La parola chiave è lievito, che si schiude con i suoi significati a Monticelli Brusati. Così leggero, così determinante nel far crescere, anche le aspettative. Nella tenuta de La Montina il Franciacorta si è offerto ai palati svelando l’equilibrio tra la generosità della natura e il lavoro degli uomini: l’affinamento sui lieviti racconta così una ricerca, quella della famiglia Bozza e dei suoi collaboratori.
Esiste un momento perfetto, in cui questo vino dà il meglio? La sfida è stata aperta decretando vacillanti vincitori, perché ciascuno si lascia chiamare dal risultato di questa scelta, questo rito – la sboccatura, celebrata anche in cantina – con i propri gusti personali.
Accanto alle generazioni dei
Bozza – da
Giancarlo,
Vittorio e Alberto a
Michele e
Daniele – e con
Nicola Bonera nella vece di guida ci si è immersi in un gioco serissimo. Uno di quelli che sanno osare, spingendo oltre i limiti. Prova del nove, a
Villa Baiana – dove si è ridata vita a un edificio incredibile, che si è popolato di arte e ricevimenti, riprendendo una vocazione all’ospitalità di famiglia – non ci si è affidati per questa serata speciale ai propri chef, bensì a un giovanissimo che ha saputo ripagare tanta fiducia:
David Fiordigiglio.
Lui ci ha colpito a sua volta per la ricerca nelle ricette e anche per la narrazione, che ha saputo coinvolgere a fondo i commensali fino a tavola. Le sue preparazioni hanno esaltato le etichette de
La Montina e lo chef ha risposto senza battere ciglio anche alle richieste vegetariane, toccando il clou con un pinzimonio di verdure (ben 16 tipi) su un letto di patata viola. Per i primi piatti, protagonista è stato il
Franciacorta Quor, risultato della spremitura delicata impressa dal torchio verticale
Marmonier. La freschezza di questo vino è pari solo alla ricchezza delle sfumature, dagli agrumi alla vaniglia.

David Fiordigiglio e, sotto, il suo ottimo piatto vegetariano, Cazzimpèrio, ossia pinzimonio
Il match tuttavia, ricordiamolo, era tutto da disputare sui lieviti. E si è rivelato appassionante. Qualche esempio? Ha spaccato il pubblico la partita tra
Franciacorta Satén, vendemmia 2005 (100% Chardonnay) sboccatura 2008 e sboccatura 2018. Noi, pur combattuti, propendiamo per il primo, che sprigiona una maggiore eleganza, anche se ci tenta l’irruenza del secondo. Meno esitazioni spostandoci sul 2006, una vendemmia che ha permesso di ottenere sentori raffinati in armonia con l’acidità: anche qui la sboccatura del 2008 ci convince di più. Non così per quanto riguarda il
Millesimato Brut del 2006 (60% Chardonnay, 40% Pinot Nero), perché qui la sboccatura del 2018 ci appare in grado di rivelare un vino più deliziosamente sfacciato, rispetto a quella del 2010.
Un viaggio veramente interessante, in un’azienda vocata al Franciacorta Docg (400mila le bottiglie prodotte in un anno) e alla cura del territorio, come della propria storia. Anche in cantina, una statua ricorda il legame con papa
Paolo VI e ogni gesto è nel segno della sostenibilità, nella cura di quel territorio che abbraccia il lago d’Iseo e poi le colline.