Ha appena raggiunto la vetta dopo una lunga scalata: Norbert Niederkofler è il nuovo tre stelle d'Italia, il quattordicesimo in assoluto nella nostra storia. Lo scorso anno aveva celebrato i due decenni di St. Hubertus con un menu speciale che proponeva 20 piatti, uno per anno, in una carrellata indimenticabile che vogliamo tornare a raccontarvi, con il pezzo che scrivemmo per l'occasione. Si chiudeva così, quasi profeticamente: "Ed è la stessa consapevolezza placida ma determinata che gli suggerisce di puntare verso la sua prossima meta, con tranquillità: «Sono nato in montagna. Quando si scala una cima, non si torna indietro a 50 metri dal traguardo». Christian Rainer, che al suo fianco inebria sala e cantina di estrosa perfezione, annuisce: lassù ci sono le tre stelle, ormai davvero a portata di mano".
Il ventennio buono è quello di Norbert Niederkofler. Passare in rassegna (e all’assaggio) venti dei suoi piatti, uno per anno, rappresentativi dunque di uno straordinario percorso di cucina ma soprattutto di vita, significa tastare con mano una costante: la straordinaria modernità di uno chef forse troppo schivo per diventare un comunicatore, troppo geograficamente periferico per assurgere ad alfiere riconosciuto della contemporaneità tricolore. Ma anche troppo bravo per non essere considerato stella polare della nostra ristorazione, una delle sue declinazioni migliori, anche culturalmente. E’ un piccolo gigante difeso dalle montagne che racchiudono la sua val Badia, ma che per lui sono nel contempo la salda radice territoriale e un trampolino per una visione che abbraccia la terra intera.
Sono vent’anni che Niederkofler lavora al St. Hubertus: iniziò nel 1997 da una pizzeria, insieme alla famiglia Pizzinini, come racconta nella videointervista che potete cliccare qui sopra. Ha compiuto da allora un cammino infinito, quasi avesse scalato non solo le cime dolomitiche, ma l’Everest chissà quante volte e altre ancora. Passo fermo, costante, facendo attenzione che l’aria pura ossigeni sempre per bene il cervello, giacché Niederkofler è – prima ancora che un grande cuoco – un uomo intelligente e preparato, sufficientemente esperto del mondo - che ha ben conosciuto durante i suoi innumerevoli viaggi - per adottare uno sguardo ironico e distaccato nei confronti delle piccolezze del circostante.

Il viaggio è in effetti la pietra miliare della sua vita. «Ero povero. Diventai cuoco perché era l’unico modo per poter viaggiare», ci racconta. Le trasferte continuano con la mente anche quando torna a casa, com’è sempre, perché si parte non per trovare nuove terre, ma nuovi occhi. Si parte alla ricerca di sé, dell’altro, di un’armonia: i suoi non sono mai stati solo “viaggi di lavoro”, come si suol dire, ma esperienziali, esistenziali. Si potrebbe citare
Thomas Eliot: “Non smetteremo di esplorare. E alla fine di tutto il nostro andare ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo per la prima volta”. E’ stato esattamente quel che ha fatto
Niederkofler, e che raccontano – come fosse un diario di viaggio, appunto – i suoi piatti (li vedete nella fotogallery qui sopra, gli scatti sono di
Tanio Liotta).
Sono totalmente moderni, anche quelli ormai maggiorenni, «passandoli in rassegna per definire questo mio menu dei venti anni, me ne sono reso conto. E’ un vero peccato rinunciarvi», ci spiega. Ma occorre farlo, ne è consapevole, perché il prossimo obiettivo è sempre più avanti, l’uomo che smette di investigare è già morto.
Come dice
Eliot, tanto muoversi l’ha fatto tornare a San Cassiano. Gli assaggi più datati raccontano equilibri trovati iniettando suggestioni d’ogni dove: è del 2002 un travolgente
Risotto con wasabi e anguilla leggermente affumicata, trait d’union tra Italia e mondo proprio come il pesce migratore che ci è familiare ma nasce nel mar dei Sargassi, e giunge a noi dopo una nuotata lunga oltre 6.600 chilometri. Una salsa al coriandolo arricchisce la spaziale
Triglia ripiena con pomodori e basilico su calamari croccanti, fusione tra Mediterraneo e Oriente nata nel 1999. L’aglio nero fermentato cesella i
Tortelli con zabaione di porcini, olio d’abete e crumble di porcini (2009). E così via.
Poi però Niederkofler scopre che il viaggio è (anche) quello dietro casa: «Andare sull’essenziale», ci sintetizza. Nasce il progetto Cook the Mountain, nel 2013. Lo spiega così: «Sono un individuo. Come lo sei tu. Ho le mie forze e le mie debolezze. Come le hanno tutti. Cerco di essere genuino ma non sempre ci riesco. E tu? Quando riesco a far sentire alle persone il profumo e il sapore familiari della mia terra, sono semplicemente felice». E ancora: «Avete mai cercato "fonduta di betulla" su Google? Un po' imbarazzato ma soddisfatto ho scoperto che il Carpaccio di vitello da latte, tuberi, fonduta di betulla con erbette è l'unico risultato trovato (una sua ricetta, ndr). Mi sono posto quindi come obiettivo questa eccezionalità: la visione di creare piatti delicati e inconfondibili dal ricchissimo tesoro che ci offre la natura altoatesina. Il tentativo di conferire un granello di eleganza all’originario». (Sono parole che traiamo dal suo sito www.n-n.it, francamente non avremmo potuto trovarne di migliori).

Nel percorso del ventennio buono, il piatto del 2016 è
Salmerino & Cavoli, un basico ritorno al Sudtirolo, no frills, d’infinita bontà ma anche d’apparente frugalità montanara, dietro la quale si nasconde la complessità della consapevolezza ormai raggiunta.
E’ la stessa che l’ha spinto a volere Care’s (ne abbiamo parlato a lungo, ad esempio qui e qui); a spingersi cioè verso la nuova frontiera, quella del cuoco responsabile socialmente, conscio dl proprio nuovo ruolo, non solo partecipe ma autore del dibattito sull’ambiente, la sostenibilità, il pianeta (qui un suo ulteriore intervento). Mai chiuso tra le proprie montagne, che pur ama alla follia, tanto da progettare per Care’s un secondo appuntamento annuale, sull’isola di Salina, cioè dall’altra parte del globo rispetto a San Cassiano.
Ed è la stessa consapevolezza placida ma determinata che gli suggerisce di puntare verso la sua prossima meta, con tranquillità: «Sono nato in montagna. Quando si scala una cima, non si torna indietro a 50 metri dal traguardo». Christian Rainer, che al suo fianco inebria sala e cantina di estrosa perfezione, annuisce: lassù ci sono le tre stelle, ormai davvero a portata di mano.