Un sacerdote, 28 bottiglioni dimenticati e un vitigno ritrovato. La storia del Ruché può essere spiegata così, con queste poche parole: si tratta di un vino ancora poco conosciuto, forse anche un po’ sottovalutato, ma che invece ha delle caratteristiche peculiari molto importanti.
Il Ruché nasce per mano del parroco don Giacomo Cauda, arrivato a Castagnole Monferrato nel 1964: grazie ai parrocchiani aveva delle vigne, per la precisione tre ettari tra Barbera e Grignolino, ma dopo la prima vendemmia aveva subito detto che il vino non veniva bene, perché aveva delle deviazioni olfattive importanti.

Don Giacomo Cauda, che ebbe il merito di riscoprire il Ruché
Invece poi i parrocchiani, i paesani, gli dicono che in mezzo ai vigneti di
Barbera e
Grignolino, a Castagnole Monferrato, è presente anche il
Ruché, che è un vitigno a bacca rossa, aromatico, che crea queste “deviazioni” olfattive. L’anno dopo vuole toglierle tutte, le seleziona, ma poi dimentica una damigiana, da cui nascono i 28 bottiglioni che apre per puro caso l’estate successiva. Assaggia il vino, gli piace, e trova delle peculiarità interessanti. Così decide di impiantare il primo ettaro di
Ruché. È il momento della riscoperta.
Nel 1967 arrivano le prime produzioni di
Ruché in purezza. Dopodiché, viene intrapresa la strada per farlo diventare Doc, nel 1987. Quindi, dall’87 fino ai primi anni 2000 ci sono tracce di qualche migliaio di bottiglie, tra le 40 e le 50mila bottiglie, fino a quando arriva la “moda” del
Ruché, con i primi investimenti. «Oggi siamo 24 aziende che lo producono e vari imbottigliatori – racconta
Luca Ferraris, uno dei più importanti produttori di
Ruché e presidente dell’
Associazione produttori del Ruché - La
Docg è ora
Ruché di Castagnole Monferrato, che rimane il Comune principale con una produzione attorno al 70%, ma la zona comprende il territorio di altri 6 Comuni. La
Docg è nata nel 2010, quando la produzione era di circa 420mila bottiglie, mentre oggi siamo a quasi un milione. Solo 3 aziende fanno il 65% del territorio:
Montalbera,
Ferraris, e
Bersano».

Luca Ferraris nella sua cantina di affinamento
«
Ferraris è l’azienda agricola familiare più grossa dell’area
Ruché e seconda per numero di ettari.
Montalbera ha 43 ettari,
Ferraris 18 e
Bersano 12 ettari a
Ruché. Il problema è che c’è un gap importante con le altre aziende, che hanno davvero pochi ettari».
La storia dell’Agricola Ferraris è una sorta di “sogno americano” al contrario. Perché il sogno, in realtà, era nell’amato Monferrato. «Tutto iniziò con mio bisnonno che partì per l’America, per la Golden Rush – racconta Luca Ferraris - trovò l’oro e con quei soldi sua moglie realizzò il suo sogno, che era quello di comprarsi l’azienda con la cascina in Monferrato. All’epoca erano due ettari con un cascinale nel centro del paese. Mio nonno continuò l’attività; mio padre iniziò a lavorare in azienda, ma poi decise di lasciar perdere e andare a vivere a Torino. In ogni caso aveva ancora un paio di vigne che continuava a coltivare e conferiva le uve alla cantina sociale».
Ma poi c’è stato il cambiamento drastico: «Io mi diplomo nel 1999, faccio l’anno di militare, e nel 2001 riparto da zero, riprendendo in mano l’azienda che era del nonno, e ristrutturo una cantina storica costruita sul tufo in centro paese. La prima produzione era stata di circa diecimila bottiglie, non avevo
Ruché se non mille metri in affitto da un amico di famiglia. Ecco come sono partito con questa avventura di fare il vino».
Un’avventura in salita: «Mille sacrifici, mille ostacoli: il primo incontro è quello con la flavescenza dorata, che uccideva tutti i vigneti. Ma si è scoperto che il Ruché era più resistente rispetto alla Barbera. Io preferisco vedere sempre il bicchiere mezzo pieno, e dico che la flavescenza dorata se è un flagello per la Barbera, è quella che ha ribaltato l’economia di questa zona, perché la gente ha iniziato a credere un po’ di più nel Ruché, iniziando a piantarlo».

