“i Besuschio, pasticceri dal 1845”, così si intitola il libro di ricordi che Andrea Besuschio ha voluto per celebrare tutto quanto di felice sta alle sue spalle, al 59 di piazza Guglielmo Marconi ad Abbiategrasso, gioiellino storico-goloso a ovest di Milano, pochi chilometri e il Ticino la separa da Vigevano e la Lomellina. Lì in pieno centro storico ha sede una pasticceria con tratti rari nel panorama nazionale, con un profumato filo che lega la quinta generazione, quella incarnata da Andrea (e dalla moglie Roberta), alle quattro precedenti e alla sesta che prende forma e forza adesso grazie ai loro due figli, Giacomo, classe 1993, e Anselmo, del ’96, così come loro padre è del ’62 e l’Ambrogio da cui tutto ebbe inizio nacque quasi due secoli fa, nel 1819, per salire in cielo nell’878.

Andrea e Roberta Besuschio, marito e moglie
Libro che racconta una famiglia passo dopo passo, su e giù lungo il Naviglio che collega il capoluogo Milano a quello che, per estensione, è il secondo comune della sua provincia, Abbiategrasso per l’appunto, la felice sintesi di più persone, passioni, sogni. Con spunti davvero fuori dal comune perché in genere succede che chi lascia il paese per la città, se vi trova successo non torna poi indietro, se non in vecchiaia come un rispondere al richiamo della nostalgia.
Nelle pagine curate da Mario Comincini, scopriamo che Ambrogio sposa Angela Boraschi unendo così i destini di due famiglie di ofellai (pasticcieri in dialetto) quando Milano era ancora austriaca e quello che nel 1860 diverrà Corso Garibaldi era il corso di Porta Comasima. E al civico 2016 (nell’Ottocento si numeravano gli edifici nel loro insieme, non via per via), all’angolo con San Simpliciano, dove è ora un negozio di abbigliamento, Ambrogio apriva una sua caffetteria. Era il 1845, tempo sette anni e vendeva per tornare ad Abbiategrasso.

Un particolare dello storico forno della Pasticceria Besuschio. Da quando è stato posizionato, diversi decenni fa, è stato via via alimentato a legna, carborne, gasolio e infine a gas
Da qui l’interrogativo spontaneo anche in chi un mese fa era alla presentazione del volume: perché uno si impegna a mille per emergere e quando vi è riuscito, si lascia alle spalle una città di oltre 250mila anime per una di 10? Ambrogio non lo spiegò mai, ma la verità va cercata nelle pieghe dell’animo umano e nell’orgoglio di chi non accetta le mezze misure. Come Giulio Cesare, il trisavolo Besuschio preferiva essere il numero uno in Gallia che il secondo a Roma. E poi, perché privare i suoi concittadini della qualità assoluta dei suoi prodotti? Dove stava e sta scritto che solo nelle metropoli si può stare come in paradiso?
In pillole: Ambrogio ebbe tre figli, Emilio quello ne raccolse l’eredità. Sposa Cecilia Kluzer e i figli saranno 9, tre si metteranno in scia al padre, Francesco, Guido e Giulio. Dal primo nessun pasticciere, dal secondo tre ma senza eredi in laboratorio, a differenza del terzo che vide due figli (su tre) insistere. Andrea è nipote di Giulio e figlio di Attilio, lo vedi aggirarsi entro i confini di pasticceria e laboratorio e non può sfuggirti la soddisfazione dipinta sul volto, lo sguardo che vede tutto e dietro una testa che pensa a tutto. Senza darsi arie o atteggiarsi a fenomeno. E ne avrebbe motivo. Uno per tutti: nel 1999 la Kodak usò la sua crema al gianduia (8mila confezioni, invasate e poi etichettate a mano) per una promozione nel segno di tradizione e innovazione.

La Saint Honoré, un classico della pasticceria mondiale, nella versione contemporanea (e monoporzione) di Andrea Besuschio nella sua pasticceria di Abbiategrasso in provincia di Milano
Si può perdere la ragione lì e se desiderate un suo panettone meglio prenotarlo chiamando lo 02.94966479, ne sforna 200 al giorno e non bastano, se li fa bastare che è cosa ben diversa. Lì sono rimasto basito davanti al forno da cui escono. Formato da 60mila mattoni refrattari, nei decenni è stato alimentato a legna, carbone, gasolio e gas. Poi che bello ascoltare Andrea quando parla di chi ancora produce farine, Molini Bava per la precisione, in pieno Parco del Ticino, con sapienze e ritmi antichi così come quando alla domanda qual è il tuo dolce preferito, risponde il Pan de mej, giallo per via della farina di mais, una morte perfetta con la panna liquida, possibilmente sbriciolato in tazza.
E per una notte di coccole, sappiate che al primo piano vi aspettano due suite nuove nuove.