I palermitani non amano molto Ustica come meta per le loro vacanze, scelgono piuttosto Eolie o Egadi. Curioso, dato che l'isola è splendida e ben più raggiungibile delle altre, basta l'aliscafo dal porto cittadino e in un'ora e mezza si è già a destinazione. «Ma non offre molto, tranne che agli appassionati di immersione», è la risposta tipica a precisa domanda; cosa che non è vera, come vedremo, ma già indica indirettamente un gran pregio usticese: il mare qui è meraviglioso, profondo, di blu intenso, con scogliere maestose, rocce e grotte che custodiscono un eccezionale patrimonio di biodiversità, non a caso questa è una delle venti Aree Marine Protette presenti in Italia, ha 15 chilometri di costa tutelata. Anzi, è la prima a essere stata creata, nel 1986, insieme a Miramare, all'altro capo della Penisola, nel Golfo di Trieste. Oggettivo è, peraltro, che il rapporto tra Ustica - frammento di roccia di soli 8,5 chilometri quadrati - e il turismo sia sempre stato complesso. E le ragioni hanno a che fare con geografia e storia, quindi torniamo per un momento davanti alla lavagna, per non finirvi dietro.

Ustica ha sempre avuto un'opportunità e un problema. La prima è rappresentata dalla sua collocazione geografica: posta a circa 67 km a nord-ovest di Palermo, si trova così sul naturale crocevia dei traffici marittimi del Mar Tirreno, in particolare sulle rotte dal capoluogo siciliano a Napoli, Pisa o Genova. Ubicazione strategica, dunque appetibile: un potenziale però reso di difficile sfruttamento, nei secoli, a causa dell'estrema scarsità di acqua dolce, con tutte le conseguenze non solo per l'abbeveraggio degli uomini, ma anche per lo sviluppo di agricoltura e allevamento (oggi il problema è stato completamente scongiurato: l'isola vanta un proprio potente ed efficiente impianto di dissalazione in grado di sopperire a ogni bisogno, anche in alta stagione turistica, nei mesi più caldi). Insomma: quanti nella storia si sono stanziati da queste parti, han sofferto fame e sete.

Tali difficili condizioni di vita hanno sempre reso complesso il mantenimento di una comunità locale stabile e organizzata; la suddetta posizione nel quadrante tirrenico ha d'altra parte attirato le mire dei pirati saraceni, che hanno utilizzato a lungo Ustica come base per le proprie scorribande, scoraggiando ulteriormente con la loro violenza l'arrivo di coloni. Così, l'isola ha vissuto lunghi periodi in cui è rimasta completamente spopolata, sorta di luogo fuori dall'amministrazione di alcuno - oggi un concetto che si fa fatica persino ad afferrare. Ma ricordiamo come, prima del consolidamento degli Stati nazionali, nell'era moderna, le entità amministrative mantenevano un assai precario controllo del territorio già sulla terraferma, figurarsi su un'isola distante da tutto.
La svolta si ebbe solo nella seconda metà del XVIII secolo quando i
Borbone, per mettere fine alle problematiche connesse all'esistenza di questa sorta di "isola corsara", ne imposero una colonizzazione stabile. Vi stabilirono un presidio militare e soprattutto favorirono l'arrivo di emigrati, soprattutto dalle altre isole siciliane, Lipari in primis (da qui il legame culturale con le Eolie che sopravvive tuttora). Ustica divenne sotto quella dinastia anche luogo di confino per prigionieri, politici e non; particolarità che rimase anche sotto i Savoia e poi durante il fascismo, tanto che vennero mandati qui, nel Ventennio, figure illustri come quelle di
Antonio Gramsci,
Ferruccio Parri,
Nello Rosselli e tanti altri.
Curiosità: i tanti confinati politici, di ogni estrazione ideologica, che popolarono Ustica, vi costruirono - chicca che ci racconta "
zio"
Vito Ailara, memoria storica locale - un'operosa comunità che si dotò persino di proprie scuole, aperte anche alle guardie e alla popolazione locale;
Gramsci vi teneva il corso di storia e seguiva quello di tedesco,
Bordiga insegnava matematica, fisica e astronomia, e così via, con lezioni che duravano 80 ore alla settimana, frequentate da 248 dei circa 400 confinati all'inizio degli anni Trenta (crearono anche delle proprie mense, divise per affinità politica: c'era quella liberale, quella anarchica, quella comunista, quella socialista e così via). Quasi un'enclave di oppositori al regime - ma attenzione, vi vivevano pur sempre privi di libertà e in condizioni miserrime - che creò un bel crogiolo di culture: ci sembra di scorgerne ancor oggi l'eredità, sull'isola vi è una consapevolezza molto più alta del previsto (perché non rievocare questo passato prossimo così unico con una manifestazione culturale di ampio respiro?).

