Consommé di cinghiale, ravioli al cavolo rosso, castagne, foie gras, indivia rossa: no, di sicuro non è un piatto di Mauro Colagreco, cantore della biodiversità mediterranea, affascinato dalle onde e dagli orti, artefice di una cucina che trova i propri punti di riferimento nelle maree, nel movimento degli astri, s'ispira al rapporto tra cielo e terra seguendo il calendario biodinamico, studia i ritmi segreti dei semi, delle foglie, delle radici... (leggi qui)
Invece, come non detto: è proprio un piatto di Mauro Colagreco.
Per (ri)trovarlo, non puntate il navigatore su Mentone, pochi metri dalla frontiera tra Italia e Francia, destinazione il suo Mirazur; e neanche su qualcun'altro dei tanti locali che lo chef italo-argentino ha aperto in Costa Azzurra. Occorre semmai imboccare la statale 36 che costeggia il ramo orientale del Lago di Como, solo accarezzare la Valtellina per imboccare in verità la Valchiavenna, sconfinare in Svizzera alla frontiera di Dogana, nomen omen, quindi affrontare i ripidi tornanti che da Bregaglia - siamo nel Cantone dei Grigioni - si mangiano quasi mille metri di dislivello per raggiungere l'Alta Engadina, risalendo il corso dell'Inn, lasciandosi via via alle spalle i laghi di Silvaplana e di Champfèr, fino a raggiungere un altro specchio d'acqua - in questi giorni è ghiacciato - ossia quello che prende il nome dalla località che bagna: San Maurizio, o per meglio dire Sankt Moritz.

Consommé di cinghiale, ravioli al cavolo rosso, castagne, foie gras, indivia rossa
Ci sono due cortocircuiti risolti felicemente durante la nostra recente puntata nella celebre località elvetica del turismo di lusso. Per disinnescare il primo occorreva capire, appunto, cosa ci facesse mai da quelle parti
Mauro Colagreco con il suo ristorante
The K, una stella Michelin lampo dal febbraio 2021, ossia a poco più di un mese dal debutto, premio forse alla credibilità che lo chef ha conquistato appieno ma poi in verità strameritata sul campo, come può confermare il palato di chi scrive. Ecco: a questo cortocircuito dà piena risposta, appunto, un piatto come
Consommé di cinghiale, ravioli al cavolo rosso, castagne, foie gras, indivia rossa, ideato per la verità - si badi bene - ben prima dell'esordio col
The K, ma che proprio qui trova un suo inaspettato territorio d'elezione. In altre parole: la grandezza di
Colagreco viene confermata ai nostri occhi dalla piena adesione del suo stile a un terroir completamente diverso da quello che gli appare proprio; al
The K si gusta una cucina pienamente
colagrechiana - scusate l'avventuroso neologismo - eppure del tutto immersa nel mood valligiano, nell'aria tersa e gelida che pervade le pendici meridionali delle Alpi dell'Albula, proprio sotto il Piz Nair, con i suoi 3.056 metri.

Trota, le sue uova, gamberi di fiume, salsa sudachi al burro

Faraona, tartufo bianco, cardoncelli e salsa Albufera
In fondo, bastano pochi tocchi, a esaminare il menu: il
San Pietro, salsa sudachi al burro e uova di trota, che avevamo gustato al
Mirazur, si trasforma in
Trota, le sue uova, gamberi di fiume, salsa sudachi al burro, così da coccola marina si proietta subito in uno scenario montano; lo stesso dicasi per
Faraona, zafferano (petto di faraona condito con una salsa di zafferano di Sospel, paesino delle Alpi Marittime, poi cozze, gel di limone e battuto di cozze e pomodori secchi) che qui cambia natura e diventa
Faraona, tartufo bianco, cardoncelli e salsa Albufera; i boschi attorno richiamano le castagne che, a lamelle sottili, ricoprono i
Churros al tartufo bianco con effetto trompe-l'oeil, terzo appetizer dopo un salto tra Mediterraneo e Oriente (
Tapioca croccante, tartare di tonno, alghe marine, gel di yuzu e di ponzu) e l'ode (
Tortina di zucca, crema di zucca e i suoi semi) a un ingrediente che richiama un vecchio aneddoto,
Mauro in trasferta impegnato a far la spesa da un grossista lombardo di frutta a verdura, vede una zucca meravigliosa e ha risolto il problema, «
on ira à faire un plat avec ça!», andremo a fare un piatto solo con questo.

