Bcn5.0 è la sigla sotto la quale fino ad oggi i fratelli Ferran e Albert Adrià hanno raggruppato i loro locali di Barcellona: cinque indirizzi che diventano sei se si calcola la doppia proposta di cucina messicana (Hoja Santa e Niño Viejo, alta cucina e bistrot) ma ridiventano cinque poiché il sesto, Enigma, aprirà solo nel 2016. E Bcn5.0 cambierà nome, poiché presto le attività degli Adrià brothers si allargheranno a Ibiza e persino a Santo Domingo, come abbiamo spiegato ieri qui.
Tutto questo per dire che gli orfani de El Bulli rimangono senza genitori; ma possono consolarsi con patrigni vari. Si dice che Experience, il ristorante gourmand all’interno di Enigma, offrirà un’esperienza quando più simile possibile a quella che si viveva a Roses; e anche La Boîte, una delle tre insegne di Heart a Ibiza, sarà esclusivo e particolare. Ma echi bulliani s’odono distintamente da Tickets, “la vida tapa”, il primo locale della serie catalana: un successo stellato che non ha nulla del ristorante tradizionale (servizio informale, caos, si mangia indifferentemente al tavolo o su banconi, niente è elegante tranne il cibo), ma che da quattro anni conquista i buongustai, il tutto esaurito qui è la norma, nonostante i prezzi non proprio da taperia, si toccano gli 80-100 euro per un degustazione che nella sua versione più ampia prevede una serie di piattini quasi infinita – ne abbiamo contati 25 – e che si vorrebbe non finisse davvero. Si può spendere anche molto meno, basta limitare le proprie ordinazioni: ma vale la pena lasciarsi andare, l’esperienza è di altissimo livello e evoca il mito bulliano, il genio degli Adrià.

Lombata di manzo marinata su pane di malto nero, cipolla dolce, formaggio affumicato e polvere di aceto, piatto di Tickets
Erano considerazioni che facevamo di fronte a due splendide olive. Sferificate, una proposta de
El Bulli, anno 2003: vecchissima dunque. Eppure ancora oggi molti tradizionalisti si domandano: «Perché sferificare? Un’oliva non può forse essere deliziosa di per sé?». La risposta di
Tickets: le due che vi abbiamo degustato erano le olive più buone mai mangiate o, più correttamente, due “cose” molto più buone della migliore oliva possibile, poiché nell’addensante agar agar finivano altrettante essenze del frutto (da olive diverse, una sivigliana, l’altra di Jaen) il cui gusto viene arricchito, reso complesso e indimenticabile da mille componenti: cannella, limone, anice stellato e pepe oppure rosmarino, timo, aglio e arancia… Favola.
Elogio all’oliva, dunque, ma Tickets è molto di più, un caleidoscopio affascinante di gusti e consistenze. Il meglio secondo il nostro taccuino: lombata di manzo marinata su pane di malto nero, cipolla dolce, formaggio affumicato e polvere di aceto; “banale” ostrica Gillardeau che trova uno sposalizio straordinario nel kimchi di yuzu, ma poi ci si chiede come una semplice fragolina di bosco possa arricchirne il fascino con aromi secondari così sorprendenti, conferendo una ricchezza gustativa memorabile. Noi siamo rimasti senza parola anche di fronte a una pazzesca insalata di pomodori Raf, con aria di basilico, olio extravergine, olio di pistacchio, gelatina di mandarino, stracciatella di latte e, di nuovo, fragoline. Pura magia.

Merlango selvaggio, leche de tigre, purea di patata dolce, mais tostato, castagna tostata, castagna caramellata, fungo porcon e coriandolo, piatto firmato da un giovane della brigata del Pakta, Dani Miro
E’ un entusiasmo che non è rimasto isolato, poiché ci ha contagiati anche da
Pakta, il ristorante degli
Adrià che propone cucina nikkei, fusione tra quelle nipponica e peruviana. Se si vive
Tickets, che è a due passi, come parto diretto dei fratelli catalani, qui rendiamo merito anche alla mediazione di uno chef,
Jorge Muñoz, che riesce in un’impresa titanica: bilanciare aromi scatenati e apparentemente senza freno – amari
strong, piccantezze spinte, acidi intensi… - in un equilibrio sorprendente; propone esplosioni gustative che si placano al palato in note di eccezionale eleganza e complessità. Pasteggiando a pisco e saké, si toccano vette di cucina assoluta:
Stracciatella di yuba con tartufo nero, salsa di soia e sale di soia secca;
Riccio di mare con ponzu di yuzu, una sferzata di ricordi iodati, agrumati, dolci e salati insieme;
Branzino selvaggio con yuzukosho (salsa di yuzu piccante), coriandolo e miso (piatto estremo, soprattutto amaro, acido e piccante insieme, eppure capace di non uccidere il pesce: come se
Paolo Lopriore fosse sballottato tra Oriente e Sudamerica); baccalà nero che incontra miele di carruba, puré di patata, aji giallo e cipollotto (abbinato a un calice di gewurztraminer: piatto insieme dolce e salato, questa volta è
Corrado Assenza a cambiare continenti). Dolci sullo stesso altissimo livello, ricordiamo un
Flan di salsa di soia con caramello e mirin e un
Bombon Pakta di tè verde con ganache di yuzu.
Di fronte a queste splendide esperienze, ci pare impallidisca la proposta di Hoja Santa; tanto Pakta spinge sugli aromi tenendoli però a bada, quanto nella cucina messicana di Paco Mendez le note gustative – in particolare il piccante – ci appaiono piuttosto fuori controllo. Una grande delusione, a dirla tutta.
(2, fine)