29-03-2025

Pensiero e cucina di avanguardia: conversazione con Nicolò Scaglione

Food scout, filosofo, gastronomo: l'autore di "Sul gusto (o del gusto) - Saggi di filosofia gastronomica" racconta il suo percorso professionale e alcuni dei suoi ragionamenti sulla materia della cucina

Nell'editoria gastronomica italiana da qualche settimana si sta affermando, come piccolo caso letterario, un libro certamente piuttosto diverso dalla maggior parte dei volumi che vengono pubblicati ogni anno per parlare di cucina, di cibo, di gastronomia. Non ci sono foto, solo un paio di (belle) illustrazioni, tanto meno ricette, ma ci sono invece molti brevi "saggi di filosofia gastronomica", come leggiamo nel sottotitolo di Sul gusto (o del gusto), edito da Maretti Editore (99 pagine, 20 euro, si ordina da qui) e firmato da Nicolò Scaglione.

Chi è Scaglione? Sul sito di Identità Golose c'è un suo articolo scritto un paio di anni fa (si legge qui), e nella breve autobiografia da lui scritta per accompagnare l'articolo leggiamo: "Classe 1980, grande hinterland milanese. Laureato in Filosofia, dopo aver toccato professionalmente i mondi della letteratura, della musica e del cinema, si dedica alla gastronomia, mettendosi sulle tracce dei più grandi produttori italiani. Filosofo, consulente e docente di materia prima, cerca il cibo in tutte le sue forme e ovunque nel mondo ci siano cuochi e artigiani", la medesima presentazione che si trova anche in quarta di copertina del libro di cui parliamo oggi.

Nicolò Scaglione

Nicolò Scaglione

Sul suo seguito profilo Instagram, troviamo invece un'altra auto-definizione: food scout. E nella nostra conversazione con Scaglione siamo partiti da qui, dal senso che ha questo termine per raccontare il suo percorso professionale: «Oggi trovo terribile l'espressione food scout, ma non riesco a trovare un'alternativa migliore. L'ho preso a prestito da un omologo svizzero, Dominik Flammer, che scrisse un bel libro intitolato L'eredità culinaria delle Alpi. Guardando più o meno ciò che faceva questo personaggio, ho pensato potesse rappresentare bene quello che facevo e faccio tutt'oggi. Per dodici anni ho girato l'Italia per poi scrivere su un sito internet chiamato Il sapere dei sapori, dove ho raccontato storie, sia da un punto di vista umanistico che scientifico, di produttori e prodotti che nel tempo ho definito e racchiuso sotto il cappello della parola "eccellenza". Quello che per me in quel momento storico rappresentava il livello massimo raggiungibile nell'esplorazione gastronomica. Ho scritto di più di mille artigiani e produttori, quindi artigiani di materie seconde, di materie elaborate, e produttori di materie prime, principalmente in Italia, con qualche escursione all'estero. Ho raccontato storie, assaggiato prodotti, cercando di entrare a fondo nella produzione alimentare italiana, che non è fatta di sigle ma di volti. Sono andato quindi laboratorio per laboratorio, salumificio per salumificio, panificio per panificio, a scovare queste produzioni a volte leggendarie, in alcuni casi inamovibili dal luogo di produzione».

Oggi il sito di Scaglione non viene più aggiornato, perché l'autore da qualche anno - anche grazie all'ispirazione fornita da una collaborazione (la prima di una lunga serie nel campo) con il ristorante Contraste e i suoi chef Matias Perdomo e Simon Press - ha rivolto la propria attenzione alla gastronomia, alla ristorazione, e in particolare all'alta cucina e all'avanguardia. E' utile dire, a questo punto, che il suo libro appena uscito viene accompagnato da una prefazione, firmata da Ferran Adrià: «E' come se - chiosa sorridente l'autore - un giornalista sportivo potesse sfoggiare la prefazione del proprio libro firmata da Leo Messi». Lo chef catalano peraltro scrive parole importanti su Nicolò Scaglione, arrivando a sbilanciarsi così nella chiusa: «Sono convinto che questo libro segnerà un prima e un dopo nel modo di intendere la critica gastronomica».

Con Ferran Adrià, in una foto che si trova sul profilo Instagram di Scaglione

Con Ferran Adrià, in una foto che si trova sul profilo Instagram di Scaglione

Ma non è l'unica firma di peso che troviamo nelle prime pagine del libro. L'introduzione infatti è stata scritta da Niko Romito: l'attacco del testo firmato dallo chef del Reale dice del primo incontro con Scaglione, parla di un litigio, e di un invito fatto dall'abruzzese e poi non rispettato, a non tornare mai più in quel ristorante. «Da allora - conclude Romito il breve aneddoto - le nostre discussioni, seppur talvolta vivaci, sono sempre serene e costruttive». Ha, crediamo, un merito particolare Niko Romito in questa introduzione. Svela, anticipa, al lettore una caratteristica che in molti ritroveranno nei testi di Scaglione: «Nicolò non ha paura di dire ciò che pensa, ama scardinare i luoghi comuni e sicuramente ama essere provocatorio. Il suo atteggiamento vuole però stimolare una vera riflessione [...], invitare chi legge a mettere in discussione le proprie idee, senza costringerlo a cambiarle ma obbligando a un'argomentazione profonda».

