I Meet in Cucina organizzati da Massimo Di Cintio sono sempre un'ottima occasione per focalizzare la propria attenzione su singoli territori gastronomici, sulle realtà di fine dining di una specifica regione: ci sono i grandi maestri, ossia coloro che s'incontrano spesso anche ad altri eventi, di carattere nazionale; poi gli chef di fascia "stellata" un po' meno visibili, eppure spesso interessantissimi; infine le nuove leve, al primo palcoscenico o quasi. Insomma, una formula intelligente.

Trelatti di Nikita Sergeev
Meet in Cucina Marche, seconda edizione nei giorni scorsi, ha confermato una volta di più quanto abbiamo appena scritto. Tanti i momenti stimolanti: le lezioni di
Mauro Uliassi e
Moreno Cedroni, ovviamente. Ci è poi piaciuto il
Trelatti di
Nikita Sergeev, un dolce che unisce marshmallow di latte caprino, meringa e quenelle di latte di bufala affumicato, spuma di latte vaccino al cardamomo. Già avevamo parlato - leggi
Straordinaria Andreina tra passato, presente e futuro - delle nuove bottarghe di carne (milza, cuore o fegato di agnello, per adesso) di
Errico Recanati, «in cucina ci metto cuore e fegato. A volte anche un po' di cervello» (risate,
ndr). Di
Stefano Ciotti scriveremo presto. E così via. Vogliamo allora focalizzare la vostra attenzione su tre giovani chef, che ci hanno colpito particolarmente.

Mytilus Galloprovincialis
L'AMORE DI RAPISARDA PER I MOSCIOLI - Conoscevamo già
Alessandro Rapisarda, classe 1987, vincitore della selezione italiana della
S.Pellegrino Young Chef 2016, che qualche mese fa ha aperto il suo
Casa Rapisarda a Numana (Ancona). Conoscevamo anche i moscioli selvatici di Portonovo, mollusco strettamente locale: la famiglia è quella delle cozze, ma i moscioli hanno davvero una marcia in più, sono profumati di alghe, plancton, iodio. L'incontro tra il giovane chef e quest'eccellenza del mare ha dato vita a un piatto,
Mytilus Galloprovincialis (che è poi il nome tassonomico delle cozze) davvero interessante: «Non lavo i moscioli, per non disperderne la carica aromatica. Li immergo nell'acqua, che diventa torbida, poi la filtro e utilizzo». I moscioli sono serviti ripieni di vari aromi: uno con
paccasasso del Conero (un’erba spontanea) e aceto di riso, la crema addensata con crystal mais; un secondo, in onore di suo padre siciliano, con purea di latte di mandorle (c'è una piccola percentuale di mandorla amara) con capperi e caffè, il tutto addensato con agar agar; poi con gel di salsa ponzu e pasta di sesamo; quindi con umeboshi, più acida, e purea di susine nostrane, più dolci; infine con cime di rapa passate nel bimby con colatura di alici. L'acqua dei moscioli, tiepida, serve a irrorare il piatto, accompagnato da una bruschetta: «Voglio che questa sia una zuppa di cozze, deve sembrare un piatto semplice». Non ordinatelo al
Casa Rapisarda né altrove: la stagione del moscioli - la pesca viene eseguita a mano, da subacquei professionisti, strappandoli uno ad uno dalle rocce - è terminata proprio in questi giorni.

La fabbricazione della carta di Fabriano, sul palco. A destra, Serena D'Alesio

Millefogli con coniglio di Arcevia
SERENA D'ALESIO: VIVA FABRIANO! - «Fabriano è bellissima. E non avete idea di quanto sia viva! Mi piace riposare sulle rive del fiume Giano, lì c'è tranquillità, si è immersi nella natura; non come al mare, dove c'è troppa gente». La dichiarazione di amore di
Serena D'Alesio per la propria terra certifica un legame che è familiare e ora anche culinario: lei, classe 1982, ha ereditato la cucina del
Marchese del Grillo da mamma
Emanuela della Mora, con papà
Lanfranco D'Alesio che continua a dare un occhio alla cantina e l'altro figlio,
Mario, direttore e bravissimo sommelier. I piatti che
Serena propone onorano il circostante. Uno in particolare. Premessa: pochi sanno che uno dei segreti della carta di Fabriano è... il coniglio. Rapida spiegazione: le tecniche di lavorazione della carta provengono dall'Oriente (da noi, al limite, si utilizzavano papiri e pergamene), dove veniva lavorata una carta ottenuta da pasta di corteccia di gelso. Più pregiata era quella da seta di baco. Metodologie arrivate in Occidente grazie agli arabi: ma la carta ottenuta si deteriorava facilmente, per renderla impermeabile si usavano colle che divenivano preda di microrganismi. La svolta avvenne in Italia, a Fabriano appunto: intorno al 1264, nei laboratori artigianali, le
gualchiere, gli amidi vennero sostituiti da una gelatina ricavata dalla bollitura di pelli animali, conigli in genere, che con il loro collagene impermeabilizzano la carta e ne aiutano la conservazione nel tempo. La
D'Alesio ha dunque proposto un piatto che rendesse omaggio alla carta, ossia al coniglio: va in forno a vapore con lardo, aglio e rosmarino, poi si abbatte, si separa il collagene per avere un puro "succo di coniglio" che condirà la bestia stessa, servita con lenticchie di Castelluccio, gel di Verdicchio, olio al rosmarino, maionese di lenticchie e sedano rapa essiccato.

