La tradizione vuole che a Natale o Capodanno si mangi anguilla: e la migliore in assoluto che abbiamo avuto la fortuna di assaggiare ce l’ha servita qualche settimana fa Pierluigi Di Diego, chef de Il Don Giovanni di Ferrara: carnosa, dalla consistenza compatta, texture perfetta, non troppo grassa come capita sovente e dunque dal sapore delicato, armonico, suadente, valorizzato dalla veloce cottura sullo spiedo e dai contrappunti aromatici: foglia di cavolo nero per una nota amarognola e riduzione di melograno per contrastare con la sua acidità quel po’ di untuoso che comunque è caratteristica dello straordinario pesce teleosteo.
Idee di cucina che valorizzano la materia prima, ma soprattutto, appunto, di base c’è un prodotto fantastico («Ne ho comprato alcuni chili, quel poco che si trova – ci aveva detto Di Diego – Arrivo fino alle feste di Natale, poi finisce», quindi c’è da affrettarsi): non allevato ma pescato da un amico dello chef, di più non chiedete perché, come dice Riccardo Camanini, «vi do tutte le ricette che volete, ma su certi fornitori sto zitto, sono il vero patrimonio da tutelare».

La morte di Anita Garibaldi nei pressi dell'attuale Anita, dove Di Diego trova le migliori anguille
Comunque, viene dalla zona di Anita, che raccontano già di loro una storia tutta speciale: siamo nel territorio comunale di Argenta (che ritroveremo in questo racconto), Anita è un villaggio rurale sorto nel 1939 a opera del fascismo, durante le grandi bonifiche del Delta del Po, le valli di Comacchio si trovano a pochi chilometri, il fiume Reno davvero a due passi (l’
Anita in questione, cui il nuovo borgo – oggi 400 anime – venne dedicato, è proprio la moglie di
Garibaldi, che da queste parti morì 28enne, era l’inizio d’agosto 1849, mentre incinta fuggiva col marito dalle truppe papaline e austriache, subito dopo il crollo dalla
Repubblica Romana risorgimentale).
La migliore anguilla possibile? Probabile, quasi certo, salvo smentite golose: cosa che conferma quanto scrivono quelli di Enologica – Enrico Vignoli e Giorgio Melandri – su Di Diego, perché il piatto che vi abbiamo raccontato, Spiedo di anguilla di cattura, cavolo nero, riduzione di melograno, è stato presentato dallo chef proprio durante la manifestazione a palazzo Re Enzo di Bologna, con lo scrivente a introdurre il cooking show, o chiamatelo come vi pare. Dicono dunque Melandri e Vignoli: «Pierluigi Di Diego lavora a Ferrara con lo stesso spirito di quando ha cominciato, stupito e affascinato dalla “filiera di giornata”: le prede della pesca, la caccia di valle, le occasioni delle stagioni, le piccole e grandi invenzioni di orti e campi. E lo fa come lo dovrebbe sempre fare un artigiano, a regola d’arte, con quella manualità che ne fa un giocoliere di livello assoluto. La sua è una cucina di gesti e territorio, sempre leale e autentica, purissima».