E' una chiave di lettura utile, il cui senso si può ritrovare già nello scorrere semplicemente i titoli dei saggi contenuti nel libro, come: La cucina deve emozionare? - Conformismo della cucina contemporanea - La cucina popolare è razzista? - La convivialità è stata capita o è stata rapita? - Servire come sovvertimento del potere.

Lo diciamo in modo esplicito a chi ci legge: non anticiperemo, né commenteremo nel dettaglio, i contenuti di questi saggi. Non sarebbe né proficuo né esaustivo, per la densità dei ragionamenti che contengono: estrapolarne frasi, magari provocatorie come dice Romito, potrebbe essere fuorviante. Serve invece sottolineare come ciascuna di queste esplorazioni del ragionamento applicato alla gastronomia, anche quando affermano una tesi, non sembrano imporla a chi legge, quanto incitarlo a ribattere, a confutare, ad argomentare. E non è un caso, crediamo, che spesso Scaglione nelle sue pagine esprima un grande desiderio di confronto, di dialogo.

Vi riportiamo invece il frutto di una conversazione con Nicolò Scaglione, sulla nascita e su alcuni dei temi toccati in questo libro.


Come sono nati questi saggi? Li hai scriti pensando al libro o è il libro ad averli raccolti successivamente?
Ho iniziato a scrivere questi pensieri durante il periodo del Covid, nel 2020, avendo abbastanza tempo, per poi proseguire con un ritmo più lento dall'anno successivo. Quando Manfredi Maretti mi ha chiesto se volevo fare un libro con lui, gli ho parlato di questi saggi, pensando di scriverne ancora qualcun altro per completare il volume. C'è anche una sorta di abiura all'interno del libro, un saggio con cui non sono più d'accordo, ma pur non essendo d'accordo penso che esprima un punto di vista interessante, e probabilmente non sarò d'accordo tra cinque o dieci anni su altri saggi che ho scritto. Non c'è un filo logico che lega il tutto, se non il pensare la gastronomia da un punto di vista concettuale. Quello che mi è sempre mancato nel mondo del cibo e che invece c'è sempre stato nelle altre strutture culturali della società, dalla filosofia al cinema, dal teatro alla letteratura: la critica della materia stessa. Siamo nel 2025, 200 anni dopo la pubblicazione della Fisiologia del gusto di Brillat-Savarin, gastronomo tra i primi a scrivere un libro che provasse a portare il pensiero nella gastronomia. Ma tranne alcuni libri di storia, e qualche saggio scientifico di Bressanini, Cassi, Charles Spence, Hervé This, non c'è mai stato un reale pensiero sul cibo, se non qualche spunto. Mi viene in mente Nicola Perullo, i punti di vista di Sangiorgi sul vino, oppure delle introduzioni ad alcuni libri di cucina fatte da pensatori. Ma quasi mai provengono da gastronomi veri, da gente che viaggia e mangia in ristoranti molto importanti. Sono sempre, mi viene da dire, libri fatti a bocce ferme, come se fossero libri di retroguardia fatti da intellettuali che riflettevano sul cibo come punto di vista sul mondo. Io ho provato a unire questa parte con la quantità di ristoranti e viaggi fatti durante i miei anni e le mie esperienze passate: se devo investigare un argomento, finché si tratta di discipline teoriche come quelle nominate prima, è una cosa. Quando si tratta di gastronomia, cioè di una scienza pratica, il viaggio, l'atto del mangiare e l'atto dell'esperire, sono fondamentali. Soprattutto, quello che manca nella letteratura legata alla gastronomia è l'attualità.

