Non sappiamo se Piacenza se ne sia accorta – e forse non è tra gli unici distratti - ma può vantare un grandissimo ristorante.
Premessa con un piccolo aneddoto. Squilla il cellulare: è Luigi Taglienti. «Ciao Carlo, ho visto che hai prenotato da me per venerdì. Volevo purtroppo dirti che non ci sarò, devo andare all’estero per un evento dove sono chiamato a cucinare». Ok, Luigi… (Mi butto subito sull’agenda, penso a una nuova data, gli chef vogliono sempre essere presenti in questi casi). Riprende lui: «Ma mi fa molto piacere che veniate comunque. Poi ci sentiamo e mi dirai le tue impressioni».

L'ingresso di IO Luigi Taglienti, situato presso la chiesa sconsacrata dedicata a Sant'Agostino, negli spazi del cortile e dell'antica falegnameria annessa al monastero. Il ristorante si inserisce nel progetto della galleria Volumnia, uno spazio espositivo dedicato al design storico italiano diretto e curato da Enrica De Micheli. La galleria, nella chiesa sconsacrata, ospita mostre, eventi e un’esposizione di design da collezione
Insomma: è sicuro di sé
Taglienti, e sicuro del nuovissimo menu
Discover, che declina la sua ricerca sulle salse (
ne avevamo scritto qui) immergendolo nel territorio piacentino, tra prodotti locali e interpretazioni della tradizione invero spesso assai libere, il legame si rivelerà tutt’altro che claustrofobico. Lui dunque non ci sarà, e allora la cucina sarà affidata al suo braccio destro,
Patricio Morocho Quezada – esatto, non è piacentino Doc, è ecuadoregno di Santa Rosa, classe 1994, nel Belpaese dal 2008, «ero arrivato per studiare la vostra cucina. Mi è piaciuto e sono rimasto». È bravissimo, precisissimo, come avremmo scoperto. Alla fine della cena, con
Patricio arrivato al tavolo per i saluti, ci saremmo complimentati: tecniche perfette, servizio puntuale, la cucina che è un cronometro, nessuna sbavatura, precisione totale, «
metodo Taglienti» ci avrebbe riassunto lui, sorridendo affabile e schivo in un tributo affettuoso al suo maestro che la leggenda gastronomica vuole molto esigente e a volte anche duro. Gli occhi di
Patricio ci confessavano invece quella dedizione totale e ammirata di chi capisce di essere immerso in un percorso di crescita che magari non si sarebbe neanche immaginato, certo impegnativo ma al quale si dimostra totalmente disposto. Concetti quasi fuori moda? Se gli esiti son questi, poco da dire.
Ma appunto: quali sono gli esiti? «Da tempo non trovavo una cucina così a fuoco», mi avrebbe detto al termine della cena il mio commensale, mentre risalivamo in auto direzione Milano. Esattissimo, con una precisazione: è proprio l’intera esperienza che è un gioiello, ossia non solo i piatti in sé, ma le tempistiche, il servizio, il ritmo, l’ambiente (straordinario, ma ne avevamo già parlato sempre qui), il pairing, l’empatia: Taglienti è un “classico” di per sé, il suo dunque è un ristorante elegante, non s’iscrive tra i nuovi format scanzonati. Ma l’approccio del personale tiene la giusta misura: professionale senza essere freddo). Annarita Granata gestisce la cantina, che vuol far virare verso il duplex territorio + bollicine, noi siam curiosi e propendiamo per il primo alla scoperta di novità, sontuoso è il compromesso rappresentato da un eccellente Terre di Bigarola 2016 – 100% Ortrugo – di Podere Pavolini.
Il nostro menu: dopo uno sferzante
Sedano e yuzu, la
Torta di bietole è già complessa, acida, grassa e veg, con la masticazione della cialda e il pesto marino di salicornia. L’avvolgente e piena
Suzette di verza introduce l’ostrica: ancora ci ricordiamo un capolavoro di
Taglienti ai tempi del
Lume, ossia
Ostrica e nocciola. Il mollusco evidentemente stimola lo chef che si conferma con
Millefoglie di ostrica, ossia quest’ultima che diventa crema a condire la dolcezza dei cachi (una simile declinazione aromatica più avanti, con il musetto di maiale che incontra il passion fruit, spettacolare).
Elegante e intensa è la Capricciosa di mare, mentre Cruda di cavallo racconta una tradizione portata alle stelle: qui, in un piatto semplice, col peperone appena accennato in nuances aromatiche e piccantezza, stupisce la quasi innaturale fondenza della carne, che ritroveremo nel successivo capriolo (altro masterpiece) nonché nel già citato musetto (ed è il terzo). I primi piatti sono una pausa più golosa, Pisarei e faśö chantilly diverge dai binari attesi, con il foie gras marchesianamente a nobilitare – in modo fin troppo didascalico - un piatto del territorio. Dopo i detti capriolo e musetto da applausi, sul finire, la Crema è diventato un classico a ragione, mentre è geniale l’idea di chiudere definitivamente i discorsi con una fetta di eccelso culatello sopra il pane tostato.
Quindi: non sappiamo se Piacenza se ne sia accorta, ma può vantare un grandissimo ristorante. Lo avevamo già detto?
I nostri assaggi, nelle foto di Tanio Liotta.