Tortina di zucca, crema di zucca e i suoi semi

Tapioca croccante, tartare di tonno, alghe marine, gel di yuzu e di ponzu
Poi, certo, nel degustazione del
The K ci sono anche alcuni classici del
Mirazur, come
Ibisco e barbabietola (ibisco in polvere, petali di barbabietola, vinaigrette di barbabietola all'ibisco cotta in crosta di sale), eccelsa armonia fatta a piatto, o il dolce long seller
Naranjo en flor. E l'aragosta, che non manca mai e qui prende però sembianze differenti:
Aragosta al burro, rutabaga, salsa Verjus (la salsa Verjus è simile all'agresto, dunque un condimento acidulo ottenuto dalla cottura del mosto di uva acerba. La rutabaga è un ortaggio invernale nordico simile alla rapa). Insomma: un
Colagreco insieme di montagna e fedele a sé stesso. Interessantissimo.

Aragosta al burro, rutabaga, salsa Verjus
Ma riprendiamo le fila del discorso iniziale. "Ci sono due cortocircuiti risolti felicemente..." eccetera, avevamo scritto un po' di righe fa. Uno l'abbiamo dunque sistemato. E l'altro?
L'altro si collega al luogo dove è ospitato The K: un hotel, ma non uno qualsiasi. Splendido e straniante perché - qui, in Alta Engadina - praticamente tutti vi parlano italiano, anzi sono italiani: il personale sembra dividersi equamente tra quelli in trasferta breve - dunque soprattutto valtellinesi e valchiavennaschi - e gli altri in trasferta lunga, dal Sud della nostra Penisola. Così la lingua del sì domina tra gli addetti alle camere; la fa da padrone anche negli scambi di comande che s'odono dalla cucina centrale, forte di una sessantina d'elementi guidati dall'executive Mauro Taufer, veneto di Feltre (Belluno), classe 1975, motto: «La cucina classica è la base della creatività».

Colagreco con Mauro Taufer. Foto Thomas Buchwalder
Ecco, è una specie di
do ut des: la grande arte dell'ospitalità tricolore rifulge nitida scaldando con la propria empatia il clima di Sankt Moritz, in realtà in questi giorni non granché freddino, la minima è di poco sotto lo zero; e a sua volta viene onorata e nobilitata perché domina incontrastata una struttura mitica, quella appunto dove ci troviamo: il
Kulm Hotel. Non solo un'insegna d'altissima hôtellerie, come possono essere pure altre nel circondario; ma la storica culla della San Maurizio come noi la conosciamo.

Panoramica dall'alto sul lago, il Kulm è sulla destra
Passo indietro di 168 anni. Dodici stanze, spartane, in legno: erano quelle della vecchia pensione
Faller, la cui gestione venne assunta nel 1855 da un tipo vispo, herr
Johannes Badrutt, allora neanche 36 enne, figlio di un altro
Johannes capomastro e commerciante di ferramenta nella vicina Samedan. Tre anni dopo la coppia passò all'acquisto, per 28.500 franchi, e ribattezzò la
Faller col nome
Engadiner Kulm, "collina d'Engadina", dal latino
culmen, a sottolineare la posizione strategica, nel punto più alto a dominare il lago. Un evento minore che avrebbe cambiato certo la storia di Sankt Moritz e forse pure quella del turismo invernale tutto.