Enrico Mazzaroni prepara il casciottu con zia Gina

Casciottu con acqua di mare e caviale
LA TRANSUMANZA DI ENRICO MAZZARONI - La commozione sul palco è la prova di una ferita che non si è ancora rimarginata, anzi rimane profonda quanto le crepe che infestano il suo vecchio ristorante,
Il Tiglio a Montemonaco, pieno cuore dei Sibillini, chiuso da due anni perché il terremoto è stato devastante e l'edificio dichiarato inagibile, «servono troppi soldi per la ristrutturazione».
Enrico Mazzaroni per ripartire è dovuto scendere dunque al mare, «un incontro bellissimo, ma del quale avrei fatto anche a meno». E viene spontaneo paragonare questo suo percorso - che ha portato all'apertura del
Tiglio In Vita, a Porto Recanati, nel giugno dello scorso anno - a quello della transumanza: «C'è quella fisica e quella mentale. Mi sono approcciato alla materia prima da una prospettiva diversa. E ho iniziato a lavorare il pesce». La cucina è amore, sentimento, che si trasfondono nel
gesto, dice
Mazzaroni; s'è portato sul palco zia
Gina proprio per mostrare il
gesto necessario per preparare il
casciottu, una specie di cagliata che veniva "rubata" durante la lavorazione del latte per realizzare il formaggio, «dalle nostre parti vendere il cacio significava sopravvivere; dunque rubare un poco di
casciottu era
gesto d'amore». Il "furto" avviene prima della salatura: così lo chef serve alla platea di
Meet in Cucina questo
casciottu apportandogli sapidità con gel d'acqua di mare (addensato con un batterio, lo
Pseudomonas elodea, che consente la lavorazione anche a 70°) e caviale, insomma povertà e ricchezza insieme. Poi propone anche un dolce a base di cervella d'agnello: piatto troppo interessante, ne riparleremo a parte. «Appena arrivato a Porto Recanati, piangevo disperato, volevo tornare a casa. Quest'inverno però le onde mi hanno conquistato, ho iniziato ad amare la loro bellezza, le loro sfumature. Me ne sono innamorato: penso di rimanere là, se non ci si mette in mezzo anche un maremoto».
Abbiamo voluto evidenziare questi tre momenti di Meet in Cucina Marche 2018. Chiudiamo però con le parole dei due "big".

Mauro Uliassi sul palco...
LE PAROLE DI MAURO ULIASSI - «La creatività è avere comportamenti con contenuti immaginativi. C'è una creatività per adattamento: utilizzo qualcosa che già esiste o lo interpreto, è la famosa rivisitazione. C'è una creatività per associazione, quando collego creativamente alcuni elementi; c'è infine una creatività per immaginazione, che risponde a eventi o stimoli esterni. Sono tre tipologie che non agiscono come fossero compartimenti stagni. Lo studio è la base necessaria per cogliere tali aspetti, trovare nuove relazioni tra le cose e quindi evolvere. In un gruppo di lavoro, la capacità creativa è amplificata, se vi è metodo. Immaginatevi la situazione: nasce un pensiero condiviso, si dirada la nebbia, negli occhi di ciascuno si legge la felicità, ci si sente vivi ed emozionati: è il processo creativo».
LE PAROLE DI MORENO CEDRONI - «Il viaggio nutre l'anima, il corpo, lo spirito. Mescolatevi, fate esperienza, conoscete: solo così la nostra cucina di tradizione potrà evolvere».