Scena: fine cena di sabato 27 agosto. Chi scrive si accomoda nel salottino sopra al ristorante, al Reale Casadonna di Castel di Sangro. Dopo pochi minuti arriva Niko Romito, il padrone di casa. Gin tonic e chiacchiere: entrambi – visto il personaggio – di assoluto livello. Lui parla ispirato, lucido, attento, prendendosi pause di riflessione, soppesando le parole, addensando i concetti, bilanciando i toni, centellinando l’essenza del suo pensiero. Il paragone coi suoi piatti è fin troppo ovvio, ma fondato. Lo ascolto senza prendere appunti come pur andrebbe fatto: è forte la tentazione di chiedere una pausa per agguantare il block notes rimasto di sotto… ma meglio così, meglio lasciar divagare Niko liberamente, fuori dagli imbarazzi, dalle reticenze, dalle schematicità di un’intervista classica. L’importante – mi dico – è fissare nella memoria quanto sta raccontando, perché varrà bene un articolo. Questo articolo, per la precisione. (La cena è stata eccezionale. Una carrellata di entusiasmante “minimalismo concentrato” tra grandi classici - Animelle, panna, limone e sale (2013), Assoluto di cipolle, parmigiano e zafferano tostato (2010), Gel di Vitello, porcini secchi, mandorle e tartufo nero (2011) – piatti più recenti (favoloso il Cocomero e pomodoro, anno 2015) e recentissimi: Verza arrosto, Tortelli con pollo, sedano e maggiorana, Spigola, capperi e prezzemolo).
1) STANDARDIZZARE LA CUCINA
«Occorre standardizzare le ricette della cucina italiana, quelle classiche, per avere un canone di riferimento ed elevare il livello medio di qualità. In fondo, è il lavoro che hanno fatto Alain Ducasse e Joël Robuchon quando si sono proposti di moltiplicare i loro indirizzi. In Italia è un processo in parte già affrontato ma da ampliare e consolidare» ed era proprio Ducasse, aggiungiamo noi, a lamentarsi: «Non aprirò mai un ristorante gastronomico di alta cucina in Italia finché gli italiani non si metteranno d’accordo tra di loro su quanto tempo debba cuocere un etto di spaghetti».

Lo Spazio di Niko Romito a Milano
2) LA REPLICABILITA’
«Attraverso la standardizzazione delle ricette si può replicare una cucina di qualità in diversi luoghi. E’ il sistema che mi ha permesso di creare
Spazio e
Bomba, che presto apriranno nuove sedi, sia in Italia sia all’estero. Quando ho firmato il contratto per sbarcare con
Spazio a Milano, doveva ancora aprire quello di Roma: un azzardo reso possibile dal fatto che sapevo di poter contare su procedure canonizzate, replicabili senza problemi da chi ha ottenuto adeguata formazione. “
Romito non c’è quasi mai”, sento dire a volte da chi mangia da
Spazio. Vero, non ci sono, perché non ci devo essere, il format è quello, il modello lo consente». Da
Spazio si mangia benissimo, peraltro.
3) MODELLO EATALY
«Dobbiamo proporre una migliore cucina italiana all’estero, e questo si può fare avendo come punto di riferimento ricette e procedure standardizzate ma di qualità. E’, in fondo, il modello Eataly, che funziona benissimo: loro esportano i prodotti, noi possiamo esportare la nostra tavola d’eccellenza».
4) DOVE NASCE LA CREATIVITA’
«Chiedo ai miei collaboratori di essere creativi, ma non quando sono da Spazio, bensì a Castel di Sangro, dove abbiamo tutti i laboratori e gli strumenti per la sperimentazione. Noi lavoriamo molto sulla ricerca, qui in Abruzzo: quanto viene elaborato in queste cucine diventa poi il modello standard da replicare ovunque andremo ad aprire».
5) IL RUOLO DELLO CHEF
«La standardizzazione deve calare dall’alto, non crescere dal basso. E’ lo chef d’alta cucina che ha tutte le conoscenze e gli strumenti necessari per elaborare ricette di fine dining per il proprio ristorante gastronomico, e poi altre, semplificate, ma sempre d’altissima qualità, che possano essere replicate altrove. Lo chef fa ricerca, possiede le tecniche, studia a fondo i prodotti, sa come valorizzarli al meglio. Poi trova anche gli accorgimenti necessari per standardizzare. E’ una dinamica virtuosa che non può essere operata dal basso. Vi è, in fondo, lo stesso rapporto che riscontro tra alta moda e prêt-à-porter».
