Poche cose nascono per caso. Se chiedi a Peppe Barone, maestro di cucina siciliana, il perché dell’addensarsi di qualità – prodotti, chef, ristoranti – nel triangolo Ragusa-Modica-Noto e territori limitrofi, lui risponderà che ci sono ragioni storiche: queste erano aree di enfiteusi, dove cioè il contadino aveva l’obbligo di migliorare il fondo agricolo, quindi lavorava con maggiore lena, produceva (il) meglio, perché ne aveva l’interesse, si è dunque sviluppato un settore agroalimentare fiorente. Non così altrove, ad esempio nella fascia tra Palermo ed Enna, dove dominava il latifondo estensivo.
Se si prova a rivolgere la stessa domanda ai cultori di questa bella Sicilia orientale gastronomica, la risposta sarà diversa. O meglio, ci sarà un’aggiunta importante: «…e poi gran merito è di
Barone», che da trent’anni proprio l’eccellenza isolana valorizza. La sua lezione scorre nel sangue di
Pino Cuttaia e
Carmelo Chiaramonte,
Ciccio Sultano e
Accursio Craparo. Eppure lui allontana gli allori, ama lavorare nell’ombra e con un’umiltà che strappa riconoscenza, ritagliandosi il ruolo di “gastrosofo” (la definizione è sua) che cita il territorio ma in versione rivisitata, senza salire in cattedra.

Le "aule didattiche" della scuola. A ogni sessione sono ammessi al massimo 16 allievi
O forse sì. Perché oggi che le primavere sono 54,
Barone prosegue su questa strada sovrintendendo la cucina della
Fattoria delle Torri nella sua Modica, dove assaggiare arancini o paste alla Norma destrutturati. Ma ancor più coltivando la propria vocazione di diffusore di sapienza culinaria all’interno di
Nosco, la Scuola Mediterranea di Enogastronomia, una realtà bella quasi quanto l’edificio che la ospita, il cinquecentesco Antico Convento dei Cappuccini all’interno dei giardini di Ragusa Ibla.
Barone ne è l’anima, a lui è affidata la direzione dell’istituto, operativo da un anno e mezzo dopo quasi un settennato di gestazione durante il quale l’illuminato vescovo
Paolo Urso – la proprietà del complesso è della Diocesi e della Fondazione San Giovanni Battista – ha cercato di avviare il progetto e ci è infine riuscito mettendovi a capo l’esperto chef. Cinque tutor per sedici studenti, 32 i diplomati in due sessioni già terminate mentre è partito il terzo ciclo, 4 mesi di studio più tre di stage esterno, ma dopo i primi 45 giorni di corso base si finisce a cucinare all’interno del ristorante didattico
Cenobio, che si trova nello stesso edificio della scuola.

Foto di gruppo per Peppe Barone e i suoi principali collaboratori. Da sinistra: Giuseppe Venezia. chef presso il ristorante didattico Cenobio, il sous chef Ettore Moliteo, il direttore della scuola Peppe Barone, un suo ex studente, Davide Cicciarella, ora stagista del Cenobio, Giovanni Galesi, chef e tutor di Nosco, e la collaboratrice Anna Nicastro.
Spiega Barone: «Insegniamo a prendere consapevolezza del nostro patrimonio gastronomico; forniamo insomma un metodo generale, in modo che alla fine il territorio singolo si trasformi in “territori”, al plurale, quelli dei ragazzi». La prima lezione viene tenuta da un’etnologa, a sottolineare l’importanza del recupero della memoria orale; i grandi chef celebrati fanno capolino solo al termine del corso, «perché non sono loro, i maestri della creatività, l’esempio iniziale. Prima s’impara a cucinare, poi anche a stupire».
Stupisce intanto la qualità dei piatti offerti al Cenobio, dove Barone è coadiuvato da giovani collaboratori come Giovanni Galesi e Peppe Venezia. Ottimi il Gazpacho con polpette di pesce azzurro e porri fritti e la Pastratedda (un’antica pasta dei poveri) con bisque di canocchie e lime. Ma a noi ha stuzzicato ancor di più l’idea del Baccalà con crocchè e spuma di mandorle…