Un’anfora che sia simbolo di qualità. E, citando la nota canzone di Sting, che ha sua volta da tempo produce vino, il message in a bottle di Tombolini passa proprio dalla bottiglia: «Vogliamo identificare meglio il nostro territorio, le Marche».
Perché l’azienda marchigiana ha fatto delle scelte radicali, proprio con l’obiettivo di puntare tutto sul Verdicchio dei Castelli di Jesi, come racconta Carlo Paoloni, pronipote del fondatore Sante e figlio di Fulvia Tombolini: «Io sono in azienda al 2013 in azienda, ma solo recentemente mi sono dedicato completamente alla cantina. Mi sono accorto che c’era un mancanza di riferimento del territorio. Per spiegarlo, dicevo che ci troviamo a est della Toscana».

La vendemmia del Verdicchio
Ma serviva una maggiore identificazione: «L’
Anfora è la presentazione del territorio. Per tanti anni questa bottiglia è stata un’icona del
Verdicchio dei Castelli di Jesi, ma poi si è svalutata». Una svalutazione che ha portato a vedere il vino nelle bottiglie ad anfora solo come un souvenir da turisti, e non certo come un vino di altissima qualità. Ma la cantina
Tombolini ha puntato invece in alto: «Questo è il nostro
message in a bottle, il messaggio nella bottiglia, che vogliamo trasmettere, tramite questa bottiglia. Alcuni produttori virtuosi della zona ci hanno avvicinato e ci hanno ringraziato per il lavoro svolto e per aver ridato un simbolo al territorio».
«Questo è un primo passo: perché quindi non offrirsi in futuro, per fare gruppo, puntando sul Verdicchio? È difficile capire le differenze se non si conoscono i territori. E anche al bottiglia, in tal senso, è utile. Perché non usare la borgognotta? Perché noi dobbiamo rappresentare le Marche?»

I vigneti e la cantina di Tombolini
Ma non c’è solo la bottiglia. Anche la produzione aziendale è passata da scelte radicali. «A livello di produzione noi facciamo due vini e basta, due
Verdicchio dei Castelli di Jesi. Quando sono entrato in azienda c’erano un po’ tutti i vini delle Marche, ma non riuscivamo a far capire che avevamo una delle vigne più belle dei Castelli di Jesi. Noi ora produciamo 100mila bottiglie da 30 ettari: il resto della produzione lo vendiamo come uva o vino sfuso. Era fondamentale comunicare che eravamo nell’area più bella per il vitigno autoctono più importante delle Marche».
«Siamo una terra da bianchi: la nostra è stata una scelta radicale, che ha avuto anche delle ripercussioni commerciali pesanti. Ma noi crediamo in questa scelta».
Scelte drastiche anche in vigna: «Il Verdicchio è un vitigno molto vigoroso, che offre una buona qualità anche con una resa alta – precisa Paoloni - Se però facciamo 70 quintali ettaro, la qualità cambia molto. Noi ci troviamo a 10 chilometri dall’Appennino e a 30 dal mare. Ampelio Bucci è un riferimento, per noi, e punta molto sulle caratteristiche di longevità».

Il Doroverde è il Verdicchio più fresco e immediato
Ecco i vini: «
Doroverde rappresenta maggiormente la freschezza, la bevibilità, con grande sapidità. Lavoriamo in maniera precisa, in assenza di ossigeno, con grappoli interi, con un mosto fiore da pressatura molto delicata. Poi fermentazione in acciaio, poi l’affinamento in acciaio, ma per il 20/30% utilizziamo le uova di cemento non vetrificato, che permette di togliere un po’ di “crudezza” al vino e protegge gli aromi».
L’annata 2020 in effetti è un’espressione molto netta del Verdicchio, floreali e fruttati, con un leggero e accattivante sentore di lime. La bevibilità è il grande pregio di questo vino.

Castelflora rappresenta la volontà di puntare alla longevità
Più ambizioso il secondo vino: «
Castelflora punta a essere annoverato tra i Verdicchi longevi, guardando ai grandi vini del mondo – evidenzia
Paoloni - Ma non vogliamo in vino opulento, bensì cerchiamo un concetto più moderno. Lavoriamo sempre in assenza di ossigeno e poi fermentiamo in acciaio, il vino poi affina in tonneau che arrivano da 7 tonnellerie differenti, lavorando con le fecce complete, non solo quelle fini, e batonnage per 10 mesi. Una parte, circa il 5%, effettua una macerazione, anche in otri di gres da 4 ettolitri. Sono tre le caratteristiche che vogliamo da questo vino: un palato piacevole, con ricordi di legno; un’aromaticità elegante; l’identità del
Verdicchio».
E l’annata 2020 si presenta come un vino ancora un po’ introverso, ma che presenta vari aspetti che ci fanno pensare a una futura ottima evoluzione. Se la parola chiave, in questo caso, è longevità, bisognerà attendere qualche tempo perché possa esprimersi al meglio.