Appetizer. Da sinistra Insalatina di recupero con burro di alici e gel di agrumi, Barbagiuan con zucca, arancia ed erbe aromatiche, Financier alla mandorla, Lampone con burro di harissa. A lato un Gazpacho di cachi, arancio e tabasco

Sedano e yuzu: infuso freddo di sedano di Verona, estratto di yuzu del Salento, qualche goccia di colatura di alici, quintessenza di limoni di Liguria in pomata al naturale. Foglie di coriandolo fresco e olio di oliva monocultivar di oliva taggiasca coltivata a 600 m di altura sulle colline di Sant’Agata di Oneglia

Torta di bietole: un velo di sfoglia brisè scottata alla plancia aromatizzata alla crema di spinacio gigante. Battuto di alghe come un pesto marino, sfoglie di spinacio novello insaporite da una pomata di limone e arancia al frutto della passione. Polvere di Grana Padano 24 mesi e fonduta allo spinacio

Verza suzette: sfoglia di verza come un crespella, ripiena di cipollotto fondente affogato in una riduzione di Malvasia macerata in bottiglia. Scaloppa di arancia ripassata in un burro di crostacei profumato al tandoori di Marsiglia. Riduzione di succo d’arancia al frutto della passione e ristretto di salsa bigarade al mandarino. Centrifuga di verza all’olio ligure

Millefoglie di ostrica: tozzo di pasta sfoglia caramellata, impreziosita da zucchero bruno e polvere di semi di coriandolo. Ostrica strapazzata al succo di limone, polpa di cachi al profumo di cardamomo. Ristretto di bue ai sapori agrumati

Capricciosa di mare: capelli d’angelo di sedano di Verona scottati in un nage aromatizzato all’aceto di Malvasia maturato in anfora. Leggera maionese tonnata, tabasco, zenzero, maracuja e succo di limone. Sfoglia di scampi di Liguria al naturale, salsa arlecchino e ristretto emulsionato delle sue teste

Cruda di cavallo: filetto di cavallo battuto al coltello, pepe nero di Sarawak e olio di Liguria. Concentrazione di peperone rosso ai profumi di una pìcula 'd cavall tradizionale piacentina

Tortelli con la coda: pasta all’uovo 30 tuorli sottilissima ripiena di ricotta, spinacio stufato e abbondante manciata di Grana Padano e pepe nero selvatico. Pizzicati a mano a coda di aragosta come da tradizione piacentina e cucinati in abbondante acqua salata, conditi dalla fonduta al gruyère (fin troppa)

Pisarei e faśö chantilly: fegato grasso d’oca vestito da una sfoglia leggera di lattuga romana, cucinato al vapore di terza fatto con ossa di gallina, maiale e manzo. Una chantilly come una nuvola leggera di fagioli borlotti all’olio di oliva, qualche goccia di aceto balsamico tradizionale. Pisarei della tradizione, ma realizzati con una pasta frolla aromatizzata con scorze di limone verde e fior di sale. Salsa di cassœula

Capriolo: filetto di sella di capriolo, ragù di granchio, finferli, pak-choi, fondo di capriolo

Musetto di maiale in salsa d'astice: musetto di maiale cucinato a lungo nello spumante, disossato e laccato sotto al fuoco della salamandra con il suo succo ridotto profumato alle scorze di limone verde. Una salsa presse moderna di succo d’astice leggermente emulsionata all’olio di oliva e pompelmo rosa

Crema: un ricordo d’infanzia, come una crema leggera con agrumi e liquore Strega. Biscotto di Genova “mimosa” imbevuto come un babà in succo di limone, scorza e polpa di limone di Liguria

Torta di Vigolo: reinterpretazione della classica Torta di Vigolo, una tradizionale torta al cioccolato originaria di Vigolo Marchese, frazione di Castell'Arquato, in provincia di Piacenza. In questo caso è un tortino al cioccolato dal cuore morbido, sorbetto al cioccolato fondente, sale Maldon, aceto balsamico e salsa al cioccolato

Culatello: due veli sottili di culatello Selezione Luigi Taglienti e pane abbrustolito