Due momenti diversi, nelle ultime 20 ore di Ferran Adrià a Milano, che noi abbiamo seguito con una certa assiduità. Il primo, ieri sera a cena a Identità Golose Milano, l'Hub internazionale della gastronomia di via Romagnosi 3, il catalano seduto al tavolo e in cucina quattro chef ospiti rappresentanti de Le Soste di Ulisse, a iniziare dal presidente Pino Cuttaia, La Madia di Licata (Ag), autore del dessert, e poi risalendo lungo il menu Gioacchino Gaglio del Gagini di Palermo, Angelo Treno de Al Fogher di Piazza Armerina (En), Damiano Ferraro del Capitolo Primo di Montallegro (Ag).

Ferran ieri sera con i quattro chef ospiti rappresentanti de Le Soste di Ulisse: Angelo Treno, Damiano Ferraro, Gioacchino Gaglio e Pino Cuttaia
Il secondo momento stamane, al
Lavazza Flagship Store di piazza San Fedele 6, sempre a Milano, per la presentazione del libro
Coffee Sapiens, contributo di
Lavazza al grande progetto
Bullipedia di
Adrià stesso. Ma di questo parleremo in un pezzo successivo, altrimenti troppe idee tutte insieme. E allora, partiamo con
Adrià a
Identità Golose Milano.

Adrià con la brigata di Identità Golose Milano (più ospiti siciliani)

Adrià con lo staff di Identità Golose Milano

I casatielli di Alessandro Rinaldi che tanto sono piaciuti al catalano
«
Felicitaciones, una calidad incredible...»:
Ferran passeggia per via Romagnosi 3 accompagnato da
Paolo Marchi e
Claudio Ceroni. Ammira gli spazi, poi si siede al tavolo, orario poco spagnolo, persino per nulla milanese, sono da poco passate le 19. È stanco («Ho girato 40 città in due mesi») e ha fame: la prima ciotolina piena di olive verdi termina in un minuto, poi passa ai
casatielli, sorta di tarallini
maison: sgranocchia, strabuzza gli occhi, «interessantissimi, chi li ha fatti?». L'autore è
Alessandro Rinaldi, executive chef di
Identità. Viene chiamato al tavolo.
Ferran: «Mi dai la ricetta? La giro subito a mio fratello
Albert (
deux ex machina del sistema
elBarri, sei gran ristoranti a Barcellona, poi anche Ibiza, Londra e altro, come vedremo,
ndr). Sono buonissimi, li può inserire alla
Bodega 1900».
Rinaldi non se lo fa ripetere due volte, la ricetta viaggia subito via mail. Ce l'avrebbe raccontata così, a termine cena: «È una variazione dei taralli: farina di mais, un poco di 00, strutto, sale, pepe. Due impasti diversi con lievito di birra, li unisco, do la forma che desidero (in questo caso una specie di barchetta, l'idea iniziale era di farla salpare verso le fauci con un equipaggio di burro e acciughe), tre momenti di cottura a temperatura, minutaggio e umidità a calare». Riempito il buco nello stomaco e brindato a
Ruinart Rosé AOC, si passa alle chiacchiere. Al tavolo, per
Lavazza, ci sono anche
Michele Cannone, Head of Food Service Marketing, e
Sara Peirone, Top Gastronomy Manager.

Mercado Little Spain a New York, lavori in corso
«
Sbarchiamo a New York»
Con questa storia della Brexit, dice
Ferran, vien voglia di evitare la capitale inglese. Ma il fratello
Albert vi ha appena aperto
Cakes and Bubbles all’hotel
Cafè Royal (70 Regent Street,
www.cakesandbubbles.co.uk), locale vocato all'abbinamento tra dessert d’autore e bollicine. E non si ferma: prossima tappa New York. «A maggio parte
Mercado Little Spain a Hudson Yards, un quartiere innovativo, incredibile. Chef sarà
José Andrés, io darò una mano all'inizio, sarà una specie di
Eataly ma senza gli scaffali». Protagonista la cultura culinaria spagnola, «sono orgoglioso di esportarla all'estero. Penso al gazpacho, per me l'elaborazione più geniale di cucina popolare: sano, moderno, vegetale. Funzionerà tantissimo anche oltre Atlantico. La tendenza della gastronomia mondiale è questa: tapas, sushi».

