Parlare di Usiglian del Vescovo significa innanzitutto affondare le mani nella storia, anzi in una storia incredibile: la prima vendemmia è datata 1083, ossia 938 anni fa, praticamente un pianeta diverso. Fu allora il vescovo di Lucca a voler piantare i primi vigneti su queste dolci colline della Valdera, all'interno del Comune di Palaia (Pisa): il suo obiettivo era produrre il vino necessario per officiare la messa. Aveva avuto in dono questi territori da Matilde di Canossa, appena cinque anni prima, nel 1078 (Milleesettantotto, un Costa Toscana IGT, e Milleeottantatré, un IGT Toscana Rosso, sono appunto due dei vini proposti dalla produzione aziendale, a celebrare queste date); si chiamavano "Usiglian di Palaia", il cambio di denominazione è intuitivo, e secoli addietro, erano considerati un luogo sacro, dedicato al dio Giano, divinità agreste con due facce in unica immagine: simbolo di morte e rinascita, la rappresentazione dei cicli naturali in cui convivono inizio e fine.
È, insomma, un posto fortemente evocativo: oggi il connubio tra natura incontaminata, memoria storica e moderne tecniche fornite dalla ricerca scientifica in campo agronomico consente alla proprietà di orientarsi verso un’agricoltura di tipo sostenibile che tuteli il territorio e sia in grado di puntare a un prodotto di alta qualità, che abbia impresso tutto il carattere e l’energia del terroir in cui nasce.
Oggi la tenuta
Usiglian del Vescovo significa 160 ettari dei quali 15 di oliveti e 23 vitati (cordone speronato con una densità di 5.000 piante a ettaro; sangiovese, merlot, cabernet sauvignon, syrah tra i rossi; petit verdot, chardonnay e viognier tra i bianchi); le viti sono situate a 250 metri sul livello mare e si estendono per circa 6 chilometri lungo il costone. Sono piccoli vigneti con differenti esposizioni, vinificati separatamente, proprio per esaltare le peculiarità di ognuno. Il mare è a una cinquantina di chilometri; i suoli sono sabbiosi-limosi, ricchi di fossili marini; ciò, unito alla regolare piovosità, alla ventilazione costante e al caldo estivo mitigato dalle escursioni termiche notturne, permette ai vitigni di sviluppare una bella mineralità, una certa freschezza.

La conformazione del terreno
Caratteristiche che ritroviamo dunque, ad esempio, ne
Il Ginestraio, il primo dei nostri assaggi: è un Igt Toscana Bianco (nel nostro caso un 2019) elegante ottenuto da uve chardonnay e viognier, che unisce una secca mineralità di fondo anche note floreali e fruttate raffinate, per una beva di buona struttura (una parte della vinificazione affina in botti da 5 ettolitri, per 4 mesi) ed equilibrio, ideale ovviamente con un piatto di pesce. Vino "pronto" ma di personalità.
Sempre nel campo dei bianchi, cui l'azienda pare ovviamente ben vocata, per gli elementi che abbiamo raccontato sopra, ecco il Milleesettantotto già citato, annata 2017: sempre un blend di uve chardonnay e viognier, ma il "passo successivo", per dirla così. Milleesettantotto è un’edizione limitata con bottiglie numerate, una "chicca" aziendale: si ottiene dalla pressatura soffice dei grappoli interi; dopo una breve macerazione delle bucce, le uve vengono sottoposte a una decantazione naturale di una notte. Il vino si presenta di colore giallo pallido con una sfumatura di verde; ha un bouquet complesso e leggero. Mantiene, insomma, la freschezza del suo cugino minore, ma lo sopravanza in aromaticità e persistenza notevoli, candidandosi a riposare in cantina per sorprendere nel tempo.
Infine un rosso,
Il Barbiglione Terre di Pisa Doc 2015. «che è la migliore testimonianza per raccontare la storia e il terroir di
Usiglian del Vescovo», spiega il direttore di produzione
Francesco Lomi. Si tratta di una bottiglia a prevalenza di syrah («Che, grazie al terreno sabbioso, raggiunge la sua massima espressione») con una piccola percentuale di cabernet sauvignon e merlot. Dodici mesi in barrique e botti prima di un ultimo affinamento in bottiglia di un ulteriore anno garantiscono una bella intensità al naso, l'attesa complessità con note di frutti rossi; all'assaggio parte vellutato, poi emergono i tannini, che fanno infine spazio a una certa freschezza e una indubitabile persistenza. Anche in questo caso, da dimenticare in cantina per godersi più avanti il suo futuro.