Ma che c'entra tutto questo col turismo e la gastronomia? Presto detto. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, con l’avvento della Repubblica, non vi furono più confinati politici, ma l'isola rimase luogo di detenzione di criminali comuni. La presenza loro e dei militari addetti alla sorveglianza degli stessi alimentava una piccola economia che rimase per altri tre lustri tra le principali fonti di reddito degli abitanti, oltre alla pesca e soprattutto all'agricoltura. Tale condizione era un potente disincentivo all'afflusso di turisti; solo nel 1961 (due anni prima aveva aperto il primo vero hotel, il
Grotta Azzurra, oggi purtroppo in stato di abbandono), l'amministrazione usticese ottenne l'abolizione del confino, proprio nella prospettiva di afferrare al volo l'opportunità di divenire meta dei vacanzieri.
La scelta in questo senso fu dunque tardiva e lo sviluppo si avviò con fatica; cosa che da un lato grava ancor ora, l'isola ha infatti una ricettività alberghiera limitata e, tolte alcune buone strutture, complessivamente migliorabile; dall'altra paradossalmente costituisce ai giorni nostri un'enorme opportunità. Perché Ustica è quasi un'isola vergine, dove domina la natura; non è appesantita da quello sviluppo edilizio che ha rovinato buona parte delle nostre coste; può infine scegliere quale target turistico voler sviluppare e può scongiurare gli errori commessi in altre zone della nostra Penisola. È, insomma, una sorta di libro bianco ancora in gran parte da scrivere, con un tesoro da scoprire.
Tale forziere per buona parte intonso custodisce anche altre gemme rare, oltre a quelle che già vi abbiamo citato: specialità gastronomiche, fantastici presidi Slow Food (sono due, la
fava di Ustica e la
lenticchia di Ustica), poi artigiani del gusto depositari di antichi saperi alimentari. C'è ad esempio
U' Mancino, al secolo
Enzo Caminita, 90 anni, il pescatore più anziano: fino allo scorso anno usciva ancora, solo, con la sua barca; sa tutto dei fondali, su dove e come trovare il pescato migliore (qui si pescano cernia bruna, tonni, ricciole, dentici, barracuda, occhiate, polpi e aragoste); non ha però nessuno cui trasferire la sua esperienza, della quale peraltro sembra piuttosto geloso. Ora che ha abbandonato il mare per raggiunti limiti d'età, è l'estremo presidio di un ulteriore
know how - si direbbe in termini contemporanei - che rischia a sua volta di venire disperso: l'abilità artigiana nella costruzione delle nasse da pesca, con l'intreccio abile di rami di olivastro con altri di giunco.

U' Mancino, al secolo Enzo Caminita
Poi c'è anche l'ottantenne
Maria Cristina Natale, la classica nonna che s'è creata un piccolo laboratorio (col nome di
Specialità di Maria Cristina) nel quale prepara marmellate, sughi, conserve di pesce. Da lei abbiamo gustato una meravigliosa colazione che comprendeva crema di latte locale,
giggi (dolcezze di pasta fritta e vin cotto), fette di pane (farina di grano tenero autoctono di Pilusedda) spalmate di confetture,
natalini (biscotti di farina di lenticchia),
cassatedde (nulla a che fare con la cassate siciliane: sono involucri di frolla ripieni di un impasto di mandorle, uva passa, fichi, buccia dei mandarini e cioccolato)...

Maria Cristina Natale e le sue bontà

Preparazione delle cassattedde
Sono solo due dei protagonisti della splendida comunità usticese, 1200 abitanti all’anagrafe, non più di ottocento i coraggiosi che vivono qui tutto l’anno. L'isola è disseminata di coltivazioni di lenticchie - piccole e gustosissime - come detto presidio
Slow Food dal 2000, prodotto di punta; e di vitigni eroici che digradano verso il mare, protetti dalle brezze da muretti a secco o fitte barriere di fichi d'India.

Vigneti a un passo dal mare
D'altra parte, i suoli lavici ricchi di nutrienti (Ustica è la cima di un vulcano ormai spento e che sprofonda per oltre 2mila metri!) favoriscono un'agricoltura d'eccellenza: frutta e verdura hanno sapori indimenticabili. E percorrendo i quasi 5 chilometri del meraviglioso "
sentiero di mezzogiorno" che parte dalla Torre di Santa Maria e arriva fino al faro di Punta Gavazzi incontrerete - un'esperta guida locale potrà esservi d'aiuto, con noi era la brava
Annalisa Patania, tel. +39 339 2669707 - odori e sapori che vi colpiranno il cuore: assenzio, aglio selvatico, capperi, more, lentisco, ginestra, finocchietto...
Proprio per valorizzare tutto ciò, da qualche tempo sull'isola si è formata un'associazione,
VisitUstica, che mette a sistema quanti lavorano per sviluppare sull'isola un turismo a misura d'uomo, che sappia cogliere quanta poesia vi sia nell'incontro con personaggi come i citati, e poi si diletti non solo nelle immersioni, ma con giri in barca, passeggiate naturalistiche, visite culturali (la zona è ricca anche di testimonianze archeologiche e vanta due strutture museali), tour guidati, oltre alle immancabili degustazioni enogastronomiche. Vi rimandiamo al sito
www.visitustica.it per saperne di più.

Margherita Longo ed Elisa Iorio di VisitUstica
Noi, intanto, vi diamo appuntamento ai prossimi giorni, per passare in rassegna i principali luoghi del gusto sparsi sull'isola.
Visit Ustica!
(1, continua)