Le bottiglie conservate nella cantina storica di Castagnole Monferrato
«Noi siamo l’azienda che da sempre produce più
Ruché rispetto a
Barbera e
Grignolino: siamo partiti con 5-6mila bottiglie di
Ruché. Ma poi ho fatto un incontro molto importante al
Vinitaly del 2002:
Randall Grahm. Ha assaggiato i vini, poi è tornato e mi ha chiesto subito 20mila bottiglie, quanto la produzione di tutta la Doc era di 40mila. E mi ha pagato due annate in anticipo: con quei soldi potevo comprare le uve, le vigne e fare investimenti, così ho iniziato a lavorare con loro. Questa è stata l’esplosione, non solo per me, del
Ruché a livello mondiale».
La storia della Agricola Ferraris va a pari passo con quella della produzione del Ruché: «Attualmente abbiamo 33 ettari e occupiamo terreni di 4 Comuni: Scurzolengo, con il Bricco della Gioia, Castagnole Monferrato, che è il nostro quartier generale, con 10 ettari nella collina di Sant’Eufemia, Grana, con 5 ettari di Viognier, e siamo la più grande azienda che coltiva quest’uva in Piemonte, e Montemagno, per la precisione Castelletto di Montemagno, con l’ultimo investimento da 6 ettari».

I vini Ferraris: assaggi davvero interessanti
L’ultima ma importante novità per tutta la zona è proprio di questi giorni: come annunciato dal
Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato, il 30 gennaio è stata approvata la modifica del disciplinare che prevede la possibilità di realizzare vini
Riserva, con 24 mesi di invecchiamento, dei quali almeno 12 passati in botte di legno. «Il riconoscimento ufficiale della tipologia
Ruché Riserva è il punto di arrivo di un percorso di crescita costante, in termini qualitativi e quantitativi, che sottolinea le caratteristiche enologiche e organolettiche della denominazione – ha commentato
Luca Ferraris - Il
Ruché, da sempre considerato un vino da consumarsi giovane, guadagna in questo modo nuovi spazi e nuovi orizzonti, conquistando una posizione di rilievo anche tra i vini da invecchiamento».
L’assaggio dei vini di Luca Ferraris sono la conferma che sul Ruché si può puntare. E lo si capisce subito dal Sant’Eufemia 2018, un vino schietto, con una sensazione leggermente muschiata, da sottobosco, ma molto pulito. È una bottiglia “quotidiana”, da bere in spensieratezza: produzione annua di circa 60mila bottiglie.

Luca Ferraris ha ripreso l'azienda del nonno
Più elegante e raffinato è il
Clasic 2017, sempre
Ruché Docg, con il legno grande che gli conferisce delle note leggermente più scure, con un tocco di balsamicità, mantenendo una frutta rossa viva e fresca, e un sorso sicuramente più completo e profondo. L’
Opera Prima è invece il
Ruché più complesso: le uve sono coltivate sul
Bricco della Gioia, dove le vigne hanno una resa bassissima, ma una qualità notevole. Con un passaggio in tonneau, il vino – annata 2016 – è ampio al naso, ricco, con note speziate, ma anche erbe aromatiche. Un’altra annotazione: c’è anche
Vigna del Parroco,
Ruché realizzato proprio in quella vigna di don
Giacomo Cauda.

Il Sant'Eufemia, vino dall'ottima bevibilità
Abbiamo anche avuto il piacere di assaggiare il
Clasic 2011 e il
2012, che dimostrano come il
Ruché possa anche avere una discreta longevità: il 2011 era semplicemente strepitoso. Segnale che la tipologia
Riserva è più che giustificata.
Una nota conclusiva un po’ “fuori tema”: il Viognier è da provare, assolutamente. Non aggiungiamo altro.