30-12-2024

Il profeta dei gamberetti di Ostenda (quelli pescati a cavallo): da Willem Hiele, che cucina la natura

Sulla costa delle Fiandre, in Belgio, resiste una pesca antica e un rapporto simbiotico tra mare e terraferma. Willem Hiele è lo chef che traduce questo patrimonio di cultura e biodiversità in piatti appassionanti, il suo ristorante è 83° nella 50Best

Willem Hiele alle prese coi gamberetti. Lo chef è

Willem Hiele alle prese coi gamberetti. Lo chef è il portabandiera della cultura gastronomica della costa di Ostenda, in Belgio

«Io cucino solo con quello che vedo», fa lui: alto, barbuto, lungocrinito, un fiammingo con fattezze vichinghe, dalla sensibilità innata e l’umanità prorompente che scalda il cuore ma ahimé non le membra, cosa che sarebbe stata quanto mai utile nei giorni scorsi, quando faceva freddo a camminare sullo strand accarezzato dal Mare del Nord, vale a dire la lunga (infinita?) lingua sabbiosa che invece d’estate, a temperature più miti, si popola di bagnanti al riparo dai venti nelle loro strandcabines, quelle pittoresche piccole strutture di legno, spesso dipinte in colori vivaci, che punteggiano le spiagge del Settentrione d’Europa e che a noi mediterranei paiono tanto strane (ma a che servono? Venite da queste parti e lo capirete). Siamo nella cittadina di Koksijde, Fiandre Occidentali, Belgio, a pochi minuti dalla più nota Ostenda, nome quest’ultimo d’antico fascino scheggiato dalle ferite della Seconda Guerra Mondiale: prima che i bombardamenti facessero strame di un mondo incantato e ormai scomparso, il lungomare era disseminato di magnifici hotel in stile della Belle Époque che diventavano approdo chic per quelle classi privilegiate nordeuropee – inglesi soprattutto -convinte, nell’Ottocento e nei primi anni del Novecento, di dover temere l’esposizione al sole e dunque che i bagni potessero essere presi solo nell’oceano, mica più a Sud.

Gamberetti grigi di Ostenda

Gamberetti grigi di Ostenda

Strandcabines a Oostduinkerke, vicino a Ostenda. Foto Visit Flanders

Strandcabines a Oostduinkerke, vicino a Ostenda. Foto Visit Flanders

Veduta di Ostenda. Foto Visit Oostende

Veduta di Ostenda. Foto Visit Oostende

Ma adesso siamo a Koksijde, appunto, in una casa di campagna del 1832, in Pylyserlaan 138, con tanto di grande forno con affumicatore in giardino. È un non-più-ristorante. Ed è il luogo dell’anima – una specie di Macondo in salsa benelux - di Willem Hiele, il vichingo di cui sopra, classe 1981, di professione chef, il suo attuale indirizzo poco distante è al numero 83 della 50Best.

