di Valtellina Superiore Docg
Il nome
Sasso Rosso, invece, è evocativo: «Non tanto per la presenza di ferro - ha precisato
Drocco – ma per la pochissima presenza di terra. In questo caso, oltre alla botte grande, utilizziamo un 10% circa di barriques, con una produzione di 20mila bottiglie». Al naso la classica sensazione floreale, di viola, viene amplificata da una frutta fresca. In bocca il “sasso”, la roccia madre, si traduce in freschezza e sapidità, ma anche in verticalità e lunghezza.
Il Fracia non è una novità in casa Negri, ma ora trova una sua giusta dimensione nel progetto Vigne di Montagna: «Qui la fanno da padrona le correnti fredde e le maturazioni più lunghe, con escursioni termiche importanti. In questo caso un anno di legno e 2 anni di bottiglia». La produzione si attesta attorno alle 10mila bottiglie. È il vino più austero, per certi versi introverso, ma anche estremamente affascinante. Delicato e complesso allo stesso tempo, al sorso il tannino è ben presente ma anche molto fine, segno di una bottiglia che può avere una lunghissima vita.