04-06-2021
Entri nel più classico dei Bar Sport di paese, come tanti in Italia, questo si trova a a Farini, provincia di Piacenza, e rimani sbigottito: nelle vetrinette che ospitano le bottiglie “buone”, in mezzo a Ortrugo, Malvasia e Gutturnio si trovano anche Dom Perignon, Cheval Blanc, Château d'Yquem… Si rimane un po' straniti, è più che un segnale: qualcosa dev'essere successo, da queste parti; qualcuno deve esserci passato e aver gettato un seme, che è germogliato. Perché la storia è fatta perlopiù di continuità, ovvero di processi di sviluppo consequenziali; però, a volte, anche di eventi casuali, di fattori (in apparenza?) slegati da un preciso ordine delle cose, ma che producono "salti" improvvisi, imprevedibili. Per parlare del nostro settore: Ferran Adrià è nato in Catalogna, e ha cambiato il corso della cucina contemporanea, a partire da quella spagnola; fosse invece nato in qualche altro Paese, non è detto che sarebbe accaduta la stessa rivoluzione; e soprattutto questa non avrebbe avuto come epicentro la Penisola Iberica.
Ecco, in base allo stesso principio possiamo tornare a raccontare di Farini, tra la val Nure e la val Perino sull'Appennino ligure: se il grande Georges Cogny - i cui quindici anni dalla morte, 4 giugno 2006, vogliamo ricordare oggi - non si fosse innamorato di Lucia Cavanna, originaria di un borgo, Coletta, della vicina Val Lardana, non sarebbe probabilmente mai arrivato nel Piacentino. E dunque non avrebbe cambiato la piccola storia dell'alta cucina emiliana, e poi per li rami anche italiana. Invece è successo: e ci pare bella già di per sé la circostanza in virtù della quale alla base di una vicenda squisitamente gastronomica ve ne sia un'altra, legata invece al cuore. Sentimento e alimento: elementi inscindibili. Diceva il grande Gianni Mura: «Provavo una certa simpatia per Cogny perché la sua era stata una scelta sentimentale, quella di ritirarsi lassù in cima, tra un pugno di case. Però non potevo impedirmi una domanda, che rivolgevo a me stesso e non a lui, per discrezione: mi chiedevo se non soffrisse a essere praticamente ai confini del mondo». Queste parole di Mura sono affidate a un cortometraggio intitolato La leggenda del cuoco venuto dallo spazio e realizzato undici anni fa da Francesco Barbieri e Andrea Canepari. Raccoglie numerose testimonianze di chef e gastronomi, tutte concordi - e appare sorprendente, con gli occhi dell'oggi - nel tratteggiare la figura di Cogny come quella di un marziano, «era come se Maradona avesse giocato nel Piacenza, non per soldi, ma per amore e dedizione - ci narrano il giornalista e gastronomo Giorgio Lambri e gli chef Ettore e Stefano Ferri, padre e figlio - Cogny ha rivoluzionato dolcemente lo scenario, dimostrando una padronanza rara e totale degli ingredienti offerti dal territorio piacentino (funghi, tartufi neri, zucche, tagli del maiale di ogni tipo...), integrati con i tocchi francesi che si portava dalle sue origini e fusi con la matrice della nouvelle cuisine». Infatti qualcuno parla di "nouvelle cuisine piacentina", gli anni corrispondono, più o meno.
La Locanda Cantoniera, oggi. Reca ancora una scritta che ricorda Georges Cogny, vedi nel cerchio qui sotto
Georges Cogny e Lucia Cavanna
«Noi conoscevamo solo la cucina tradizionale del nostro territorio. Certo, un po' cercavamo di migliorarla, ma restando in quell'ambito e più di tanto non riuscivamo a fare. Lui invece ci aprì gli occhi su un mondo che non sospettavamo neanche esistesse».
Queste parole sono ancora di Ettore Ferri, già chef del ristorante La Colonna a San Nicolò, sempre nel Piacentino (ora in cucina c'è suo figlio Stefano, mentre Ettore si occupa prevalentemente della sala): ma potrebbero essere attribuite a ciascuno dei tanti allievi di Cogny, nomi più o meno famosi. Qualche esempio? Carla Aradelli, Betty Bertuzzi, Massimo Bottura, Isa Mazzocchi, Daniele Repetti, Giovanni Traversone del Nuovo Macello a Milano, Claudio Sadler, Mariangela Trecordi, Renato Colombo (che ha poi lungo ha lavorato col compianto Vittorio Fusari), Donato De Santis (emigrato in Sudamerica, ora è giudice del MasterChef argentino), Elide Mollo de Il Centro a Priocca, in Piemonte, Maurizio Grange de La Clusaz in Val d'Aosta, Graziano Solari del Castellaccio di Travo, Piacenza... E Filippo Chiappini Dattilo, ossia colui che sarebbe succeduto a Cogny ai fuochi dell'Antica Osteria del Teatro, celebre ristorante aperto dal francese coi soci Medardo Casella e Franco Ilari dopo lunghi lavori nel 1977 e portato al successo, prima e poi seconda stella Michelin nel 1986.