Nonno Jerome, pescatore

Nonno Jerome, pescatore

La pesca dei gamberetti, a cavallo, sulla costa di Ostenda. Foto Westtoer APB

La pesca dei gamberetti, a cavallo, sulla costa di Ostenda. Foto Westtoer APB

Era invece, questa di Koksijde, innanzitutto l’abitazione di suo nonno Jerome, che faceva il pescatore, un tempo il lavoro dei più in zona. Qui il giovane Willem, dopo una parentesi da fornaio e dopo aver surfato i mari di mezzo mondo alla ricerca dell’onda perfetta, aveva deciso di tornare per aprirvi il suo ristorante, senza poter vantare un cursus honorum particolarmente fulgido, senza cioè grandi maestri alle spalle, ma con l’intenzione di «cucinare solo con quello che vedo», si diceva. Cosa potesse vedere per prima cosa e più nitidamente, lo capiamo chiacchierando insieme al vecchio Stefaan Hancke, collega e amico di nonno Jerome. Stefaan dagli occhi azzurri è un tipo gioviale, che ama le battute e le risate, si direbbe in pace col mondo: «Se non vi piacciono i gamberetti, mangiate cavoli!», prorompe a un certo punto, mentre passeggiamo per la sua fattoria di Oostduinkerke e ammiriamo nella stalla gli imponenti cavalli di razza Brabant Draught che vi sono riparati, non siamo esperti in materia ma azzarderemmo: bestie da tiro? È esatto. Servono infatti per perpetuare quello che è un rito ancestrale da queste parti, quasi scomparso (dubbio: è rimasto solo come attrazione turistica?), ovvero la pesca dei gamberetti a cavallo nel mare antistante, iscritta dall’Unesco nel 2013 come patrimonio culturale immateriale dell'umanità, leggi qui. Ormai sono unicamente 14 i pescatori a praticarla – ci spiegano – e addirittura non più di 8 con continuità, ossia professionalmente. Stefaan è tra questi.

Il pescatore Stefaan Hancke davanti al paiolo in cui sta cuocendo i gamberetti pescati a cavallo

Il pescatore Stefaan Hancke davanti al paiolo in cui sta cuocendo i gamberetti pescati a cavallo

Stefaan Hancke

Stefaan Hancke

Willem Hiele nel casotto di Stefaan Hancke

Willem Hiele nel casotto di Stefaan Hancke

C’è però maltempo, oggi pomeriggio. Il problema non è tanto la pioggia, ma il vento e le correnti, ci dice lui, e così i cavalli son dovuti rimanere rintanati a casa, al coperto (c’è da rispettarli, questi equini. Quando chiediamo quale sia la maggiore difficoltà di tale pratica antica, l’anziano pescatore inizia con: «Serve un buon rapporto con i cavalli, perché non sono certo abituati ad andare in mare», è difficile farli camminare saldi nella risacca, nonostante la zampe più che robuste, trascinando il carretto dove ammucchiare i gamberetti appena catturati. Poi dice altre cose, perse nel mio taccuino, ma insomma avete capito quale sia il tema dominante).

Però ci consoliamo: la pesca mattutina, prima della pioggia, ha invece dato i suoi bei risultati: tre chili di gamberetti freschissimi, «questo è il periodo migliore per pescarli, sono grandi e carnosi. Son nati tra febbraio e aprile, han avuto tempo per svilupparsi». Risultano grigiastri, pare brutto a chi pensa a un gambero di Mazara, che è pure molto più grosso, ma qui è un segnale di qualità: questi crostacei nordici hanno cinque pigmenti, appena finiti nelle reti appaiono appunto grigi (il loro nome, infatti, è grijze garnalen), quindi scottati in acqua bollente salata diventano rossastri e poi, stesi per asciugarli, virano verso l’arancione, se son davvero buoni. Sul tavolo, si mostreranno bianchi alle nostre fauci, funziona così. Son piccoli, non più di tre centimetri; quindi fragili; e infine impossibili da congelare, perderebbero tutta la struttura e il sapore. A Ostenda si vantano: “Best shrimp in the world”, i migliori gamberetti del mondo. Perché? «Si cibano di plancton, per loro è l’ideale. In secondo luogo, selezioniamo il pescato 100% a mano, guai se resta un gamberetto inadatto (ossia guastato, quindi amaro, ndr). In terzo luogo, li cuciniamo in acqua di mare e li lasciamo raffreddare all'aria aperta, non in acqua come fanno sulle barche, e in questo modo l’aroma si conserva intatto». (Il nostro palato dice: sono davvero eleganti in quanto molto meno sapidi dei gamberi nostrani, questione di salinità dei mari). C’è tutta una piccola economia turistica attorno al grijze garnalen, protagonista del piatto tipico locale, le garnaalkroketten, ossia le crocchette di gamberetti grigi, con tanto di Garnaalkrokettenfestival, un evento annuale a loro dedicato e che attira tanti crocchettofili di tutta Europa.