Il Kulm Hotel agli esordi e il suo fondatore, Johannes Badrutt. La struttura originaria, con la tipica doppia scalinata d'entrata, esiste ancora, nell'ala più sudoccidentale dell'hotel
L'episodio è noto: l'hotel divenne presto popolare per le vacanze termali e artistiche durante l’estate, in particolare fra gli inglesi, che costituivano il 75% degli ospiti. A
Badrutt però non bastava. Era il settembre 1864 quando gli ultimi ospiti britannici s'apprestavano a tornare in patria, l'abitudine era questa, non si sarebbero rivisti che a primavera inoltrata perché nessuno pareva disposto a trascorrere vacanze in mezzo alla neve. Il patron scommise allora con quattro di loro, coi quali era particolarmente in confidenza: «Venite anche tra tre mesi, a dicembre. Qui ci si può sedere in maniche di camicia sulla terrazza anche sotto il sole invernale», impegnandosi a rimborsare tutte le spese se al termine del soggiorno non fossero rimasti soddisfatti. Quelli accettarono la sfida, tornarono infatti al
Kulm Hotel e vi rimasero fino alla primavera, prima di ritornare a casa entusiasti e abbronzati per raccontare del loro inverno trascorso sui pattini, in slitta o a passeggio, sotto cieli blu e pieni di luce (la storiella è forse, una leggenda. Di sicuro si sa di
un certo giovane inglese, Arthur Edward Vansittart Strettell, il cui padre era un ospite estivo regolare a Sankt Moritz dal 1860. Arthur Edward soffriva di tubercolosi. Nella speranza che l'aria di montagna dell'Engadina lo aiutasse, trascorse un intero anno in Engadina dal luglio 1866 al giugno 1867. Furono dunque probabilmente gli Strettell a diffondere poi tra i loro amici e conoscenti l'idea del turismo invernale).

Sontuosa entrata con concierge
Il
Kulm divenne così fu il primo albergo del paese a essere aperto anche in inverno, innescò lo sviluppo di Sankt Moritz come stazione di sport e soggiorno anche (se non soprattutto) nei mesi freddi. Fu anche il primo albergo svizzero, nel 1878, in cui venne installata l'energia elettrica; da qui, sul finire del secolo, partivano le prime spedizioni sui ghiacciai dell'Engadina (per le signore: gita in slitta sul lago ghiacciato); da qui si diffusero, proprio grazie agli ospiti provenienti dall'Inghilterra, pratiche sportive come il curling, d'origine scozzese, che ebbe la sua prima pista da gioco sul continente. Addirittura al
Kulm alcuni sport sono nati, come il bob e lo skeleton (andò così: gli ospiti inglesi del
Kulm "versione invernale" cercavano sempre nuovi diversivi. All'inizio degli anni 1870 alcuni di essi, particolarmente intrepidi, presero ad adattare le slitte dei ragazzi per scopi ricreativi. Questo creò non pochi problemi: finivano infatti con lo scontrarsi con i pedoni nei vicoli ghiacciati! Risolsero dapprima montando un sistema sterzante sotto le slitte, sorta di prototipo dei bob moderni, per poter guidare meglio i loro mezzi: questo però aumentò la velocità e la lunghezza delle corse all'impazzata per le strade, dunque suscitò nuove proteste.
Badrutt trovò la soluzione facendo costruire nel 1885 il Cresta Run, oggi "tempio" dello skeleton, una pista in ghiaccio naturale lunga 1.214 metri, fuori città, nel parco del
Kulm che si estendeva da St. Moritz a Celerina. Non è un caso che l'hotel abbia poi ospitato le delegazioni dei partecipanti ai II e V Giochi olimpici invernali, nel 1928 e nel 1948).

L'argentina Paloma Boitier è la chef de cuisine di Colagreco al The K
Oggi il
Kulm Hotel - ampliato dai discendenti di
Johannes Badrutt e rinnovato dagli attuali proprietari, la famiglia di armatori greci
Niarchos - è un gioiello di fascino con 164 tra camere e suites. E tanti ristoranti: oltre all'insegna gastronomica
The K by Mauro Colagreco e il
Grand Restaurant di
Mauro Taufer, dei quali abbiamo già detto, c'è anche una trattoria-pizzeria italiana, appunto
The Pizzeria (nei nostri assaggi: pizza di qualità, discreti sarde in saor e baccalà mantecato), una proposta di cucina nikkei (si chiama
Sunny Bar ma no, non ci ha convinto), il
Kulm Country Club distante poche decine di metri e con buona cucina italiana-mediterranea mixata con influenze internazionali, lo chef è
Daniel Müller, più il
Chesa al Parc all'entrata del Kulm Park (martedì: fegato alla veneziana. Giovedì: bollito) e il
Bob Restaurant alla partenza della pista St. Moritz-Celerina, chef il siciliano
Marco D'Agati. Perché, gira e rigira: il turismo di lusso, a Sankt Moritz, vuol mangiare anche tricolore.
The K by Mauro Colagreco al Kulm Hotel
via Veglia 18, Sankt Moritz (Svizzera)
tel. +41 81 8368203
sito web
aperto tutti i giorni, solo a cena
menu degustazione a 220 franchi svizzeri