6) LA TRATTORIA E LA TRADIZIONE
«Questo processo, è chiaro, può elevare anche la qualità media della trattoria italiana. Si può insomma operare un gigantesco lavoro di rilettura della nostra tradizione: il che non vuol dire “reinterpretare” le ricette classiche, come si usa dire, ovverosia spesso stravolgerle. Ma leggerle con gli occhiali della modernità, applicando concetti contemporanei e sfruttando le conoscenze scientifiche che nel frattempo abbiamo acquisito: quindi ridurre i grassi, rispettare i valori nutrizionali e i prodotti, e così via. Anche le nostre nonne potevano cucinare un ottimo bollito, ma operavano nell’inconsapevolezza delle trasformazioni chimiche e fisiche che mettevano in moto: oggi le conosciamo e sappiamo dunque quali accorgimenti tecnici servono per ottenere
sempre un ottimo bollito».
7) MIGLIORARE ANCHE LA RISTORAZIONE COLLETTIVA
«Tale logica ha spazi di sviluppo clamorosi. Il 19 ottobre a Roma presenterò un grande progetto che sto portando avanti da mesi con La Sapienza e il Gruppo GioService Cristo Re per ottenere un incredibile salto di qualità nella ristorazione collettiva ospedaliera. Il concetto di fondo è: il controllo di qualità non va solo fatto in entrata – quando cioè il prodotto giunge in cucina – ma anche in uscita, quando cioè esce dalla stessa per raggiungere il commensale. Un pomodoro che viene acquistato buono deve essere buono nel piatto. Oggi nella ristorazione collettiva ospedaliera la qualità è troppo variabile, perché anziché dipendere da protocolli standard spesso dipende dalla diversa sensibilità di chi si trova in quel momento ai fornelli… Non va bene: così si stravolgono i valori nutritivi e organolettici, oltre a perdere quantità di prodotto fino al 45%. Anche in questo comparto bisogna delineare modelli replicabili, formule esatte. E’ quello che stiamo facendo».
8) I VANTAGGI DELLA REPLICABILITA’ NELLA RISTORAZIONE COLLETTIVA
«Primo, garantisce il maggior rispetto dei valori nutritivi. Poi, consente anche una migliore estetica: trattato in un certo modo, il pomodoro non ossida e risulta più appetitoso. E ancora: esalta il gusto della pietanza e abbatte le perdite per evaporazione. Tutto questo consente di limare il food cost: col risparmio ottenuto si possono comprare materie prime di maggiore qualità».
9) RISPETTO PER LA TRADIZIONE
«Dire che dobbiamo rileggere la tradizione non significa mancarle di rispetto, anzi. Mi giungono centinaia di curriculum di ragazzi che vogliono lavorare al Reale. Alcuni sono molto interessanti, molti di questi tradiscono però un iter tutto all’insegna del fine dining contemporaneo. Io dico loro: ti prendo volentieri, ma tra cinque anni, prima vai a lavorare in una trattoria, perché devi conoscere perfettamente le basi della tradizione per poi poter operare su di esse. Mi spiace vedere sempre più spesso giovani cuochi che scimmiottano la lezione del Nord Europa: il patrimonio italiano è inestimabile, applichiamoci piuttosto a valorizzarlo».

Assoluto di cipolle, parmigiano e zafferano tostato (2010) nella foto di Brambilla-Serrani
10) LA MIA CUCINA
«Guardandomi indietro noto che, con questo tipo di riflessioni e la ricerca che ne è conseguita, la mia cucina è molto migliorata. Oggi ci basiamo sempre di più sulle sovrapposizioni del medesimo ingrediente – penso a piatti come
Carciofo e rosmarino, oppure
Verza arrosto – per avere l’effetto sia di concentrarne l’aroma, sia di arricchirlo di diverse sfumature. Poi lavoro molto sulla pulizia del piatto, eliminando quasi i grassi e bandendo le salse», alla ricerca dell’armonia perfetta.
11) NIKO ROMITO FORMAZIONE
«Dopo quattro anni di lavoro della Niko Romito Formazione, vedo che già i primi allievi stanno aprendo i loro ristoranti. Ne sono orgoglioso, sono felice di vedere una nuova generazione di giovani cuochi che seguono una linea di pensiero che ritengo utile».
12) NASCO PASTICCIERE
«Io nasco pasticciere, con tutte le considerazioni del caso. Credo che questa mia attenzione per la standardizzazione derivi proprio da tale forma mentis».
13) ARMONIA CASTEL DI SANGRO
«Non è un caso se sono a Castel di Sangro: qui tutto l’ambiente contribuisce a infondere armonia. Certe riflessioni sono possibili solo in un luogo magico, dai tempi dilatati. I miei piatti raccontano proprio tale storia di serenità». Il menu degustazione è come una sinfonia, un’opera unica; ha poco senso ordinare alla carta, è come isolare un solo brano senza poter così cogliere l’unitarietà del tutto (lo fa peraltro meno del 5% degli avventori). «Dico di più: l’esperienza complessiva parte dal primo amuse bouche (Soffice di pistacchio salato: indimenticabile, ndr) e termina la mattina seguente, dopo aver pernottato al Casadonna, con la colazione».
14) L’ANNO CHE VERRA’
«Sintetizzo: il 2017 sarà per me un anno in cui straordinari progetti diventeranno realtà».