Gli eucalipti che sussurrano ai vigneti. E i vini prendono una nota balsamica.
Suggestione? Probabilmente sì, ma nel racconto della storia del Castello del Terriccio si vive di emozioni. Come l’emozione nel ricordare Gian Annibale Rossi di Medelana, scomparso a 78 anni nel novembre del 2019, che è stato l’artefice del rilancio dell’azienda, con idee che allora sembravano visionario. A proseguire quest’opera c’è ora il nipote, Vittorio Piozzo di Rosignano Rossi di Medelana, che sta proseguendo lunga la strada tracciata allo zio, con una visione lungimirante sul mondo del vino.

Vittorio Piozzo di Rosignano Rossi di Medelana nei vigneti dell'azienda
A narrare questa avventura anche il noto comunicatore del vino
Daniele Cernilli, che ha spiegato come l’azienda potesse contare di 1.500 ettari, «è grande come Roma entro le mura Aureliane», con 65 ettari vi vigneto, 40 di uliveto con 8mila piante, 200 ettari a pascolo per le mandrie bovine brade, e parecchi terreni a grano.
La conferma arriva da Vittorio Piozzo di Rosignano: «È una tenuta molto grande, da 100 anni di proprietà della mia famiglia. Ci troviamo 20 chilometri a nord di Bolgheri e a 10 chilometri dal mare, con terreni che vanno dai 50 ai 250 metri di altitudine».

Una bella immagine dei vigneti
In un passato abbastanza recente, ancora più rurale, si trattava di un “paese diffuso”, dove c’era anche una scuola. «Poi, con la fine della mezzadria, negli anni Settanta, è stato necessario reimpostare tutta la proprietà e cambiare anche i vitigni, e creare qualcosa che non c’era. In realtà la località dove nacque il primo vino si chiamava
Sassinaia, ma anche per una questione di assonanza con i più noti bolgheresi, non era il caso di chiamarlo così… Allora si cambiò una lettera, diventando
Tassinaia».
Ma soprattutto c’è il Lupicaia, 90% Cabernet Sauvignon. All’inizio c’era un’aggiunta del 10% di Merlot, fino al 2006. Poi, nel 10%, venne inserito il Petit Verdot, che è più tardivo, e infine fu tolto definitivamente il Merlot.

Carlo Ferrini, Vittorio Piozzo di Rosignano Rossi di Medelana e Daniele Cernilli
Carlo Ferrini è l’enologo fin dalla prima annata. «Quando nel 1993 decisi di vendemmiare – racconta
Ferrini - il fattore mi rispose: “No, io ho l’uva bianca da vendere al mercato. Voi fate le poesie con il vino, io vado al mercato”. E così la vendemmia fu ritardata di 4 o 5 giorni. In quegli anni il fattore non credeva che il vino potesse diventare economicamente importante, ma che era più redditizio vendere l’uva da tavola al mercato».
Un vino che non ha vissuto nell’immobilismo, anzi. «Ai tempi si vendemmiava quasi a ottobre – ricorda Ferrini - oggi siamo con un mese di anticipo. Da qui anche la decisione di togliere il Merlot, a causa del cambiamento climatico, a favore di uve che preservassero meglio l’acidità».
Ferrini racconta anche un aneddoto: «Ci sono gli eucalipti vicino e questo vino ha sempre avuto questa nota balsamica. Chissà, forse il vento porta qualche sensazione balsamica sulle uve… Forse quando non ci saranno più gli eucalipti, perderà questa nota aromatica».
La partenza, quindi, è del 1993 con circa 5 ettari, tutti nei viali di eucalipto. E subito nel 1996 prese i
Tre bicchieri nella guida del
Gambero Rosso, e divenne un “neo bordolese” di riferimento.
Proprio l’annata 1993 è stata protagonista di una verticale che si è svolta al Seta di Milano, dove si è ripercorsa la storia dell’azienda. Per Ferrini, riassaggiare il “primo nato” è stata un’emozione, un vino ancora integro e più che godibile. «E pensare che ai tempi non c’era tutta questa gran tecnologia in cantina – ricorda – si è partiti con tre vasche d’acciaio, e via. Anche il sistema di conservazione delle bottiglie era un po’ “arrangiato”. Assaggiare un Lupicaia 1993 in queste condizioni mi emoziona».
Perché nel vino le emozioni contano molto di più delle note tecniche. «Ho cercato di fare vini puntati più sulla lunghezza che sulla larghezza - ha ricordato Ferrini - La 1995 è un’annata particolare, fresca, aveva fatto caldo solo ad agosto». Il vino ha un frutto molto vivo, è particolarmente lungo, con una spalla acida notevole: più di 25 anni sulle spalle e non sentirli.

I formati delle bottiglie del Lupicaia
Successivamente si è assaggiato il 2001: da un’annata calda il risultato è un vino più scuro, anche se molto intenso, con un tannino presente che asciuga un po’. La 2006 è un’annata ottima, dove la balsamicità che già è una caratteristica intrinseca del
Lupicaia emerge ancora di più. La 2009 è stata un’annata piuttosto calda, con un bel frutto (ciliegia nera), ma anche tanta speziatura. Intenso, pieno, forse leggermente meno elegante della 2006, ma gradevolissimo.
L’annata 2010 ha visto il definitivo abbandono del Merlot. Anche grazie all’andamento climatico stagionale, il vino è elegante, balsamico, speziato e molto complesso, dall’ottima bevibilità. Il caldo del 2012 è stato ben gestito: ne risulta un Lupicaia sicuramente “energico”, ma non aggressivo o invadente.

La verticale dal 1993 al 2016 di Lupicaia
La 2016 in Toscana (e in buona parte d’Italia) è stata un’annata ottima. «Una delle più belle vendemmie degli ultimi 30 anni» conferma
Ferrini. È un vino già di grande equilibrio, che ha una grande prospettiva per il futuro.
Una prospettiva che va parallela con la storia del Castello del Terriccio: Vittorio Piozzo di Rosignano vuole proseguire il sogno dello zio Gian Annibale.