La lista web dei bullinianos
«
La centralità de elBulli»
ElBulli è chiuso dal 2011, ma non è mai stato così centrale in ambito gastronomico, dice
Adrià, mentre si parla del neo-tristellato italiano
Mauro Uliassi: «Anche lui è passato da noi, come tantissimi altri. Mi ricordo che nel 2001 avevamo in cucina
Massimo Bottura,
René Redzepi e
Grant Achatz contemporaneamente. In generale, da Cala Montjoi sono transitati in tutto circa 2.100
cocineros. Questo è stato possibile perché rimanevamo chiusi per sei mesi, quindi il turn over era obbligato. Difficile da gestire? Non tanto: i primi giorni, poi abbiamo studiato un metodo. Oggi sono orgoglioso del lavoro di
bullinianos come
Mateu Casañas, Oriol Castro e Eduard Xatruch al
Disfrutar di Barcellona e, sempre in città, di
Albert Raurich (già protagonista con la cucina orientale di
Dos Palillos) al nuovo
Dos Pebrots», tapas mediterranee che investigano sull'influenza gastro-culturale nella storia della Catalogna, partendo da greci e romani.
«
ElBulli 1846 sarà più importante de elBulli stesso»
Ma l'attenzione di
Adrià è tutta per
elBulli 1846 (il numero dei piatti da lui elaborati nel suo ristorante, ma anche l'anno di nascita di
Georges Auguste Escoffier,
ndr), la rivoluzionaria iniziativa nella sede del vecchio
elBulli, 6mila metri quadrati dedicati alla creatività. «Ne farò un'unica presentazione, a
Madrid Fusión a gennaio». Ok, ma cosa sarà? «Qualcosa di molto più importante de
elBulli stesso». Spieghiamolo al lettore... «Non è facile. Non sarà un'università, né un'impresa. Piuttosto un centro privato gestito dalla
elBullifoundation (la cassaforte dell'
Adrià pensiero, finanziata da
Lavazza con
Telefonica, CaixaBank e
Grifols, al tavolo con noi c'era il general manager
Lluís Garcia,
ndr) e diventerà un centro mondiale di esperti d'innovazione, per la ricerca, lo studio, la sperimentazione sulla creatività e l'efficienza». Analizzerà il metodo dell'innovazione, più che l'innovazione stessa, tanto da determinare modelli esportabili anche in altri settori. «Anche se in realtà il modello è che non c'è un modello. Non sappiamo nulla del processo creativo». Pardon? «Te l'ho detto, è difficile da spiegare. Detto così, sembra una
locura. Vedrete».

Una brigata de elBulli, anno 2007
«
Casting aperti, ne voglio pochi ma di valore»
Per l'organigramma di
elBulli 1846 Ferran pensa a tre incontri di selezione del personale, «cuochi, filosofi, giornalisti, scienziati... E serviranno anche "agitatori", ossia quelli che mettono in discussione il già noto, fornendo stimoli alla libertà creativa». Il primo a gennaio, «al massimo prendiamo 15-20 persone come step iniziale. Di più no: oltre quella soglia il leader di un gruppo vocato all'innovazione perde il controllo del team stesso. L'ideale anzi sarebbe non superare i 12 elementi... Come selezionerò? Ormai abbiamo un certo occhio per queste cose. A
elBulli era facile:
Aduriz mi mandava i migliori,
Bottura mi mandava i migliori, eccetera. Cosa faremo? Tutto. Ogni cosa possibile, con un'unica eccezione: non deve essere illegale. Non comunicheremo molto: sarà un long seller, non basta un lavoro da reportage veloce e poi ciao. Il tema: l'investigazione basica sull'innovazione, in modo da poterne stabilire le basi concettuali».

Una foto d'archivio di Adrià davanti all'entrata de elBulli
«
La cucina? È un disastro»
La percezione della cucina all'esterno è un disastro, dice
Adrià: «Non sanno neppure cosa sia la
nouvelle cuisine, che è roba di 40 anni fa. Io passo per essere
el demonio de la espuma, quando il sifone ormai lo usano tutti, anche i
cocineros mas tradicional. Se vogliamo far crescere questo settore, bisogna investire tutto sulla conoscenza. Per me servono almeno 50 anni, ma oggi abbiamo l'aiuto forte della rete, di internet, del digitale, quindi magari ne basteranno 20. Sono molto critico, è vero: ma dico pure che i ragazzi, i giovani chef d'oggi, sono molto più preparati di quelli della mia generazione. Credo che l'unico modo per far un salto di qualità sia apprendere dalle altre discipline. E approfondire: è mai possibile che il primo libro di storia della gastronomia abbia nemmeno 80 anni, di un tedesco? O che voi italiani quasi ignoriate chi sia stato
Bartolomeo Scappi, uno allo stesso livello di
Marie Antoine Carême? C'è tanto da lavorare».

Adrià con Giuseppe Lavazza durante la conferenza stampa di stamane, per la presentazione del libro Coffee Sapiens, contributo di Lavazza al grande progetto Bullipedia
Attenzione,
Adrià è tutt'altro che pessimista. Anzi, è una scarica di ottimismo adrenalinico, di voglia di crescere: «Si dice:
ah, che bello il passato! Rispondo: nel passato c'era la peste.
Ah, che schifo la politica! Perché pensate che fosse migliore, al tempo dei greci? Viviamo un momento straordinario, in cui internet ha cambiato e sta cambiando tutto».
La serata volge al termine. Ferran parla anche del progetto di una sorta di "Tripadvisor dei cuochi", dove una platea mondiale di professionisti selezionati - chef, sommelier, giornalisti, critici gastronomici - potrà formulare i propri giudizi, «non sarà una classifica. Penso alle 200 persone che già oggi, senza alcuna organizzazione alle spalle, sono capaci di essere influenti, per capacità spontanea. Non un clan, intendiamoci: ma un gruppo di liberi pensatori in grado di condividere la propria verità. Menti brillanti: Philippe Regol, Giles Coren, lo stesso Paolo Marchi». Discute di trend mondiali: «Le due uniche grandi culture gastronomiche che restano tutte da sviluppare sono quella indiana e quella araba. Il problema è che sono ferme al 1100». Prima di congedarsi con un ricordo goloso: «La miglior pizza della mia vita? Da Enzo Coccia a Napoli, pizzeria La Notizia. Ma ne ho anche mangiata una meravigliosa, piccola così (e con le mani disegna un cerchio delle dimensioni di un piattino da frutta) a Barcellona». Peccato non ricordi il nome del pizzaiolo, «italiano, lavora lì da oltre 15 anni». Si accettano suggerimenti.