11-10-2024

Meno aragoste, più triglie! Parlano gli chef che han rinunciato alla stella. E ci spiegano il perché

«I formalismi non fan per noi, eravamo in imbarazzo e abbiamo voluto far chiarezza. Ma offriremo sempre qualità». Al Giglio di Lucca conto più basso, più coperti, cucina italiana "di cuore". «Un esempio? Ravioli ricotta e spinaci con burro e tartufo»

Il trio di chef del Giglio di Lucca: da sinistra S

Il trio di chef del Giglio di Lucca: da sinistra Stefano Terigi, Benedetto Rullo e Lorenzo Stefanini. Foto Massimo Giorgi

Davvero la stella Michelin vi aveva svuotato il Giglio di Lucca? «No, non è vero. Il problema era un altro: una parte della clientela aveva tutta una serie di aspettative legate alla stella, quindi un certo servizio impettito, il rabbocco dell’acqua tenuta distante nella glacette, la raffica iniziale di appetizer… Ma noi non eravamo questo, non siamo questo! E poi un altro problema: una parte dei buongustai che sarebbe potuta entrare e una volta entrava, non lo faceva più, proprio perché era alla ricerca di una serata più informale, e l’idea della stella la allontanava da noi. Era un paradosso, perché è proprio questa la clientela che riteniamo più affine al nostro carattere».

La notizia del giorno, l’abbiamo già data qui, viene da Lucca: il Giglio del giovane e talentuoso trio di chef formato da Lorenzo Stefanini, Stefano Terigi e Benedetto Rullo (abbiamo parlato più volte di loro, la prima qui, nel 2018) ha scritto alla Guida Michelin annunciandole la rinuncia alla stella rossa attribuita al locale dal 2019. «Ci siamo trovati in una sorta di cortocircuito: la nostra forma di ristorazione, almeno in questo momento, è diversa da quella che si aspetta mediamente il “cliente Michelin” in Italia. Abbiamo preferito fare chiarezza» ci spiega Terigi, a nome di tutti e tre.

(Alcuni detrattori: beh, lo comunicano l’11 ottobre, quando la Rossa è già in stampa, così la stella rimarrà almeno un altro anno... Ma il trio afferma che la comunicazione è stata fatta nel maggio scorso, quindi in tempo utile. Vedremo se il macaron scomparirà o se rimarrà, magari per merito, magari a causa delle esigenze tipografiche. In quest’ultimo caso, scommettiamo che si verrà a sapere?).

Ecco: il Giglio non sarà mai, e non vuole essere, così

Ecco: il Giglio non sarà mai, e non vuole essere, così

Cosa si aspetta dunque il “cliente Michelin”, cosa eravate a disagio a non garantirgli, oppure a garantirgli però, in tal modo, snaturandovi?
«Principalmente un certo tipo di servizio, e anche di piatti. Ma la cosa riguarda soprattutto il servizio. Esempi? Conosciamo entrambi (si riferisce allo scrivente, ndr) il mondo dei ristoranti stellati in Italia: il bicchiere riempito, la sala molto presente, un certo formalismo. Noi abbiamo i camerieri in t-shirt e la bottiglia di vino rimane sul tavolo».

E a livello di cucina?
«Offriamo uno stuzzico, non una serie di amuse bouche».

Il problema non sarà solo lo stuzzico…
«Toglieremo qualche tecnicismo fine a sé stesso. E non potremo più usare materia prima nobile e costosissima. La minestra d’aragosta diventa minestra di triglie».

Non è meno buona. Cambierete dunque formula di cucina?
«Intendiamoci: offriremo sempre una ristorazione di alta qualità, ma più diretta, molto più informale, meno legata a certi obblighi».

Il conto?
«Sarà più basso, ovvio. Non diventeremo una trattoria, ma pensiamo a uno scontrino medio sugli 80 euro, contro i 140 del recente passato».

