C’è una sintesi possibile per tratteggiare l’anima della Locanda del Pilone. Ed è una parola: sobrietà. Di gran classe, certo: ma sobrietà. E’ quella dei Boroli, tanto per iniziare, ossia dell’appartata famiglia di grandi e storici imprenditori (dal 1831. Prima nel tessile, poi nell'editoria, ora anche nella vitivinicoltura) che questo luogo ha voluto. Sobria è la struttura, un’antica cascina che conserva intatte le proprie caratteristiche storiche e affascina con richiami allo charme del vecchio nobile Piemonte; i mobili d’epoca, l’eleganza non ostentata, rustico-chic, con dettagli nelle camere che disvelano l’attenta ricerca di un lusso signorile, mai pacchiano: le lampade di Artemide, i cosmetici Acqua di Parma… Attorno la vista spazia dalle vigne di barbera e dolcetto fino al panorama grandioso delle Alpi. La natura può permettersi una bellezza sopra le righe, se vuole.
Al piano terra le sale da pranzo presentano antichi soffitti a volta in mattoni. Qui opera silenzioso il giovane
Federico Gallo, una carriera in punta di piedi per ora coronata dalla promozione, nell’ottobre 2015, alla guida della
Locanda, dove era giunto come sous chef di
Masayuki Kondo, che oggi fa piatti italiani nel suo Giappone. Torinese, classe 1987,
Gallo è perfettamente in linea con lo spirito che alberga nella
Locanda: riservato, quieto, insomma tutto all’opposto di molti suoi colleghi più o meno coetanei, che spadellano smargiassate a getto continuo, anche quando l’avventore ne è del tutto sazio. Così – ossia gentile, lineare, equilibrata. Appunto: sobria – è anche il suo stile in cucina, che racconta perfettamente il territorio; e non, sia chiaro, una Langa da cartolina un po’ stropicciata, sempre uguale a sé stessa, piegata sotto il peso della tradizione. Insomma posticcia e/o caricaturale.
Piuttosto, ne tratteggia la piena contemporaneità, nel complesso lavoro d’incastri tra radici e cielo, da una parte la storia gastronomica, dall’altra lo slancio creativo.
Gallo sa condurre il gioco con abilità, complice un curriculum che l’ha visto approcciarsi più volte con tradizioni culinarie ponderose: molto in Toscana, soprattutto agli inizi, la famiglia è originaria di Chiusi, vi abita, e proprio nella cittadina etrusca il bisnonno aveva un’osteria, nel centro storico; poi quella piemontese e insieme mediterranea a
Villa Crespi, con
Antonino Cannavacciuolo, quindi quella romana-laziale di
Iside De Cesare a
La Parolina di Acquapendente.

Lo staff della Locanda del Pilone. Da sinistra Sofia Brunelli (direttrice ed anima della sala), Francesca Negusanti, Marco Loddo (sommelier), Davide Saglietti, Davide Picollo, Francesco Demartino, Matteo Zanin, Luca Bendinelli (sous chef), Umberto Rizzi, lo chef Federico Gallo, Mattia Melchionna
Lui, da ragazzo ligio e composto – per intenderci: è lo studente che prende appunti fitti e arriva preparato all’interrogazione – ha fatto tesoro delle esperienze. Ma non si pensi manchi di slanci o d’inventiva, che la sua tavola sia grigia e perfettina. Anzi, è a tratti persino entusiasmante, comunque scalda il cuore: solo che colloca gli svolazzi disciplinatamente su una solida struttura di base, così non sbaglia un colpo; usa tutti i colori della tavolozza, senza voler strafare. Sa che la cucina è estro: ma anche – soprattutto – pulizia, armonia.
Ce n’è in abbondanza, nei suoi piatti, almeno a giudicare dalla nostra cena: una decina di portate, non un solo appunto critico. Ed elogi in abbondanza, rimasti fissati sul nostro taccuino. Come ne
La nostra finanziera con gamberi rossi di Mazara: chi scrive adora la pietanza piemontese, e ne ha ritrovato appieno l’appeal nella versione di
Gallo, che non ha paura a proporre anche le parti più impegnative – cervella, filoni, creste di gallo, oltre alle animelle. Tutte cotte separatamente – per una resa assai bilanciata, con polvere di buccia di limone essiccato, più il goloso crostaceo siciliano, utilizzato al meglio insieme alla sua bisque. Perfetto.
C’è molta eleganza sparsa a piene mani. Nel
Ramen alla piemontese (un tagliolino d’albume con limone, cipollotto, bietola, pioppini disidratati e filetti di tinca gobba dorata - cotti nel massimo rispetto della materia prima, «né a caldo né a freddo, a 60°» - più il suo brodo, che rimandano a quando
Gallo approcciava simile pescato a Sorano, vicino al lago di Bolsena, lavorava in una trattoria specializzata in pesci d’acqua dolce.
Eccellenti anche le carni: i due servizi con protagonista la Pernice profumata al whisky, tartufo nero e finferli, oppure la Coscia d’anatra confit, ciliegie, nocciole e lattuga brasata. Si chiude con una golosissima Lemon pie: Gallo non ha grilli per la testa, ma una mano davvero felice.