21-10-2024

Mattia Pastori è "Il Figlio del Bar". E ci racconta come si diventa mixologist

Il fondatore di Nonsolococktails e punto di riferimento nel panorama della cockteleria italiana è autore di un libro che raccoglie ricette, aneddoti e tutte le esperienze che lo hanno accompagnato fino al successo. Eccone un sorso in anteprima

Il libro firmato da Mattia Pastori, Il Figlio del

Il libro firmato da Mattia Pastori, Il Figlio del Bar edito da Tecniche Nuove è pre-ordinabile su Amazon e sarà disponibile nelle migliori librerie a partire dal 25 ottobre a un prezzo suggerito di 36,90 euro

Dietro ogni cocktail c'è una storia, e quella di Mattia Pastori inizia molto prima di diventare una delle figure più influenti della mixology italiana. Cresciuto tra i tavoli e il bancone del bar di famiglia, ha sviluppato fin da giovane un legame profondo con l’arte dell’ospitalità, che lo ha portato a lavorare per prestigiose catene dell’hotellerie di lusso come il Park Hyatt e l’Armani Hotel. Dopo oltre venticinque anni di esperienza, decide di dare una nuova direzione alla sua carriera e abbraccia l’imprenditorialità fondando Nonsolococktails, la prima agenzia italiana di servizi beverage integrati. Ed è proprio alla luce di questa brillante carriera che Mattia Pastori sceglie di condividere la sua storia, pubblicando il suo primo libro, Il Figlio del Bar, in uscita il 25 ottobre. Un racconto personale e coinvolgente che, arricchito da 40 ricette tra classici e signature, si propone di ispirare nuove generazioni di bartender e appassionati del settore.

Attraverso uno stile narrativo accattivante e personale, che fonde sincerità e ironia, dalle prime esperienze nel bar di famiglia, fino agli scenari internazionali della mixology, il libro riflette l’essenza di un mestiere che non si limita alla preparazione di drink, ma che celebra il contatto umano e l’empatia. 

Insomma non resta che fiondarsi nelle migliori librerie - tra cui Feltrinelli, Mondadori, su Amazon (dove è già possibile pre-ordinare il testo) e sul sito di Tecniche Nuove - il prossimo 25 ottobre  e immergersi in un incontro a tu per tu con Il Figlio del Bar (prezzo di copertina euro 36,90). Intanto noi di Identità vi sveliamo in esclusiva un estratto dal capitolo.

 

Il barman e consulente Mattia Pastori, punto di riferimento della mixology italiana, nonchè Il Figlio del Bar e fondatore di Nonsolococktails

Il barman e consulente Mattia Pastori, punto di riferimento della mixology italiana, nonchè Il Figlio del Bar e fondatore di Nonsolococktails

AFFAMATO DI BAR
Londra iniziai a frequentarla poco dopo, passando per Leeds. Non è propriamente sulla strada, ma per me lo fu. Fino ad allora avevo esplorato american bar nei paraggi di Chester.

Passavo da uno all’altro cercando le situazioni promettenti che potevano insegnarmi qualcosa nel mio tempo libero dal Bollicini. Pensai che le cocktail competition locali potessero essere un’ottima scuola. La prima a cui partecipai era organizzata da un brand francese di liquori e sciroppi che andava forte, Marie Brizard. Venni selezionato ed entrai fra i top ten della regione, che si sarebbero sfidati a Leeds per accedere alla finale nazionale. Fu l’occasione per incontrare un certo Francesco Cione (oggi è Director of Operations Italia e Corporate Bars&Beverage Director per il gruppo Giraudi e per il suo brand di punta Beefbar, ndr) di qualche anno più grande di me, di cui mi aveva dato il numero di cellulare Carmine La Morte (barman e professore di mixology a Stresa) perché lo teneva in grande considerazione. Era per lui un figlio d’arte.

Com’era accaduto con Tony e con i bulli della mia scuola a Rea, anche Francesco appena mi vide pensò che fosse il caso di prendermi sottobraccio. Forse fu tutto il mio stupore durante quella prima gara a indurlo alla scelta. Il fatto è che in Italia ogni competizione aveva parametri precisi e, direi ora, classici. Venivano giudicati il gusto, gli aromi, gli ingredienti, l’estetica, la tecnica di preparazione e quella di servizio. E c’erano i modi giusti da usare. Nel Regno Unito era tutta un’altra cosa. C’era più libertà. Usavano molta frutta fresca, come riferii nella prima telefonata utile a mia madre perché si preparasse, e fantasia. Nella gara di Leeds un barman si era ispirato al punch caraibico per il proprio cocktail e lo aveva preparato all’interno di un contenitore per liquidi in plastica da cinque litri. Aveva messo tutto dentro, aggiunto un’infinità di cubetti di ghiaccio e shakerato direttamente lì. Questo è fuori! Fatto sta che entrò dritto in finale. I giudici imputarono la loro decisione alla bontà del cocktail, ma anche alla sua preparazione e presentazione. Ogni modo utilizzato per proporre un prodotto ne poteva far cambiare la percezione. Chiaro. Anche quello poteva essere un terreno di sperimentazione sul quale mettermi alla prova. Era un altro espediente interessante da aggiungere a quello di Fiorenzo Detti (celebre esperto di distillati, ndr) del racconto figurato dei cocktail.

