E’ l’unico grande chef a essere salito sul palco di Identità Milano in tutte le dieci edizioni, dal 2005 in poi: quasi un paradosso, per una personalità come la sua, sobria se non introversa, che non ama i riflettori e parla male – dibattito di questi giorni - della «mera esibizione», ossia della logica Masterchef. Un paradosso dunque, ma anche no: è stato definito «silente guru di una cucina alla ricerca del gusto nella sua essenza primordiale», perché l’evoluzione fa parte del suo dna e proprio tale sforzo di continua ricerca, dai toni ovattati, poco spettacolari (negli ultimi anni, soprattutto sull’acqua: come a dire, sull’elemento primordiale, puro e neutro per eccellenza), ha scandito un percorso del tutto unico: dalle tre stelle nel 2002, a soli 28 anni, il più giovane chef della storia a fare filotto, alla “svolta in jeans” del 2010.

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Identità ne ha accompagnato la crescita, e viceversa: nel 2008 le torte all’acqua, appunto, nel 2009 le estrazioni di
In.essenza, poi l’eliminazione dei latticini (2012) et cetera, fino al piatto simbolo della scorsa edizione,
Pier.Angelini, e alla “pjzza” cotta al vapore. Per questo, ci è piaciuta l’idea di tornare a Sarmeola di Rubano, alle
Calandre – ormai punta di diamante di un piccolo universo che conta altri due ristoranti di fama, il
Quadri a Venezia e la
Montecchia a Selvazzano, senza contare la nuova apertura parigina, poi il caffè storico in piazza San Marco e tre bistrot… - per ripercorrere le tappe di un’ascesa che lo colloca in piena classicità contemporanea, però questo mentre l’autore continua a puntare il futuro, giovane e vecchio allo stesso tempo. Quasi dimenticavamo: stiamo parlando di
Massimiliano Alajmo. Da lui ci siamo fatti aiutare, con parole e schemi, nel raccontare piatti divenuti celebri.