Tornerete insomma al vecchio Giglio, quello che ci era piaciuto tantissimo anni fa?
«In realtà alcune modifiche le abbiamo apportate da giorni, il cambiamento è già avviato. Non dico: ridiventeremo come eravamo prima. Faremo qualcosa di nuovo perché è impossibile – e forse anche insano – tornare indietro, in questi anni ci siamo evoluti, abbiamo imparato. Pensiamo semmai a una forma ripulita di quello che era il Giglio di un tempo. Seguiremo insomma le nostre idee, i nostri principi».

L’ultima volta che ho mangiato da voi, avevo notato una certa francesizzazione, ero rimasto meno entusiasta rispetto al passato. Era un tributo alla Michelin e ora ne farete a meno?
«Non direi così. Ci conosci da anni: siamo in tre, veniamo da esperienze diverse, ognuno ha portato la propria, prima di trovare un linguaggio comune abbiamo avuto delle “fasi”, poiché eravamo meno maturi. Ora crediamo di aver trovato un equilibrio: in menu ci sono certo meno francesismi, anche se qualcosa rimane perché alla fine fanno parte del nostro dna. Ma tutto ciò non è legato a questa decisione della rinuncia».

(Altri detrattori: ma che si credono questi di Lucca, alle stelle non si rinuncia, così come non si chiedono, la Michelin le dà o le toglie in base ai propri criteri! Vero. Ma, l’atto di rinuncia ha un valore in sé, è una scelta di campo. Magari pure di comunicazione, però di lungo periodo: non ti bruci certo i ponti inseguendo una rapida fiammata di visibilità).

Il trio

Il trio

Non più aragoste, abbiamo detto. E, oltre alle triglie, cosa mangeremo nel vecchio-nuovo Giglio?
«Una cucina italiana con un menu molto libero. Piatti che scaldano il cuore cucinati spero – non sta a noi dirlo – con buona tecnica e buona mano, e da gustare in un ambiente rilassato, vivo, amichevole».

Vengo a mangiare stasera: cosa mi proponete, che prima non c’era in menu?
«I nostri ravioli chiusi al momento, con ripieno di ricotta e spinaci, conditi con burro nocciola, salvia e tartufo bianco (quest'ultimo, da aggiungere a piacere). Te li offriremmo volentieri perché li mangeremmo volentieri noi per primi, il principio è sempre quello».

Ma vi conviene economicamente rinunciare alla stella? Si dice: la stella Michelin fa aumentare il fatturato (e anche i costi, per la verità)…
«Senti, davvero non lo sappiamo, lo vedremo. La nostra è solo una scelta di coerenza nei confronti di noi stessi e dei nostri clienti. Lavoriamo in primis per passione e quindi vogliamo mettere sulla piazza un locale che ci rappresenti davvero. Siamo tranquilli: anche se andrà male, saremo contenti di aver scommesso su di noi».

Scontrino più basso, servizio meno formale: aumenterete i coperti?
«Li avevamo diminuiti negli ultimi anni, aumentando lo scontrino, proprio per poter garantire un servizio più formale. Ora abbiamo già inserito qualche nuovo tavolo in sala. Cerchiamo di rendere vivo il ristorante, è la cosa che ci dà più soddisfazione: se una famiglia viene a pranzo per un piatto di pasta, ci fa solo piacere».

Ma il fine dining non sta andando proprio nella vostra direzione? Meno orpelli, meno rigidità, semmai mangiare bene in un’atmosfera rilassata?
«C’è un allontanamento netto tra modelli. L’altissima cucina, quella dei grandi maestri, diventa sempre più esclusiva, lì si va per concentrarsi su piatti d’autore, noi per primi ambiamo a trovare un tavolo da loro. Ma vogliamo proporre qualcosa di diverso: ristorazione italiana magari meno d’avanguardia ma più legata all’idea di pranzare o cenare bene, rilassandosi».


Carlo Mangio

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Carlo Passera

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Carlo Passera

classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera

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