Cogny con alcuni dei suoi allievi. Si riconoscono in piedi Ettore Ferri, Massimo Bottura, Filippo Chiappini Dattilo, Marco Dallabona e Carla Aradelli, mentre Isa Mazzocchi è accucciata accanto allo chef. Foto Archivio quotidiano Libertà, un ringraziamento a Giorgio Lambri
L'inaugurazione dell'Antica Osteria del Teatro. Foto Archivio quotidiano Libertà, un ringraziamento a Giorgio Lambri
I commenti sono di Isa Mazzocchi, tra i discepoli più legati al maestro venuto da Versailles. Ci dice: «Cogny serviva tutto ciò insieme ai piatti francesi, in una armonia inaspettata e molto musicale, come un’orchestra filarmonica: un’ode fatta di rispetto e devozione verso la terra che l’aveva accolto: Piacenza».
Illustrazioni di Georges Cogny e del legame che stabiliì tra Francia e Italia
Massimo Bottura durante la registrazione del suo intervento per il documentario La leggenda del cuoco venuto dallo spazio
Un anno prima che Cogny mancasse, all’Alma di Colorno fu organizzato un evento per celebrarlo, ciascuno dei suoi allievi preparò un piatto del grande cuoco. In quell'occasione Cogny fu premiato da Gualtiero Marchesi, con una cerimonia davvero toccante, perché fu un atto di stima vera e sincera nei confronti di un grande uomo che, nonostante i suoi silenzi, era riuscito a trasferire un’idea di cucina prima di tutto di cuore, ma anche di testa, tanto da aver rivoluzionato educatamente la gastronomia a Piacenza e poi nell’Italia tutta
Dalla Locanda Cantoniera all'Antica Osteria del Teatro e ritorno: alla fine del 1986 Cogny sceglie di lasciare Piacenza, destinazione di nuovo Farini. «Quando si ritirò alla Cantoniera fu un continuo dedicarsi agli abitanti del luogo: se si uccideva il maiale in paese, Cogny preparava le parti che erano disponibili, esaltandole. Così, in un paesino a 800 metri di altitudine sull’Appennino, si assisteva alla Francia che incontrava l’Italia: Fegato di maiale glassato al Porto, piedini di maiale usati come ripieno per le pernici, con foie gras, tartufo nero e fondo bruno…». In questi ultimi anni Cogny si diede alla sua (nuova) gente, educò gli amici di paese a sviluppare una cultura enogastronomica completa e al contempo spiazzante, in modo molto naturale e vero, creando una vera e propria “contaminazione” (concetto che tanto oggi fa tendenza) tra Piacenza e la Francia. Mazzocchi: «Bisogna pensare che in quegli anni non era così facile vincere le diffidenze e i pregiudizi, specialmente se catapultati da una nazione così libera come quella transalpina a un borgo come Farini. Questo vale anche al contrario, visto che pure gli abitanti del luogo hanno vinto le prime apparenze, accogliendo Cogny come uno di loro».
Un corso di cucina di Cogny. Foto Archivio quotidiano Libertà, un ringraziamento a Giorgio Lambri
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Gita fuoriporta o viaggio dall'altra parte del mondo? La meta è comunque golosa, per Carlo Passera
di
Luca, piacentino, classe 1988, ingegnere&ferroviere. Mosso da una curiosità gastronomica continua, ama definirsi “cultore delle cose buone”. Crede fermamente nella (buona) tavola come creatrice di legami, generatrice di ottimi ricordi e di emozioni vive. Instagram lucafarina88. Carlo, classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it. Instagram: carlopassera
Pranzo sul mare (anzi, nel mare) nell'Italia del Secondo Dopoguerra, qui siamo a Milano Marittima, frazione di Cervia (Ravenna) negli anni Sessanta e lo scatto, di Sante Crepaldi, è tratto da Silvano Collina - Il visionario, libro biografico scritto da Massimo Previato e dedicato appunto a Collina, mitico albergatore "estroso", allora direttore del Grand Hotel Bellevue di Milano Marittima stessa
L’insegna del ristorante (foto Hamza Tokmic - Tomato Studio)
Michele Milani in veste di cuoco, con alle spalle il paesaggio della Val Luretta
Gita fuoriporta o viaggio all’estero? La meta è comunque golosa. Lo è perlomeno per il nostro Carlo Passera, alias Carlo Mangio. Un cibo succulento le sue parole, che stimolano curiosità e salivazione, pensieri limpidi, tanta sostanza per una delle penne più interessanti del panorama gastronomico nazionale