Garnaalkroketten, ossia crocchette di gamberi, alla Brasserie Du Lac

Garnaalkroketten, ossia crocchette di gamberi, alla Brasserie Du Lac

A dir tutto ciò, non sorprende quindi che la ricetta più celebre di Willem Hiele sia a sua volta a base di gamberetti grigi. Piatto della memoria: è una zuppa di gamberetti, lui la chiama bisque, che gli richiama il ricordo dei pasti in famiglia. Gli chiediamo: è il tuo signature dish? Lui risponde: «No, è un destination dish», un piatto icona dal quale vuole un po’ sganciarsi per crescere, quindi lo propone straordinariamente solo nelle cene speciali, su prenotazione, nella vecchia casa dei nonni e non più nel suo nuovo ristorante, lo chef si è trasferito nel 2022 in una sede diversa, un magnifico edificio nella campagna di Oudenburg, appena fuori Ostenda. Per noi sbaglia, glielo diciamo, perché questo brodo clamoroso riempie l’anima in un rimando quasi antropologico a un boccone senza tempo che ha tanto da raccontare (lo percepiamo persino noi, che veniamo da un’altra cultura), coi gamberetti sgusciati – c’è tutta una tecnica, nonna Vermote ci metteva un secondo - a far da side a una superlativa bisque di gamberetti in tazza, ossia il brodo ristretto dei carapaci, suadente, arricchito con una panna al brandy Bressac spolverata dii caffè a chiudere il cerchio, come fosse un cappuccino nel quale intingere il perfetto e croccante pane a lievitazione naturale (Hiele nasce e cresce da gran fornaio, lo abbiamo già detto. «Non avevo voglia di studiare, quindi papà mi mandò a lavorare in una panetteria. Pensava fosse una punizione, in realtà adorai quel mondo e mi forgiò») farcito con gli stessi gamberetti, scottati, e col burro chiarificato che incorpora anche una percentuale di grasso di merluzzo bianco in salamoia ed essiccato, il gusto è semplicemente eccelso. Per un fine dining, in effetti, è una proposta po’ difficile da gestire, la macchia sulla tovaglia è in agguato. Hiele rassicura: «Finito l’assaggio, il tavolo deve essere sporco».

Gamberetti pronti per la bisque

Gamberetti pronti per la bisque

La Bisque di gamberetti di Willem Hiele

La Bisque di gamberetti di Willem Hiele

Noi recupereremmo questo momento di connessione storica, sociale e territoriale (quanto alle macchie: è sempre bene épater le bourgeois) anche nel nuovo ristorante con camere di Willem Hiele, un incredibile miraggio negli spazi verdi e piatti delle Fiandre rurali: è allocato in un gioiello brutalista del 1971 progettato dall’artista e architetto belga Jacques Moeschal nelle splendide campagne del Grote Keignaert, una riserva naturale a pochi chilometri dalla città nonché spettacolare polder, vale a dire un tratto di mare prosciugato artificialmente attraverso dighe. Attorno, otto ettari di terreno dedicati all’allevamento (il panorama risulta punteggiato di mucche), all’agricoltura (erbe aromatiche soprattutto) e a una fioritura spontanea che, nei progetti, dovrà presto circondare interamente il locale della sua bellezza insieme fine e selvaggia, certo multicolor. «Le linee sobrie, il grezzo cemento e le vedute sui campi mi ispirano ad avvicinarmi ancor più all’essenza. Ed ecco allora che servo un pezzetto di sgombro, appena uscito dall’affumicatoio. Senza salsa o inutili fronzoli. Chi lo prova, resta colpito dalla semplicità».