Spiedo di anguilla di cattura, cavolo nero, riduzione di melograno, attualmente (ancora per poco) in carta a Il Don Giovanni di Ferrara
Bel tipo un po' eclettico, il
Di Diego, aggiungiamo noi. E, pensando all’anguilla e al suo gran viaggio dal mar dei Sargassi per arrivare alle paludi padane, viene inevitabile un paragone magari forzato tra il pesce e questo chef classe 1967, nato in Germania da genitori abruzzesi (mamma
Carmela di Casoli, papà
Luigi da Lanciano) trasferitisi poi, con
Pierluigi in fasce, in quel di Baranzate, allora frazione sotto il Comune di Bollate mentre oggi fa a sé, ossia nell’hinterland milanese di Nord-Ovest, con Arese vicina e infatti i genitori del futuro cuoco divennero operai nella grande, storica fabbrica dell’Alfa Romeo. Ricorda
Di Diego: «Eravamo una famiglia umile, appartamento modesto. Ma vi si trovavano due grandi frigoriferi colmi di ogni leccornia», insomma il sangue era quello giusto. E dicevamo del viaggio: «Diventare chef fu per me l’unico modo per poter assecondare l’altra mia grande passione, oltre alla cucina: viaggiare» e le sue parole sono uguali uguali a quelle di
Norbert Niederkofler (e poi
La Forza della Libertà: il Viaggio sarà anche il tema della prossima
Identità Milano).
Viaggia, dunque, Di Diego: dopo il classico iter di scuola alberghiera a Milano e le prime stagioni in località turistiche, all’età di 20 anni si imbarca sulle navi da crociera che toccano le coste orientali e occidentali delle Americhe. Tornato in Italia, rimane per un po’ nomade: Biffi in Galleria Vittorio Emanuele, sempre nel capoluogo lombardo («In Galleria si mangia male, vidi cose orribili in cucina e me ne scappai presto»), quindi un colloquio con Gualtiero Marchesi in Bonvesin della Riva («Ricordo che in cucina c’erano Carlo Cracco, Davide Oldani ed Ernst Knam. Ma non accettai l’incarico perché Gualtiero voleva mettermi nel suo bistrot alla Rinascente e non mi piaceva l'idea»), quindi il trasferimento in Emilia, al Picci di Cavriago, allora una stella Michelin. Tappa di avvicinamento prima dell’approdo al Trigabolo di Argenta, uno dei locali protagonisti della rivoluzione della cucina italiana degli anni ’80 e ’90, dove sotto la regia di Giacinto Rossetti lavoravano bei nomi: Igles Corelli, Mauro Gualandri, Italo Bassi, Marcello Leoni, Bruno Barbieri.

Enrico Vignoli con Pierluigi Di Diego a Enologica 2016
Il
Trigabolo chiude nella Pasqua del 1995, tre anni dopo
Di Diego apre con
Marco Merighi il suo
Don Giovanni in una casa colonica a Marrara, alle porte di Ferrara. Nel 2003 la stella, sempre confermata, nell’ottobre dello stesso anno il trasferimento dell’insegna in centro città, nel cortile della Borsa dove si trova tuttora, affiancato ormai anche dal bistrot, stessa gestione che vede lui ai fornelli e la moglie
Laura Galantuomo splendida donna di sala.
Alcune frasi dello chef, che abbiamo annotato:
* «Non basta la passione per fare questo mestiere. Ci vogliono gli occhi della tigre, insomma la grinta, e poi la consapevolezza di dove la tua mano possa arrivare. E la mano va allenata a lungo».
* «Essere chef mi ha fatto diventare uomo».
* «Oggi non si fa più gavetta, ed è un male, perché impiattare deve essere l’ultimo step di un percorso faticoso».
* «Io sono vero. Odio l’ipocrisia».
E anche i suoi piatti sono veri, sinceri, a iniziare da quelli più celebri, come gli Spaghetti alla chitarra A.O.P. in fonduta di reggiano o la Terrina di canocchie in crudità con pomodori confit ai tre pesti, ma noi abbiamo trovato azzeccatissimo anche un dolce come Frangipane alla zucca con salsa al mango.
Ps: a Enologica è stato proposto l’abbinamento dell’anguilla con l’Ursiola, un vino quasi dimenticato e che ora alcuni a Comacchio sono tornati a produrre, in poche centinaia di bottiglie, nessun intento commerciale ma pura testimonianza. E’ un vino rosato delle sabbie, a bassa gradazione e alta acidità, una specie di novello del Bosco Eliceo perfetto con pesci delle valli, salumi ma anche caldarroste. «Il paggio del ben più noto Fortana», lo definiva Gigi Veronelli.