L’antologia di racconti “Storie di cibo, racconti di vita” (editrice Skira, 200 pagine) giunge come secondo di tre titoli importanti, tutti anelli della collana “Expo 2015”, l’Esposizione universale di Milano che, ricordiamolo, reca in calce un messaggio fondamentale “Nutrire il Pianeta. Energie per la vita”.
“Nutrire il Pianeta” è anche il titolo inaugurale di questa collana voluta da Davide Rampello, direttore artistico del Padiglione Zero di Expo Milano 2015, con Claudio De Albertis, successore dello stesso Rampello alla presidenza della Triennale di Milano e Diana Bracco, presidente di Expo 2015. È un bell’excursus sulla “storia e paesaggio dell’alimentazione in città” curato da Lucia Bisi, un dipinto che lega a parole la civiltà alimentare di Milano con la sua struttura urbana. Il terzo libro della collana, pubblicazione nel 2013, sarà invece centrato sul tema dei mercati della Lombardia. Un passo avanti nella direzione di estendere il progetto, entro il 2015, oltre i confini nazionali, con autori e storie da tutto il mondo.
Qui però ci occupiamo di “Storie di cibo, racconti di vita”, un godibile volume il cui filo rosso è tracciato bene dalla prefazione scritta dallo stesso
Rampello: «Dieci scrittori italiani si misurano con il racconto dell’esperienza del cibo, tema tra i più profondamente radicati e condivisi nella cultura umana perché l’uomo può essere in grado di rinunciare a qualunque cosa ma non a nutrirsi». Una verità sviluppata da monologhi sia comici sia struggenti, con uno spettro di registri letterari che muove dalla sceneggiatura teatrale alla narrativa scanzonata.
Il perno di tutto è sempre Milano, a partire dalla copertina, che raffigura “Achrome: Panini e Caolino” dell’artista meneghino (ma non di nascita) Piero Manzoni, scomparso a soli 30 anni. Ma gli orizzonti sono più larghi perché i racconti sono 10 e le firme in tutto 11 e di origini diverse, rappresentazione ideale della capacità di Milano di attrarre e conservare gente da ogni dove. C’è Nanni Balestrini, poeta della neoavanguardia e compagno di scuola dello stesso Manzoni al liceo Leone XIII, che intreccia un dialogo immaginario tra Milan, Genane, Parvis, Nabil, ospiti di una mensa per poveri. Perché, sottolinea la stessa Diana Bracco nell’introduzione dello stesso libro, «Milano è quella degli aperitivi e dei ristoranti ma anche quella dei kebab, delle cascine e della mensa della Caritas».
I toni si fanno lievi nel racconto di apertura dell’autore e regista siciliano Marco Amato, tragicomico nel suo aver smesso a cucinare a 12 anni (ma alla fine c'è la redenzione). E fa sorridere la genovese Rossana Campo, nota autrice di “In principio erano le mutande”, nell’antologia alle prese con le peripezie della siciliana Carmela. L’unico racconto a quattro mani è firmato da Chiara Daino, anche lei autrice genovese, e Lello Voce, poeta, scrittore e performer napoletano: “Milanoressica” è un titolo che dice bene di un problema alimentare diffuso nella metropoli della moda.

Davide Rampello, già presidente di Triennale e ora direttore artistico del Padiglione Zero di Expo Milano 2015
«Il mondo del cibo deve essere raccontato da ogni prospettiva possibile: chi lo produce, chi lo consuma. Lo adora, lo odia, chi ne fa una professione, chi ne fa una malattia», leggiamo in quarta di copertina. Ecco allora
Silvia Ballestra, scrittrice di Porto San Giorgio di casa a Milano, ironizzare a modo suo il concetto di chilometro zero.
Eleonora Danco, autrice, regista e attrice romana, tessere la lirica di “Donna numero 4”. E il dialogo del critico bresciano
Luca Doninelli, abile a definire i contorni del barista Genesio, «un naso a panzerotto che se passo da Luini me lo incarta come le patatine». E quello di
Andrea Kerbaker, milanese, alle prese con “Il compleanno della Piccina”. Chiusura dello scrittore e saggista napoletano
Antonio Scurati, intenso nel rievocare una storia di rinascita della Val Bormida con la decisiva collaborazione dell’enologo-combattente
Lorenzo Tablino.
Godibilissimo il racconto di Paolo Marchi, cui abbiamo già accennato nella bella serata del 16 luglio scorso al Piccolo Teatro. Nel libro il patron di Identità Golose si dilegua al termine di una breve prefazione – che rimanda all'aneddoto sfizioso di «Charlie Chaplin che bolle le sue scarpe per ottenere un qualcosa che possa vagamente somigliare a un brodo» - per lasciare l’io narrante ad Aimo Moroni. Il cuoco toscano del Luogo di Aimo e («di quella birba di») Nadia ne racconta di cotte e di crude. A partire da quando salì dalla nativa Pescia, dopo la guerra, «a cavallo tra due epoche che hanno spezzato in due il secolo ventesimo, una prima metà rosso sangue e una seconda verde speranza». Timori e tremori di un ragazzo per cui Milano era «la terra promessa» ma anche la città in cui si parlava un dialetto «che io proprio non capivo. Con le signore che mi domandavano: Aimo, quant’ann te gh’ee?». Con altri aneddoti sfiziosi, come quella volta in cui venne liberato dalle grinfie di un vigile da due persone. Che anni dopo capiì essere niente meno che Wanda Osiris e Carlo D’Apporto.