Perché credi che ci sia questa mancanza?
L'attualità ha un problema gigantesco, enorme: se vuoi leggere Roland Barthes, Heidegger o Joyce, vai in biblioteca e gratuitamente ti prendi i libri. Se vuoi andare a mangiare da Redzepi, Bottura, Andoni o Passard ti servono duemila euro. Quindi c'è un problema nitido di pensiero, di tutta l'intelligenza che potrebbe arrivare da un mondo umanistico, dove ovviamente gli stipendi sono parametrati alle facoltà fatte e al ruolo che si ha, che non può, anche volendo, applicare all'alta cucina il proprio pensiero di professore di storia dell'arte, o di qualunque professione ci sia intorno al mondo umanistico, perché c'è un problema economico nitido. Per questo nel libro io scrivo che per me ci deve essere quasi una "lotta alla democrazia" nel mondo della cucina. Con Alberto Gipponi abbiamo pensato di rivolgerci proprio alle università, con l'idea finale di pensare a dei tavoli all'interno dei ristoranti dedicati a ricercatori di biologia, di storia, di architettura, di filosofia, che possano così sedersi a prezzi bassi o a nessun prezzo: che però in cambio, al posto di scambiare denaro, scambino il loro pensiero. Un'elaborazione successiva, una o due pagine di ragionamenti, che per uno chef che voglia interpretare una cucina di pensiero sono molto più interessanti dei soldi. I soldi facciamoli tranquillamente dare alle persone che vogliono godere, che sono sempre alla ricerca del gusto, che vogliono andare al ristorante per motivi che non attengono alla riflessione. È una cosa giustissima, ma dobbiamo creare quello che è successo nel cinema più di 100 anni fa: separare il cinema d'intrattenimento dal cinema d'arte. Se io guardo Vanzina non è come guardare Kiarostami. E quindi perché nella cucina invece bisogna ascoltare i vecchi nostalgici che dicono che tutto quello che conta è fare business, avere sempre il ristorante pieno? Dobbiamo tutelare gli chef che applicano il pensiero al proprio lavoro, che creano le basi per la cucina del futuro.

Chi sono oggi gli chef a cui pensi?
In Italia ce ne sono almeno trenta che fanno una cucina straordinaria, come non fa nessuno in questo momento nel mondo. Ci sono i nomi più conosciuti, i Gipponi, i Baronetto, i Romito, i Gorini, i Di Fabio, ma anche molti giovani. A noi piace piangerci addosso, vedere sempre il vicino con l'orticello più florido, gli spagnoli e i francesi... Noi abbiamo almeno trenta cucine di avanguardia straordinaria, una diversa dall'altra. Dobbiamo difendere, tutelare queste persone, perché queste persone, come hanno fatto i grandi compositori nella musica, creeranno le basi perché i cuochi del futuro, e anche i cuochi casalinghi del futuro, tra 40-50 anni potranno studiare questi tipi di cucina. Basta Artusi, basta Ada Boni, basta Suor Germana. Tra 50 anni i ricettari dovranno parlare di Pierangelini, Baronetto, Cracco. C'è un'evoluzione del pensiero, come c'è nella musica. Penso spesso che senza i Kraftwerk e senza Stockhausen, che nel 1956 compone la prima opera di musica elettronica, un'opera abbastanza inascoltabile che si chiama Gesang der Jünglinge, a Ibiza d'estate non ballerebbe nessuno. Ovviamente chi sta ballando a Ibiza d'estate non sta pensando a Stockhausen, ma a noi che invece siamo pensatori dell'oggetto gastronomia, deve interessare Stockhausen, non il dj che suona Ibiza. E va tutelato Stockhausen. Non chiediamo i fatturati all'università di Colonia, che ha formato centinaia di musicisti. La cultura deve avere dei mecenati, li ha sempre avuti e spero li avrà sempre, perché la cultura non è una compravendita. Il grande ristorante non è un negozio, è un ozio, perché il negozio è la negazione dell'ozio. E' dove si sperimenta il desiderio. E vivaddio che ci sono degli sperimentatori del desiderio e non per forza del portafoglio umano.

Quando parli del tuo palato, lo definisci un palato tecnico. Da questo punto di vista, quali sono oggi nelle tue esplorazioni gastronomiche, gli aspetti su cui ti concentri maggiormente?
In questo momento mi interessano le aromatiche, primarie e secondarie, capire come si sviluppano nel corso del tempo nei prodotti conservati, fermentati, attraverso gli aromi che noi mettiamo nel piatto. Dei gusti primari mi interesso sempre meno, il problema è che il 90% dell'alta gastronomia è basata sui gusti primari: dolce, acido, la parte croccante, morbida, e poi amaro, dolce... Mi interessa davvero poco: discutiamo di quale amaro, ce ne sono più di venti. Discutiamo di quali acidità, ne conosciamo una decina. Discutiamo di quali aromatiche inserire e perché. Mi interessano cuochi che pensano la cucina da un punto di vista quasi olfattivo, se mi chiedi la cosa che mi coinvolge maggiormente.


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Niccolò Vecchia

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Niccolò Vecchia

Giornalista milanese. A 8 anni gli hanno regalato un disco di Springsteen e non si è più ripreso. Musica e gastronomia sono le sue passioni. Fa parte della redazione di Identità Golose dal 2014, dal 1997 è voce di Radio Popolare 
Instagram: @NiccoloVecchia

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