Un giovanissimo Mattia Pastori durante una delle numerose competition di mixology a cui ha preso parte

Un giovanissimo Mattia Pastori durante una delle numerose competition di mixology a cui ha preso parte

Francesco Cione divenne il mio amico di bar. Ne cercavamo sempre di nuovi e più stimolanti. Ogni competizione del nord Inghilterra era nostra e appena mi sentii più a mio agio, decidemmo di scendere anche verso la capitale, che dal viaggio dell’anno prima in solitaria avevo eletto come il mio riferimento di città. Iniziammo a frequentarla ogni fine settimana. Mi piaceva tantissimo anche perché non era ancora così perennemente affaccendata come adesso. Era sì grande, ma vivibile. Al di là dell’architettura, rimanevo affascinato dai bar e dai locali che frequentavo, ma anche dai negozi di casalinghi, che offrivano sempre attrezzature da bar perché, culturalmente, gli inglesi erano maggiormente predisposti e pronti ai cocktail. C’era poi una scelta decisamente più ampia di prodotti alcolici. Ogni aspetto mi pareva molto esotico. Bastava guardare le persone per strada. Tutta quella varietà e ricchezza mi affascinava. Allo stesso modo rimanevo estasiato dai semplici negozi di frutta e verdura: avrei potuto stare ore a osservare ciascun prodotto e a fare domande sulla provenienza di ogni singolo frutto esposto. Del resto, essendo stata la Gran Bretagna uno degli stati più imperialisti, con il suo re ancora nominalmente a capo del Commonwealth, la disponibilità di prodotti da tutto il mondo era ovvia.

La prima volta nella metropoli, dunque, fu per una gara organizzata da Akvinta, una vodka che andava di moda, proveniente dai Balcani, con tripla distillazione da grano italiano e acqua di sorgente croata. Quel giorno entrammo in contatto con la UK Bartenders Guild, l’associazione dei bartender nazionale. Si riuniva ogni lunedì per una competition o solo per scambi d’esperienze e opinioni. Ci iscrivemmo all’istante e diventammo degli habitué. È il caso di dire che al Bollicini imparai molto, ma ancora di più nel tempo libero, scandito con la precisione di un orologio svizzero. Quando il sabato sera finivo di lavorare, prendevo la National Express at 3 a.m. e mi fiondavo a Londra. Fiondavo, si fa per dire. Erano quasi sette ore di corriera, quelle giuste per dormire. Sarei rientrato nella notte fra lunedì e martedì così da rimanere nella capitale il più possibile e sfruttare il rientro per riposare, e anche per pagare un pernottamento in meno in uno di quei terribili hotel che potevo permettermi.

La domenica a Londra era tutta per gare e di mixology nelle quali i cocktail tradizionali venivano miscelati con ingredienti inaspettati. Finalmente vidi dal vivo alcuni di quegli incredibili acrobatic bartender che fino ad allora avevo “seguito” sui primi blog dedicati e sulle riviste di settore. Si sfidavano in evoluzioni straordinarie. Cose che in Italia nemmeno ce le sognavamo, sempre per parlare di standard e di come uscirne. In quelle nostre sortite, passavamo sempre al Roadhouse che, fino alla sua chiusura, fu un’istituzione e un’ispirazione per quelli come me. Musica che pompava e atmosfera costante da party. Era la (new) Golden Age degli anni Duemila. Per me, era rappresentata da un cocktail in particolare, un antesignano, il Breakfast Martini. Creato nel 1996 dal famoso bartender Salvatore Calabrese, allora attivo al Library Bar del Lanesborough Hotel di Londra, usava come ingrediente non convenzionale la marmellata di arance amare. Partita a poco a poco nella seconda metà degli anni Novanta, quella Golden Age aveva allora raggiunto il suo pieno splendore. In Italia c’erano solo alcune avvisaglie che, comunque, al Pozzo facevano capolino, oltre a manifestarsi tramite internet.

Il computer in casa voluto dai miei genitori, infatti, era stato molto utile per rivelare quest’altro mondo, che si discostava da quello americano degli anni Ottanta, ancora di gran moda da noi, dove imperversavano Long Island e Sex on the beach, e long drink da club come Vodka e Gin Lemon.

Nel Regno Unito, invece, i bartender iniziavano a utilizzare ingredienti inusuali per la preparazione dei cocktail: marmellate, spezie ed erbe aromatiche. Un cambiamento che annusai a Chester e a Londra, portato in Italia da uno stuolo di giovani barman come me, che fecero esperienza oltremanica per poi rientrare, e di giornalisti italiani che pubblicizzarono queste tendenze estere nei loro articoli o in interventi nei convegni di settore.

 

LA RICETTA DEL BREAKFAST MARTINI

Breakfast Martini

Breakfast Martini

5 cl di London Dry Gin
1,5 cl di Cointreau o triple sec
1,5 cl di succo fresco di limone
1 cucchiaio di marmellata di arance amare

Tecnica: shake and strain o mixer

Preparazione
Come prima cosa fredda lo shaker. Versa il gin, quindi il cointreau, il succo di limone e, per ultimo, il cucchiaio di marmellata d'arance. Sciogli la marmellata con il cucchiaio, riempi lo shaker di ghiaccio il più possibile e shakera. Versa in una coppa Martini senza ghiaccio e completa con piccole strisce di buccia d'arancia dentro la coppetta.


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Mattia Pastori

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Mattia Pastori

Pavese, classe 1984, Mattia Pastori è oggi uno dei punti di riferimento della mixology italiana. Alle spalle ha importanti esperienze italiane e internazionali, è stato il bar manager di diverse realtà dell’hôtellerie di lusso, ma ha anche realizzato molte consulenze per grandi brand. Nel suo ruolo di mixologist e di imprenditore nel beverage, e con la sua società di formazione e consulenza Nonsolococktails, ha deciso di sviluppare il suo percorso in ambito di consulting, tra le altre curando la start up di concept di successo come il Bulk Mixology Bar all'interno dell'hotel Viu, il take over di Camparino in Galleria, oltre che collaborazioni con brand di spirits, marchi di alta moda e sinergie con il mondo della cucina gourmet.

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