Ha destato molto interesse, in questi giorni tristi, il nostro racconto delle tecniche che sta sperimentando Josh Niland sulla maturazione del pesce, leggi Il pesce? È migliore se NON è fresco. Rivoluzionarie tecniche di maturazione. Spiegavamo appunto come Madrid Fusión - il maggior congresso spagnolo di alta cucina, tenutosi qualche settimana fa - fosse rimasto incantato dalla ricerca portata avanti dallo chef australiano, che possiamo sintetizzare così: "frollatura" fino a un mese, il pesce acquisisce più gusto ma appare come appena pescato.
Concetti che sono risultati piuttosto familiari a uno degli chef italiani che del pescato sanno tutto, ma proprio tutto: Luigi Pomata, nato a Carloforte nel 1973 da famiglia golosa, il nonno - a sua volta Luigi - era grande appassionato di cucina e prese in gestione il ristorante dell’Hotel Riviera, mentre il padre Nicola decise di aprire il suo ristorante, Da Nicolo. Oggi Luigi Pomata jr è il vero e proprio re del tonno di Sardegna, alla guida del suo ristorante omonimo a Cagliari.

Ci spiega: «Mio padre utilizzava tecniche di maturazione del pesce che mi ha trasmesso. Io stesso le applico. E non sono il solo a conoscerle nella mia zona». Ne vale la pena? «Certamente. C'è un calo del peso ma la carne acquista un sapore squisito. Il prodotto è asciutto esternamente eppure succoso all'interno, sulla griglia non si arriccia perché le carni sono rilassate, così la texture non diventa tenace. Il gusto è elegante. Prendiamo ad esempio una cernia: la differenza tra quella fresca e quella maturata è sensibile, te ne accorgi subito. Mentre la prima è gommosa, col sapore quasi metallico, quella frollata è morbidissima, dall'aroma molto delicato, tanto che non bisogna eccedere con aromi o spezie, perché altrimenti finiscono col coprire tutto. Diventa, insomma, un piatto per palati fini».
E allora perché non si utilizzano queste tecniche vantaggiose in modo più diffuso? «Certo richiedono costi, spazi e tempi di lavorazione. Ma il vero problema è un altro: noi italiani possediamo una diversa cultura sul pesce, quella del "pescato e mangiato". Io stesso all'inizio non credevo granché a tali lavorazioni. Con gli anni ho però capito: mettevo i saraghi sulla griglia e si arricciavano, ossia la carne diventava troppo dure; anche la cernia - sia che fosse stufata o in umido - rimaneva piuttosto gommosa. Allora ho capito che la maturazione per far rilassare il pesce è importante. In fondo, applichiamo qualcosa che ci è familiare, penso al processo di frollatura delle carni».
La tecnica dai
Pomata - senior e junior - ha molti punti in comune con quella elaborata da
Niland. «Facciamo l'esempio più classico: la cernia, pesce molto nervoso, combatte parecchio quando lo peschi, le fibre muscolari sono in tensione, quindi già mio padre lo metteva a frollare». Il procedimento prevede che venga appeso a testa in giù, dopo essere stato squamato, sbranchiato e spanciato. «Dopo il rigor mortis comincia il processo di putrefazione e le carni si rilasciano». In quel momento non vi devono essere elementi che possano conferire al pesce cattivo odore e, quindi, sapore: «Va completamente dissanguato, occorre pulire bene anche il sangue intercostale, dove c'è la ventresca, a livello dello sterno. Inoltre, nelle branchie e nelle squame si annida l'umidità e la sporcizia, per questo vanno tolte».
A quel punto Pomata mette tutto in un frigorifero ventilato a 0-2 gradi, con pochissima umidità, dopo aver avvolto il pesce con un panno di cotone, «come la mezzena del bue», perché quest'ultimo assorbe un po' di liquidi che vengono rilasciati e nello stesso tempo non asciuga eccessivamente, perché i succhi devono rimanere. «Così la cernia giunge a frollare fino a 40 giorni», assicura lo chef.

Pulire bene è la regola fondamentale: «Tutto quello che rimane dentro di improprio finisce col puzzare. Faccio un esempio: c'è cattivo odore quando si apre un frigorifero dove si è messo un pesce lasciato nel cartoccio della pescheria e/o nel sacchetto di plastica. La gente in questo sbaglia, è un errore: tutti i liquidi che il pesce rilascia finiscono col "ristagnare" a contatto col pesce stesso, sviluppando batteri e quindi puzza. Io invece consiglio sempre di buttare quella confezione e sostituirla con un panno carta pulito, o carta di riso, che assorbono gli stessi liquidi di rilascio. Ancora: un odore sgradevole è dato dal sangue che rimane nello sterno, se non lo si elimina completamente»..
Come quella di
Niland, la tecnica di
Pomata non ha nulla a che vedere con il mosciame, «il pesce rimane "fresco", nel gusto e nella texture. Il mosciame va invece messo sotto sale dai 12 ai 18 giorni e poi lasciato asciugare in zona ventilata. È una lavorazione simile a quella del prosciutto, diciamo così, e prevede dunque una disidratazione importante».
Abbiamo parlato di cernie. Ma si può fare anche con altri tipi di pescato? «Sì, di sicuro con tutto quello che supera i 5-7 chili, ossia pesci importanti, che combattono sviluppando acido lattico e questo fa contrarre le fibre durante la cottura, che andiamo a contrastare con la maturazione. Dunque va bene coi dentici e anche con grandi pagelli: in questi casi, però, il processo dura meno rispetto alla cernia, diciamo una settimana-dieci giorni. Certo non ha senso con una sogliola, ma si può fare anche con un San Pietro grande, o una spigola, o una gallinella, o uno scorfano. Non con una triglia, o meglio: lo si può anche fare, ma tutto è legato ai tempi: un vitellino non frolla due o più mesi come un manzo, per intenderci».

Un'altra foto tratta da The Whole Fish Cookbook, è un piatto di Niland: Polpo al barbecue, harissa di pomodori della boscaglia, garum di sardine. Foto dello stesso Josh Niland
Ancora, «ha senso la maturazione anche per un polpo, se è pesante: vanno tolti il dente e quanto c'è nella testa, il resto viene appeso finché i tentacoli non si rilassano completamente e scendono, in quel momento è al giusto punto di frollatura. Può durare anche una settimana-dieci giorni, dipende dalla pezzatura». Poi c'è la tecnica di maturazione della ventresca di tonno, «questa non me l'ha insegnata mio padre, ma i giapponesi, trenta anni fa, quando venivano a Carloforte a comprare il tonno». Il concetto è: la ventresca si mangia o fresca, appena pescata (cruda o appena scottata) oppure la si lascia frollare - avvolta in carta di riso a 0-2 gradi - «così tira fuori quel grasso un po' untuoso che è suo tipico. Risulta molto più delicata».
Tutti questi pesci passati in rassegna, una volta terminata la frollatura e prima dell'utilizzo, vengono lavati da
Pomata in acqua di mare, o in acqua addizionata di sale al 38‰, che è il valore che corrisponde alle condizioni medie del Mediterraneo: «È la stessa tecnica che uso per decongelare: si pone il pesce ben frollato nell'acqua salata, lì riposa per qualche momento assorbendo un poco di salinità, risulta così pronto per essere cucinato. Io dico: in qualche modo torna vivo, perché viene riportato nell'elemento in cui ha passato la sua esistenza». E, dopo giorni e giorni, pare fresco come appena pescato. Anzi, meglio.