Ok, Bottura avrà pure perso lo scettro: ma c’è comunque da rimanere ragionevolmente ottimisti sulle sorti futuri della migliore cucina italiana. Non solo perché altri – i Crippa, gli Alajmo, i Romito – migliorano il loro ranking, ma anche poiché dietro questa generazione si sta facendo largo una successiva, ricca di talenti e consapevolezza. Noi di Identità al congresso l’abbiamo chiamata La Nuova Cucina Italiana, definizione onnicomprensiva che va a delineare un profilo abbastanza comune del giovane chef che si candida plasmare la nostra soddisfazione a tavola per i prossimi decenni. Ha infatti caratteristiche piuttosto definite: ha viaggiato e studiato, appreso tecniche e fatto esperienze importanti nei migliori ristoranti del mondo. Riversa questo suo sapere ancora inevitabilmente acerbo in un bel rapporto col territorio: ha infatti capito che la via (stretta) per tracciare un proprio profilo futuro, in Italia, passa attraverso l’interazione con quello che lo circonda; per prima cosa crea dunque reti di produttori e fornitori, dialoga con contadini e allevatori, va alla ricerca di erbe e prodotti. Concetti che oggi paiono persino scontati.
Evita in questo, però, una sorta di standardizzazione proprio grazie alla straordinaria biodiversità italiana – così che farsi alfiere dell’attorno nel Roero è diverso che nel Mugello, anche applicando i medesimi stilemi – e poi mettendo a frutto quanto appreso, e dunque trasparirà se ha fatto esperienze di cucina New Nordic o francese, se la formazione decisiva è stata dai Roca o da Redzepi.
Le
new entries di questa vasta schiera – intendiamo dunque gli chef più giovani, che si affacciano solo ora sulla scena – peccano a volte di un certo didascalismo, è insomma fin troppo facile riconoscere la mano che li ha formati. Si faranno, vien da dire: e se dallo stile traspare comunque personalità o perlomeno voglia di dimostrarla, foss’anche con ingenuità, c’è di che aprire loro una piccola linea di credito. Lo facciamo volentieri.
Anche perché si sobbarcano spesso un compito per nulla agevole: scelgono di esporsi in provincia. Cosa che li mette di fronte ad alcune opportunità e a un rischio: le prime derivano dalla migliore possibilità di dialogare col territorio e di sottrarsi a costi e concorrenza stritolanti; il secondo, di apparire scollegati, privi di mercato. Di proporsi a un pubblico gourmet locale inesistente o da formare. Hanno quindi sempre bisogno di trovare un equilibrio tra necessità di crescita e quelle di bilancio; tra elogio della critica e della clientela.
Si diceva che l’Italia è ricca di queste storie. Ne abbiamo raccontate alcune: per esempio quella di Davide Guidara in Marziani a Milazzo, quelle di Antonio Biafora e Nino Rossi sulla Sila e sull’Aspromonte, quella dei più giovani chef abruzzesi…
L’altro giorno ci siamo invece spostati poco da Milano. Il viaggio verso Pozzuolo Martesana è durato non molto più di mezz’ora, destinazione
Volm, nuovo ristorante – aperto nel settembre scorso – al quale ci ha guidato un parere di
Andrea Grignaffini e una dichiarazione di stile riportata dal sito:
Al Volm utilizziamo prevalentemente prodotti della provincia di Milano, sfruttando la presenza di molti piccoli produttori, contadini, agricoltori e artigiani locali. La ricerca dei migliori prodotti della zona viene integrata con l’utilizzo di erbe spontanee ed aromatiche, raccolte ogni giorno. La stagionalità ha un ruolo fondamentale nella nostra cucina: lo studio, la nostra esperienza e il nostro vissuto contribuiscono a renderla giovane, creativa e sempre in movimento.
Volm è l’acronimo sparpagliato dei due chef-patron, Lorenzo Vecchia e Olexandra Marfia (sarebbe Vecchia-Olexandra-Lorenzo-Marfia), coppia anche nella vita. Lei, di mamma ucraina, nata a Kiev nel 1989, ha vissuto l’infanzia nella Sicilia paterna, a Bagheria, appassionandosi di cucina grazie alla nonna, figura che non manca quasi mai in vicende come queste. La frequentazione di qualche ristorante in zona l’ha portata all’Alma e quindi al El Coq di Lorenzo Cogo, appena prima del trasferimento a Vicenza, dove ha conosciuto Vecchia, classe 1992 di Pozzuolo Martesana («Sono cresciuto qua dietro. Che bello quando entrano clienti del posto, che mi hanno visto bambino. E ne abbiamo tanti!»), un curriculum più strutturato che annovera anche Carlo Cracco, due stagioni al Venissa sotto la guida di Antonia Klugmann e altrettante esperienze da Martin Berasategui.
Ci mettono tanta passione, anche nella costruzione del locale, «abbiamo fatto tutto da soli, con l’aiuto di alcuni amici del settore. Niente geometri, designer o architetti». La loro cucina è ricca di elementi vegetali, senza indugiare però troppo in fermentazioni, così di moda, in fondo non hanno la Scandinavia nel loro passato. Poche note acide mentre sembrano giocare molto, piuttosto, su contrasti dolci-amari in buon equilibrio nel loro essere fuori dagli schemi convenzionali, così che i Tagliolini alla chitarra di lenticchie e fagioli, spuma di whisky, pere e cumino arrivano dopo la carne e appena prima del dessert, idea che evita di sembrare di maniera perché supportata da una buona resa gustativa.
E’ una delle note positive della nostra cena. Le altre: interessante e raffinato il gioco tra dolce e salato, così come la valorizzazione del fresco vegetale e di materia prima di qualità, l’abbiamo già detto; alcuni piatti davvero eccellenti e complessi, pensiamo al
Risotto Carnaroli Riserva San Massimo, alloro, capperi e riduzione di chinotto o al
Carciofo, ginepro, uova, mandorle e gin, squisito; molto bene anche i dessert, spesso la parte deludente di tanti menu (che buono l’
Assoluto di mela, gelato di birra, liquirizia e croccante di mandorle!); intelligente la piccola cantina, con bottiglie bio di piccoli produttori e una mini-sezione dedicata ai vini macerati e in anfora. Da migliorare: c’è un poco di ripetitività in alcune proposte, nonché qualche disequilibrio; il servizio “alla nordica” (quindi con lo chef, in genere
Vecchia, che esce dalla cucina) mostra lentezze; sedie scomode. E il filetto di manzo come secondo di carne? Anche no, dai.
Carta stringatissima, nove portate complessive, oscillano tra i 13 e i 20 euro; il menu completo con tutti i piatti è a 80 euro (gli altri a 45 e 65). Prenotazione obbligatoria. Quello che abbiamo assaggiato, nella fotogallery di Tanio Liotta.
Ristorante Volm
Via IV Novembre 55/57
Pozzuolo Martesana (Milano)
Tel. +39.02.95358617