L'edificio del nuovo ristorante Willem Hiele

L'edificio del nuovo ristorante Willem Hiele

È un gioiello brutalista del 1971 progettato dall’artista e architetto belga Jacques Moeschal

È un gioiello brutalista del 1971 progettato dall’artista e architetto belga Jacques Moeschal

La sala

La sala

La cucina a vista, con fuoco e braci

La cucina a vista, con fuoco e braci

«Io cucino solo con quello che vedo», diceva all’inizio Willem, è un po’ il fil rouge di questo racconto. Quindi i gamberetti innanzitutto. Poi le ostriche, gli eglefini, gli sgombri appunto, le verdure di una farm a pochi km di distanza. I frutti rossi del territorio per dare acidità ai piatti, anche se qui Hiele ha chiesto l’aiutino, arrivano limoni da un’azienda biodinamica spagnola. L’acidità non mancherebbe di suo: «Anche i fichi qui sono un po’ aciduli, proprio perché crescono in prossimità del Mare del Nord». Dice ancora: «Abbiamo una pianta di aneto, a Koksijde. Lo sappiamo già: una settimana dopo la sua fioritura, spunterà il primo asparago», la natura sa regalare puntualità a chi la rispetta. Di certo lo chef bandisce quello che proprio non ha legami col circostante, «ma che senso avrebbe proporre da me un avocado, un king crab e una salsa di soia? Io cambio menu ogni giorno, in base a quello che mi offre il mercato».

Gamberetti al Vistrap di Ostenda

Gamberetti al Vistrap di Ostenda

Il mercato in questione, principalmente, è il Vistrap di Ostenda, letteralmente “mercato del pesce”. Willem ci accompagna lì al mattino presto, ci sono poche bancherelle, poca gente, sarà la stagione. Il motivo è anche un altro: «Qui solo i proprietari delle barche, quindi i pescatori locali, che escono alle quattro del mattino, hanno l’autorizzazione alla vendita». Di pescatori non ne son rimasti molti, così il mercato è piccolo ma il prodotto straordinario e straordinariamente imprevedibile, c’è solo quanto catturato vivo poche ore prima, anzi le ceste di polistirolo brulicano ancora di vita: «Ovvio, io vengo qui e non so mai cosa sarà reperibile per la cena della sera. Modifico il menu in base a quanto riesco ad acquistare».

Fa la sua spesa, lo chef, poi ci propone un caffè («È davvero ottimo») al Rubens, un alberghetto a due stelle simpaticissimo, vista mare, con caffetteria al piano terra, «il nonno dell’attuale proprietario pescava insieme al fratello di mio nonno», qui è tutta una faccenda di legami stretti sulle onde. Ma niente da fare, il Rubens è ancora chiuso, quindi ci portiamo poco distante, «per assaggiare la tipica colazione del pescatore di Ostenda», ossia un panino fresco (quindi caldo) e croccante farcito con burro buono (in quantità abbondantissime) e con gamberetti appena scottati conditi con sale e pepe. Lo (de)gustiamo alla Bakkerij De Cock, indirizzo di panificazione storico, «siamo più vecchi della Coca Cola, eravamo già aperti al tempo di Napoleone», ci fa il titolare, che poi a ben vedere non è proprio vero, l’insegna data 1855, l’imperatore corso era già da anni seppellito a Sant’Elena. Tant’è.

La colazione del pescatore di Ostenda

La colazione del pescatore di Ostenda

Splendidi pani alla Bakkerij De Cock

Splendidi pani alla Bakkerij De Cock

A parlare è Luc David, panificatore di chiara scuola francese, impasta pagnotte esemplari in mille tipologie diverse una migliore dell’altra, poi c’è tutta la sequenza dei croissant, delle brioche, delle torte… Bravissimo. «Quando incontrai per la prima volta quella che sarebbe diventata mia moglie, ossia la figlia dei vecchi fornai del De Cock, incrociammo gli sguardi e a lei caddero le baguettes che teneva in mano» o forse più prosaicamente sotto l’ascella: colpo di fulmine, i lieviti nel destino. Il De Cock rimane un indirizzo di riferimento per i buongustai di passaggio, così come la vivace brasserie dell’Hotel Du Parc, noi lì abbiamo addentato una correttissima Sogliola di Dover con frites, purea di patate e misticanza, ma prima ancora un’ottima terrina di carne e un bel cucchiaio di keiems bloempje, formaggio locale erborinato, molto morbido, dal sapore delicato (ne esistono diverse varianti: con erba cipollina, aglio e prezzemolo, o con fieno, aglio orsino, alghe, erbe estive e invernali).

