Il mio nome è Zonfrillo, Jock Zonfrillo. A vederlo così, e a conoscerne la storia, sembra qualcosa tra un agente segreto, un attore di Hollywood e un antropologo pazzo. Non lo si collocherebbe in cucina. Classe 1976, nativo di Glasgow da mamma scozzese e papà italiano, oggi è invece chef “di tendenza”, qualsiasi cosa voglia dire, e con la passione per la cucina aborigena, ossia quella australiana dei primordi, perché lavora là, nel Nuovissimo Continente, da ormai 16 anni, era il 2000 quando vi mise radici.
Tipo interessante. Nota la collega Mirta Oregna «i diversi tatuaggi che gli coprono il braccio destro: oltre al cardo, fiore simbolo della Scozia, il relativo motto intimidatorio Nemo me impune lacessit, ovvero “Nessuno mi sfidi impunemente”; poi un corvo malaugurante, un maiale (per passione), un teschio, un serpente e pure il quote di Steve Jobs "perché arruolarsi in marina quando puoi essere un pirata”».

Davide Scabin, Jock Zonfrillo e Andrea Berton con lo chef del Bulgari, Roberto Di Pinto
Avevamo incontrato
Zonfrillo una prima volta a
Care’s, in val Badia, nel gennaio scorso: «Io sono figlio del tè alle cinque e della pasta al pomodoro. I miei
terroir di riferimento iniziali sono stati due: la Scozia dove sono nato, e dove mio nonno materno faceva il
farmer, e l’Italia dalla quale proveniva il mio nonno paterno, partenopeo (di Scauri, borgo di pescatori vicino a Gaeta,
ndr), che mi ha insegnato la cultura del prodotto».
L’imprinting è stato forte, basti vedere l’elenco dei suoi amici, tra i quali René Redzepi, Magnus Nillson, Alex Atala, tutta gente che scandaglia le rispettive zone alla ricerca di licheni e formiche, midolli e pupunha.
Per dire: a Milano, ospite qualche settimana fa del Bulgari nell’ambito della rassegna Epicurea, s’è presentato con un bagaglio zeppo di erbe e bacche, necessarie a far capire che diavolo di ricette propone nei suoi ristoranti: quello di fine dining Orana, il bistrot d’autore Blackwood, poi anche il food truck Nonna Mallozzi (dal nome della sua bisnonna paterna: vi serve pasta e panini). Tutto ad Adelaide, 15.600 km di distanza dalla Madonnina.
Lui è per il cook it raw. Ci spiega: «All’Orana cerco di fornire una mia idea della cucina australiana, incluse le prime manifestazioni tradizionali, quelle legate alla cultura aborigena, nonché le sue interpretazioni odierne, con le varie tecniche legate al barbecue. Quello che mi piace è far capire le due caratteristiche essenziali di tale stile, da una parte il territorio e dall’altra il fuoco. Amo cuocere direttamente sulla brace».

Nonna Mallozzi, il food truck "italiano" di Zonfrillo
Ci racconta come nel pomeriggio, insieme al gran macellaio
Sergio Motta, si sia impegnato a trovare una valida alternativa alla carne di canguro (perché quella proprio non ci stava, in valigia), da scottare sui carboni ardenti. Scelta caduta alla fine su una bella Fassona Piemontese, scannata personalmente e poi servita a una platea dove spiccava - anche in altezza -
Andrea Berton, nonché
Davide Scabin, appena sbarcato da New York post-
50 Best.
Chiediamo allora a Zonfrillo un commento sul successo di Bottura: «Sono molto felice che Massimo sia arrivato primo, era da tempo nei top five ed è fantastico che ora sia arrivato meritatamente al vertice. Belisimo», sorride con discreta pronuncia italiana. D’altra parte, narra, «nella mia vita ho sempre avuto molti legami con l’Italia e la sua cucina. Amo Bottura, ogni volta che sono stato all’Osteria Francescana ricordo un vero tripudio per le mie papille gustative. Poi penso a un luogo fantastico come il Combal.zero di Davide… Ma ritengo che l’Italia sia resa grande anche dalla molte trattorie di cucina tradizionale capaci di esaltare il prodotto, io le trovo deliziose».
Diverte che Zonfrillo, cuoco cosmopolita (delle origini italo-scozzesi abbiamo già detto. Va aggiunto l’apprendimento delle tecniche, francesi e non, con quell’altro genio scapestrato di Marco Pierre White) abbia trovato la propria dimensione nella cucina dei nativi australiani. E’ un segno dei tempi. Ma non è stato facile, la ricerca di un’autentica identità gastronomica australiana, che fosse legata ai luoghi e non alle mode incidentali, è durata più di dieci anni: «Per sette volte sono andato nel deserto per chiedere agli aborigeni di raccontarmi la loro cultura, anche e non solo alimentare, perché non potevo credere che un popolo con così tanti secoli di storia non ne avesse sviluppata una. Per sei volte mi hanno detto di no e rimandato a casa a mani vuote.

Zonfrillo al Bulgari parla al tavolo con Scabin e Andrea Petrini
Alla fine si sono convinti e mi hanno spiegato tutto. Oggi nelle mie cucine uso più di 60 ingredienti tradizionali degli aborigeni e anche quasi tutti gli altri sono ormai “naturalizzati” in Australia», sorta di oriundi del
food.
Solo il 10% di questo ben di dio è costituito da proteine animali, il resto sono verdure, radici, vegetali in genere. Così lo scorfano viene cotto in un intreccio di legno di mangrovia, che conferisce fumo e sale. «La mia cucina è fatta in modo da far gustare il sapore, l’essenza aromatica stessa di questa nazione. Sono stato influenzato dall’idea aborigena di guarire e di essere guarito dalla terra e di restituirle sempre più di quanto ti abbia donato. Ho voluto comprendere le proprietà nutrizionali e curative dei prodotti indigeni e rispettare il rapporto tra materie prime, terra e cultura: questo mi ha allargato gli orizzonti. Lavorare con persone che sono custodi della terra, piuttosto che proprietari, ha dato più profondità al mio stile».
Più prosaicamente, noi siamo letteralmente usciti di testa per il suo scampo avvolto nel lardo e cotto alla brace con geraldton wax, pianta degli antipodi - famiglia delle Mirtacee – che conferisce pazzesche note acide e agrumate.