Fermarsi al Palagione e fare quattro chiacchiere con Giorgio Comotti, significa, prima di tutto, guardarsi negli occhi e parlare chiaramente. Perché a San Gimignano, ma in generale nel mondo del vino, non è tutto sorrisi, vendemmie, serate di degustazione e bottiglie vendute in tutto il mondo con facilità, ma ci sono anche problemi, difficoltà e preoccupazioni per il futuro.
Giorgio Comotti lo sa bene. Perché se è vero che il Palagione, ora, è sicuramente una delle realtà più apprezzate a San Gimignano, con vini che riescono sempre a essere convincenti, identitari e territoriali (come dimostrato anche nelle ultime Anteprime), l’inizio non è stato davvero facile.

Ulivi, vigneti e uno splendito tramonto sul Palagione
«Sono arrivato nel 1996 – spiega
Comotti – Avevo un’agenzia di pratiche automobilistiche e un’autoscuola nel Milanese – Ho trovato questo podere abbandonato, dove le uniche colture presenti erano 136 piante di ulivo e i girasoli. Non c’era nemmeno una vite». Eppure lui, a San Gimignano, non è arrivato per realizzare una seconda casa di campagna, dove passare le vacanze o trascorrere qualche momento di relax. No. Lui voleva fare vino. «Nel 1997 ho piantato i primi vigneti. Fino al 2002 abbiamo pianto…».
Ma Comotti ci aveva visto giusto, alla fine. «Abbiamo scelto questo posto perché ci è piaciuta la zona, in quanto più selvaggia, e vicina al bosco. Sono venuto qui per fare vino, non per villeggiatura».

I vigneti dell'azienda a Montagnana
Le analisi sui terreni, poi, avevano dato esito positivo e quindi la prospettiva era positiva. «Sì, sono venuto a San Gimignano per fare vino. Perché? Perché è la mia passione. Al mio compleanno per i 18 anni, al posto di chiedere qualsiasi altra cosa, a mio padre avevo chiesto due bottiglie di vino, un Barolo e un Barbaresco, del 1958. E diciamo che mi avevano guardato un po’ male per quella decisione».
Eppure quelle due bottiglie avevano un significato ben preciso, espresso poi nella scelta di Giorgio Comotti di venire a San Gimignano a tradurre la sua passione in vino. Le difficoltà da superare sono state tante, ma la sua famiglia è stata la sua forza. E da qualche anno non fa più la “staffetta” dalla Lombardia alla Toscana: ormai la sua casa è in mezzo alle vigne, con la moglie Monica e i figli Gabrio e Gregorio (c’è anche la figlia Giulia, che invece di professione è ostetrica) che hanno voluto seguire le orme del padre, «senza che io li obbligassi» precisa Giorgio. Gabrio ha infatti studiato da agrotecnico e Gregorio da enologo.

Giorgio Comotti al centro con la moglie Monica, i figli Giulia, Gabrio e Gregorio e la nipotina
Attorno al
Palagione ci sono 14 ettari di vigna: non solo
Vernaccia di San Gimignano, si intenda, ma anche
Sangiovese,
Merlot e
Cabernet. Dal 2014 sono stati aggiunti 6 ettari in produzione a Montagnana: «Abbiamo preso questo vigneto per avere la possibilità di lavorare un terreno diverso: là è una zona più sabbiosa e siccitosa, qui è ventosa ed è maggiormente ricca di argilla. Questo ci permette di bilanciare i vini a secondo delle annate».
I vini del Palagione sono diventati una garanzia di qualità, in particolare parlando di Vernaccia di San Gimignano.

Alcuni vigneti dell'azienda
Hydra è la Vernaccia d’annata, quella che deve essere più immediata, e in questo caso
Comotti lavora proprio per cercare di renderla piacevole fin da subito, sapendo comunque che si tratta di un vitigno che si esprime meglio con il tempo. In effetti
Hydra è un vino che comunque piace fin da subito, senza pretese di grandi invecchiamenti. Ma ecco che siamo smentiti: con
Giorgio Comotti, infatti, abbiamo assaggiato una bottiglia di
Hydra 2011, che ci ha lasciati assolutamente stupiti. Il vino nato per essere bevuto giovane, scopre di avere anche grandi risorse anche nel tempo. «Io non ho fatto nulla – sorride
Comotti – Questa è la
Vernaccia, noi non ci siamo inventati nulla». Un vino dalla complessità aromatica enorme, che non ha subito per nulla l’ossidazione, e che invece in bocca spicca ancora per sapidità. Ed è la dimostrazione che la
Vernaccia di San Gimignano è davvero il grande vino bianco della Toscana.

Vernaccia di San Gimignano Hydra 2011: una bellissima scoperta
Il passaggio superiore è
Lyra, dove c’è sicuramente maggiore ricchezza e struttura, sempre mantenendo la linea precisa di vini di estrema franchezza e bevibilità: nessuna “sovrastruttura”, ma solo l’essenza del vitigno.
La terza espressione è la Riserva, Ori, in questo caso supportata da un passaggio in legno (così come l’ultima parte della fermentazione), che però continua a mantenere al centro il vitigno, la Vernaccia: in questo caso le possibilità di affinamento sono ampie, per un vino estremamente complesso.

Le quattro versioni di Vernaccia di San Gimingnano: Hydra, Ori, Lyra e Lei
Una curiosità è sicuramente il
Lei, un estremismo di
Vernaccia: fermentazione spontanea a tino aperto e macerazione sono le due armi di un vino che riesce, comunque, a mantenere intatte le espressioni del vitigno, nonostante una tecnica di produzione che potrebbe essere sovrastante.
Molto interessante, per questa stagione estiva, il Sunrosé, da Sangiovese: un rosato schietto, ma con una spiccata e piacevole nota acida, che lo trasformano da semplice vino da aperitivo a bottiglia a tutto pasto.

Il nuovo metodo classico Demonì
E sicuramente a tutto pasto è il
Demonì, l’ultimo nato al Palagione: si tratta di un
Metodo Classico di
Sangiovese in purezza, 24 mesi sui lieviti, che si basa sulla grandissima acidità. Un vino diretto e verticale, quasi tagliente: splendido negli abbinamenti, anche con carni alla griglia. Qualche “spigolatura” è forse da aggiustare, ma si tratta della prima annata e sicuramente
Giorgio Comotti e i figli sapranno rendere ancora più buono questo già interessantissimo spumante.