Willem Hiele

Willem Hiele

Ostica belga leggermente affumicata, alghe, mirtilli

Ostica belga leggermente affumicata, alghe, mirtilli

Scampone cotto nel forno a legna, salsa di molluschi essiccati e affumicati (cozze, cannolicchi...), succo di pomodoro

Scampone cotto nel forno a legna, salsa di molluschi essiccati e affumicati (cozze, cannolicchi...), succo di pomodoro

Era pranzo, siam stati leggeri in vista della cena al ristorante Willem Hiele. Nel frattempo l’aspettativa era esplosa: diciamo subito che sarebbe stata appagata. Lo chef ha una dipendenza dal prodotto, che come detto è straordinario: lo accarezza, lo accompagna sulla griglia, lo esalta, Hiele è un innamorato creativo. I suoi scampi alla brace con salsa ai molluschi e crostacei (deliziosa) e pomodori (side dish inutile) sono buoni, golosi, con uno spiccato umami, ma rappresentano solo l’inizio di un percorso che splende poi con un piatto immaginifico, di frutta e verdura in patchwork di creme solidificate, ispirato a un quadro di Chaïm Soutine: è una sorta di natura morta di barbabietola, arancia sanguinella, nettarina, pomodoro, olio di basilico e caramello di semi di girasole, i vegetali sono disidratati, essiccati e affumicati, poi gestiti come fossero salumi, ci ha richiamato le tonalità gustative di un dolceforte, con note ovviamente più sapide. Eccellente.

Il piatto ispirato al quadro di Chaïm Soutine. Foto @chantalarnst

Il piatto ispirato al quadro di Chaïm Soutine. Foto @chantalarnst

Il capolavoro di serata però parlava anche un po’ d’italiano: il guanciale del SanBrite di Riccardo Gaspari (eccezionale), donato a Hiele dallo chef di Cortina d'Ampezzo durante l’ultima edizione di Genesis, arricchisce una meravigliosa capasanta con tartufo bianco e funghi: il mollusco regala masticazione, il fungo dà profumo, il salume è puro splendore traslucido, l’insieme è eccezionale, il piatto della serata per profondità e complessità.

Capasanta con tartufo bianco e guanciale del SanBrite

Capasanta con tartufo bianco e guanciale del SanBrite

Lepre, ciliegie di Schaerbeek preservate dal 2019 nella gueuze, trombette della morte

Lepre, ciliegie di Schaerbeek preservate dal 2019 nella gueuze, trombette della morte

Al termine della cena, ci consegnano i menu della serata. Proprio vero, Hiele improvvisa ogni giorno in base a quel che trova al Vistrap, così i piatti indicati non corrispondono a quelli che abbiamo assaggiato. Poco male. Sul cartoncino c’è però una scritta. Traduciamo: “Quando sogniamo, siamo liberi, perché dove possiamo esercitare la nostra volontà, proprio lì troviamo la libertà. E la libertà di pensare e di agire è il fondamento della nostra felicità”. Questo, sì, corrisponde.


Willem Hiele
Kapittelstraat 71 - Oudenburg, Belgio
+32 (0)58 596221
restaurant.willemhiele.be/en


Carlo Mangio

Gita fuoriporta o viaggio dall'altra parte del mondo?
La meta è comunque golosa, per Carlo Passera

Carlo Passera

di

Carlo Passera

classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera

Consulta tutti gli articoli dell'autore